Prima di parlare di Home schooling – l’argomento cardine di questo articolo – bisogna fare un passo indietro e riflettere sul concetto di education. In tutte le epoche storiche e in tutti gli Stati del mondo (con i cambiamenti di confini ed evoluzioni nazionali che ci sono stati nel corso della storia), una variabile costante, seppur in sviluppo perenne, è stata quella dell’education. Con il termine education si fa riferimento a un concetto ampio e polivalente, spesso erroneamente assimilato ai concetti di “educazione” (qui si riscontra una problematica inerente alla traduzione dall’inglese all’italiano) e di “formazione”. Questi ultimi due fenomeni rimandano prevalentemente alla pura idea di istruzione scolastica: quella legata prettamente ai soggetti della scuola (in tutte le sue accezioni e suddivisioni) e dei poteri statali (con annesse relazioni).
Al contrario, l’education fa riferimento a un processo di apprendimento globale, a 360 gradi; rimanda a uno sviluppo dell’individuo (a qualsiasi stadio di età egli sia) non solo di conoscenze “base”, di saperi intellettuali, bensì anche di competenze, valori, morali e propensioni versatili e universali. Ribadendo che l’education è stata una caratteristica presente nelle diverse epoche e nella vita degli uomini, si ricorda, inoltre, che essa è mutata nel corso del tempo e a seconda dei modelli politici in vigore.
La nascita dello home schooling negli USA
Evento importante in Europa è stato il passaggio dal modello di government al macro-frame della governance e così anche all’avvento del modello neoliberista in quasi tutti i settori della vita umana, con la conseguente privatizzazione di molti servizi. Una nuova forma di privatizzazione dell’istruzione, quella più radicale, è l’home schooling1.
Questo fenomeno prevede una negazione dell’istruzione pubblica sostituita da quella familiare con i suoi valori e i suoi svantaggi. Negli USA l’home schooling è stato considerato illegale fino al 1975, ora è ammesso in 34 Stati (e nel Distretto della Columbia) e nei restanti 16 è ammesso con particolari modalità. Nel corso degli anni, per conseguire la legalizzazione di questo modello, gli homeschoolers (famiglie praticanti l’home schooling) hanno seguito le vie legali, arrivando a utilizzare le Corti per ottenere un riconoscimento formale, sebbene la Corte Suprema Americana non abbia mai legiferato sulla costituzionalità di questo fenomeno.
Inoltre, molte costituzioni statali hanno messo clausole per praticare l’home schooling (un esempio è la Texas Education Agency et al. v. Leeper et al., 1994). Chiaramente, tutt’oggi la politics (con l’accezione di “sfera comprendente gli orientamenti generali delle azioni di governo”) riguardante l’home schooling deve essere ancora ben definita e determinata, al fine di delineare nettamente i diritti degli homeschooler, le loro responsabilità e la posizione dei genitori come educatori e tutori. Un esempio di avvicinamento è il CHEP (Community Home Education Program) istituito nello Stato della California con il fine di migliorare i rapporti e gli scambi tra i distretti scolastici dello stato e le famiglie che praticano l’ home schooling sul territorio.
Home schooling si riscontra nelle famiglie dal credo cristiano-evangelico
Questo modello comporta per il nucleo familiare un innalzamento dei costi economici, un maggior impegno per i genitori e si crede che possa comportare una mancata propensione alla socializzazione per i figli (portando loro delle difficoltà a inserirsi nel mondo adulto e nelle relazioni con gli altri, specialmente i pari). Negli Stati Uniti, come riscontrato dalla ricerca di Bruce S. Cooper, il fenomeno dell’home schooling si riscontra nella maggior parte nelle famiglie di orientamento Cristiano Evangelico (ma anche musulmane, ecc) che, spesso, si sono riunite in organizzazioni regionali e nazionali2, riuscendo ad ottenere l’accesso dei propri figli ai dopo-scuola e alle attività extra-scolastiche delle scuole pubbliche.
Si sono creati dei veri e propri meccanismi di lobby che hanno portato a una risonanza mediatica (e politica) importante (molto di più rispetto alle altre forme di privatizzazione dell’education, come ad esempio le Charter Schools e i Voucher).
Nell’influenzare le decisioni politiche, quasi a togliere potere allo Stato e ai leader regionali, l’homeschooling negli USA si presenta come un perfetto esempio di riforma bottom-up. Molti, però, sono i critici di tale modello di privatizzazione. Tale contrasto si ha soprattutto per una particolare preoccupazione che si potrebbe registrare tra i bambini che sono educati a casa: la loro mancata capacità di socializzazione (ed eventuali criticità dovute ad essa). Sorgono spontanee, allora, delle domande. In primis: Siamo davvero sicuri di questi esiti? Perché questo modello è stato istituito e tutt’ora è perseguito da alcune famiglie? Qual è il rapporto costi-benefici che esso comporta?
Le caratteristiche generali dell’home schooling
In passato, fino alla Rivoluzione Industriale, l’educazione a casa era costume comune: l’educazione dei figli spettava, soprattutto come dovere e responsabilità, ai genitori. Le figure dei tutori e degli insegnanti privati rappresentavano dei lussi delle famiglie delle classi più abbienti, erano quasi degli status symbol. Solo in seguito alla Rivoluzione Industriale si cominciano a delineare i sistemi educativi pubblici e “l’andare a scuola” diventa un dovere regolato dalla legge.
Si ricorda che tutt’oggi, in molti paesi dell’Occidente, vi è proprio un obbligo normativo (con il limite massimo di età variabile da Stato a Stato), per il quale i ragazzi/e devono andare a scuola. Negli ultimi decenni si è verificato un incremento dell’home schooling (con alcune differenze istitutive), soprattutto negli Stati Uniti, in Gran Bretagna, Canada, Portogallo, Francia, Italia e Israele.
Home schooling e socializzazione
Il fenomeno in questione influisce su molti aspetti della vita familiare delle famiglie che decidono di seguire questo modello di istruzione e soprattutto sulla crescita dei figli. Un aspetto dell’home schooling che è sempre sotto i riflettori ogni volta che si affronta questo tema è quello che riguarda la socializzazione. Quando si parla di “socializzazione” si apre una finestra enorme su cosa si intenda con questo termine; la maggior parte delle persone fa riferimento all’attività di relazionarsi, ossia all’attività sociale, che, parlando di bambini, si traduce in giocare insieme ai coetanei, praticare attività extracurricolari come lo sport, recitazione ed eventi scolastici.
Altri fanno riferimento al conformarsi alle norme generali e di “buon costume” (es. quelle del rispetto verso l’altro, verso “un’autorità” che potrebbe essere il/la professore/ressa), altri ancora fanno riferimento al prendere dimestichezza nel ritrovarsi in un ambiente sociale, cioè introdurre i bambini in un ambiente diverso da quello familiare, pieno di nuovi stimoli, culture e persone con background differenti.
Bambini e socializzazione
Tutte queste definizioni non sono che parti di ciò che in realtà è la socializzazione. Essa si può descrivere come “the process whereby people acquire the rules of behavior and systems of beliefs and attitudes that equip a person to function effectively as a member of a particular society” (Durkin, 1995b, p. 614). Di solito, nel bambino, questo processo comincia con la memorizzazione di routine quotidiane che vedono proprio come attori principali gli stessi genitori che lo aiutano nella gestione e nell’organizzazione delle sue routine (es. danno loro gli orari dei pasti, gli ricordano le attività da svolgere). Questo processo, però, non è così “semplice”: i bambini entrano in contatto con tanti agenti durante la loro giornata, la scuola con i suoi elementi è uno di essi.
L’ American Psychological Association ha presentato l’opinione, largamente condivisa, che i ragazzi cresciuti con l’home schooling potrebbero presentare diverse difficoltà nell’affacciarsi, con la crescita, alla mainstream life, difettando anche di conoscenze e valori quali la cooperazione, il rispetto degli altri e l’autocontrollo. Opinione molto avversata dai genitori che praticano l’home schooling, convinti di riuscire a fornire ai propri figli le adeguate e le giuste esperienze di socializzazione (Tillman, 1995, p.5).
Successivamente si riportano i risultati di alcune ricerche effettuate con metodi quantitativi e qualitativi, volte a capire le motivazioni della scelta di tale modello e gli esiti di questa educazione.
Le ricerche di Neuman e Guterman
Poiché gli studiosi Ari Neuman e Oz Guterman definiscono il fenomeno dell’home schooling come un cambio fondamentale nella vita delle persone, con la loro ricerca qualitativa3 hanno raggruppato le motivazioni delle mamme intervistate in due macro-aree: quella razionale e quella arbitraria.
Gli studiosi hanno rilevato che ci sono stati dei vantaggi nel perseguire questo modello, come per esempio i singoli risultati scolastici dei bambini, ma altrettanti sono stati gli svantaggi.
Un abbassamento dello standard di vita complessivo della famiglia per sostenere tutte le spese dell’istruzione casalinga e per la perdita dello stipendio del genitore che ha deciso di diventare il maestro dei suoi figli, la perdita di aspettativa di carriera di uno o di entrambi i coniugi, lo sforzo di cercare (in caso negativo, la mancanza) di un ambiente sociale che condivida la scelta dei coniugi in ambito educativo, il peso della responsabilità che hanno i genitori nel creare i materiali didattici e nell’organizzare un proprio programma educativo, un cambiamento nei legami e nelle dinamiche familiari, perdita della privacy genitoriale e di tempo libero, rischio di un isolamento sociale per i figli e non solo.
La motivazione religiosa dell’home schooling
È emerso che una variabile importante, che ha spinto gli Statunitensi a praticare l’home schooling, è stata la motivazione religiosa: molti perseguono il Nuovo Umanesimo (New Age Philosophy), la cui corrente si trova nettamente in contrasto con l’educazione religiosa impartita nelle scuole pubbliche e private dello Stato, unita all’altra variabile importante relativa alla prevenzione per i propri figli, ossia molti genitori americani sono convinti che educando i propri figli a casa, riescano a proteggerli dall’uso immoderato di droghe e alcool, in aggiunta a un’insoddisfazione generale del sistema scolastico in vigore; motivazioni non molto dissimili da quelle riportate dagli studiosi israeliani. Altre numerose ricerche sono state intraprese negli Stati Uniti, soprattutto con l’ausilio di survey, sempre per delineare meglio i motivi di scelta dell’home schooling.
Le 4 motivazioni della scelta dell’home schooling
Queste ultime hanno suddiviso le motivazioni in quattro macro-categorie: curriculum (motivi pedagogici), valori e istruzione morale, benessere e sicurezza dei bambini e coesione familiare4. Tra gli intervistati, molti hanno dimostrato sdegno e preoccupazione sull’educazione convenzionale, convinti di poter dare ai propri figli una migliore istruzione a casa. Altro fattore importante5 per la scelta a favore dell’home schooling si è rivelato essere il “clima a scuola”, in riferimento alla paura di bullismo, di stigmatizzazione e di disuguaglianza sociale (variabile che si potrebbe far rientrare nel “benessere e sicurezza dei bambini”).
Dalle interviste fuoriesce un malessere degli stessi bambini nell’andare a scuola: questi si sono mostrati “riluttanti” a frequentare (alcuni a causa di situazioni spiacevoli nell’istituto), costringendo i genitori a cedere davanti alla loro presa di posizione; a volte sono stati gli stessi genitori a presentare una difficoltà nel distaccarsi dai propri figli. Anche una certa insoddisfazione del portfolio scolastico gioca un ruolo rilevante, in alcune ricerche viene definito anche come “influenza negativa” poiché presenta degli atteggiamenti annichilenti e poco stimolanti nel bambino8.
Valori dei genitori
I valori familiari, ma soprattutto le esperienze negative degli stessi genitori, hanno influito molto sulla decisione di praticare l’home schooling come alternativa di “crescita personale” rispetto a quella che i genitori stessi hanno ricevuto. In riferimento alla macro-area arbitraria di Neuman e Guterman, si presentano come importanti le variabili inerenti al lavoro (un eventuale licenziamento o un’insoddisfazione professionale), a un trasferimento (di domicilio o la chiusura della struttura scolastica) o una scelta casuale di questo modello di education. Diverse ricerche6 (Delahooke, 1986; Gustafson, 1988; Montgomery, 1989; Rakestraw, 1988; Ray, 1990, 1997; Rudner, 1999; Tillman, 1995; Wartes, 1988, 1990) hanno riportato che i bambini homeschooled partecipavano a molte più attività “extra-scolastiche” (sports, scout, volontariato, hobbies, …) rispetto ai propri pari che frequentavano la scuola canonica.
Lo sviluppo di 7 aree specifiche per la persona
Un’ipotesi formulata per spiegare questo fatto è che i primi spendevano molto meno tempo davanti al televisore rispetto agli ultimi; un’altra è che i genitori che praticavano l’home schooling spingevano molto per lo sviluppo di sette specifiche aree riguardanti: la costruzione dell’identità personale, la morale, gli obiettivi volti a perseguire una carriera, indipendenza, le relazioni sociali, le skill sociali e la sessualità. Tutte queste capacità sono, spesso, sviluppate con l’integrazione di un processo di responsabilizzazione del bambino che prevede la gestione autonoma del proprio studio e l’aumento delle aspettative personali.
L’intellettuale Chatham-Carpenter ha indagato sulla differenza (che si è rivelata iniqua) e la qualità delle relazioni tra due gruppi di studenti (dai 12 ai 18 anni): uno istruito con l’home schooling e l’altro con l’istruzione di una scuola pubblica.
La differenza che si è subito messa in risalto è stata la qualità delle relazioni: tutti e due i gruppi hanno riportato una eterogeneità nella variabile del tipo di interlocutori (es. adulti, coetanei, più giovani, ecc…), ma il secondo gruppo ha sottolineato una propensione ad avere molte più relazioni intime e “strette”, soprattutto con i propri pari (a differenza del primo gruppo che si relazionava leggermente di più con adulti). In seguito a molti studi effettuati sull’argomento il ricercatore L. Montgomery afferma che “The perception of homeschooled students as being isolated, uninvolved, and protected from peer contact is simply not supported by the data” (p. 9).
Risultati sorprendenti
Sul piano dell’istruzione, dell’imparare le regole comportamentali, attitudinali e di sistema di credenze, molte ricerche hanno dimostrato che i bambini homeschooled presentano sane abitudini (es. maggior autocontrollo, più soddisfazione, ecc.) verso se stessi e gli altri, se non a volte maggiori rispetto ai pari che vanno a scuole statali (Meighan, 1995; Ray & Wartes, 1991; Shyers’s (1992a, 1992b).

Negli esiti riportati è stato verificato che ci sono molte altre variabili a giocare un ruolo importante, ad esempio: la spesa complessiva degli homeschooler che decidono di investire nell’educazione dei figli, il reddito dei genitori e i loro obiettivi come educatori (Rudner, 1999). Molte altre ricerche hanno riportato dati sorprendenti che hanno contribuito a rispondere negativamente alla domanda di partenza, ossia se questo modello di educazione potesse essere “nocivo” allo sviluppo dei ragazzi. I bambini homeschooled, nella maggior parte delle rilevazioni, hanno manifestato dei risultati scolastici molto superiori ai livelli nazionali e rispetto, quindi, ai propri pari con educazione scolastica (Ray, 2000)7.
Le motivazioni degli homeschoolers si sono rivelate costanti e ricorrenti nelle diverse ricerche. L’insoddisfazione verso il sistema educativo statale è quella cardine. Questo risultato sarebbe da utilizzare come campanello di allarme per individuare una delle sfere di insoddisfazione della popolazione di un paese e, utopicamente, riuscire a migliorare l’ambito specifico di appartenenza (in questo caso il sistema scolastico/educativo).
Conclusioni
In conclusione, si può affermare che l’home schooling sia un modello di istruzione da non sottovalutare né da negare in partenza. Probabilmente sarebbero da effettuare molte più ricerche8, magari diacroniche e con focus temporali molto più estesi. Una proposta potrebbe essere quella di studiare anche i primi anni lavorativi degli studenti homeschooled ed eventuali loro sensazioni, oltreché i loro risultati.
Inoltre, tutte le ricerche prese come fonti sono state sviluppate su campioni di famiglie che abbracciavano il modello dell’home schooling, ma che mandavano i propri figli alle diverse attività extra-curriculari delle scuole. Indi si potrebbe provare a interrogare famiglie che praticano l’home schooling totale, ossia senza nessun tipo di contatto con le scuole o enti scolastici in generale e confrontare i relativi risultati con quelli già elencati.
Flavia Verona
1 In Italia non si parla tanto di home schooling quanto di “Istruzione parentale”. Al riguardo si consiglia la visione del sito web del Miur: https://www.miur.gov.it/istruzione-parentale.
2 Tre organizzazioni sono: il National Home Education Research Institute (NHERI), l’Home School Legal Defense Association (HSLDA) e il Christian Homeschool Association of Pennsylvania (CHAP).
3 La suddetta ricerca si basa su interviste semi-strutturate su un campione di 25 madri israeliane con almeno un figlio in un range di età dai 6 ai 12 anni (istruzione primaria). I ricercatori come linea guida di partenza hanno utilizzato questa domanda: “Tell me about the decision to begin home schooling”.
4 Queste variabili sono state codificate da Thomas Spiegler, professore di Sociologia e Ricerca Sociale Empirica presso la Friedensau Aventist University.
5 Come riportato dalla National Household Educating Survey del 2012.
6 Sempre eseguite tramite survey.
7 Anche i ricercatori Sutton e Galoway (2000) hanno riscontrato che i risultati al college degli homeschooled assomigliano ai risultati dei ragazzi che hanno tradizionalmente frequentato le scuole statali.
8 Anche in riferimento alle fonti da me trovate che si fermano ai primi anni 2000.
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