Da circa un mese, in Italia per Mondadori, è arrivato in libreria il prequel della serie di romanzi distopici di Suzanne Collins, Hunger Games: ballata dell’usignolo e del serpente. Oltre che per il suo crescente successo in tempo di covid, è interessante per alcuni spunti di riflessione che possono ricondurci ad argomenti squisitamente di sociologia della narrazione.
Come ci ricorda Paul Ricoeur, le storie vengono capite perché il mondo viene compreso in modo pre-narrativo. Le storie collocano azioni ed eventi nel tempo, ma nel tempo si è immersi comunque. Ciò che i discorsi narrativi permettono infatti, è di articolare e affinare questa pre-comprensione (ivi, pp. 36-37, 1986), in altre parole, di allenarla.
Giochi?
La letteratura è piena di narrazioni distopiche. Pensiamo solo a Philip Dick, William Gibson e George Orwell. Eppure Suzanne Collins è riuscita a farsi strada in un ambito apparentemente saturo ritagliandosi un posto speciale nelle librerie dei ragazzi. Ma cos’è che ci affascina tanto di Hunger Games?
Innanzitutto le opere sulla distopia – o che comunque sfruttano l’ambientazione distopica – sono carismatiche e hanno una caratteristica di agentività ben precisa. Esse ci danno l’occasione di raffrontare le situazioni descritte con la realtà che stiamo vivendo oppure osservando. Inoltre, nello specifico, Hunger Games è uno show televisivo patinato e dalla struttura cruenta. Un grande fratello ferino utilizzato dal sistema centrale, Capitol City, come strumento di controllo e di “pace”. Il panopticon che si fa spettacolo.
Gemma di Panem…
Gli Hunger games sono “giochi” cruenti seguiti costantemente dalle telecamere che nelle prime edizioni descritte nell’ultimo libro prequel si presentano molto simili a una corrida o al Colosseo romano. I protagonisti sono i “tributi”, un ragazzo e una ragazza tra i 12 e i 18 anni scelti per ognuno dei dodici distretti di cui è composta la nazione di Panem, il vero teatro di questa narrazione distopica dal successo mondiale. I concorrenti di questo gioco al massacro dovranno combattere fino alla morte fino ad avere un unico vincitore.
Tutte le vicende – sia esse riguardanti la trama ambientale che l’intreccio delle biografie dei personaggi – ruotano intorno a questi eventi e tra amori, politica ed etica, la narrazione si conclude con una riflessione sulla resilienza.

Con ballata dell’usignolo e del serpente si ritorna a Panem, sessant’anni prima degli eventi dell’ultimo testo della Collins, Hunger games: Il canto della rivolta del 2012, stavolta alle prese con l’infanzia del perfido antagonista e tiranno Coriolanus Snow, interpretato nell’adattamento cinematografico da Donald Sutherland.
In questo libro troviamo un diciottenne Snow, nobile di famiglia, caduto in disgrazia durante la guerra tra i ribelli dei distretti e Capitol city, che cerca di riprendere il prestigio della sua famiglia partecipando come mentore per gli Hunger Games. Una situazione completamente diversa da quella di Katniss Everdeen della saga principale, se non un vero capovolgimento di prospettive. Questo ha dato modo di comprendere dinamiche storiche, pensieri e punti di vista fino a ora solo parzialmente trattati.
…città potente, cuore di giustizia…
Snow ha vissuto sulla sua pelle la miseria, la fame e la guerra. Eppure il suo retaggio, la cultura di Capitol city, non lo abbandonano mai. Questo ci viene continuamente ripetuto nella lettura. Coriolanus è solo un ragazzo, confuso sotto certi aspetti, voglioso di vita, ma la bramosia e l’arrivismo del tiranno ci sono già.
Non importa che la guerra faccia soffrire, la gente dei distretti è feccia. Le differenze ci sono. Il potere fa la differenza. Non a caso, Sejanus Plinth, un compagno di classe di Coriolanus originario del distretto due, si manifesta come la coscienza incarnata del pensiero della Collins, l’unico grillo parlante della gioventù di Capitol che ragiona e critica gli Hunger Games, ponendo reali riflessioni sullo status di umano.
La crudeltà, secondo Plinth, nasce da una estrema esigenza di giustizia, di controllo, che porta spesso individui sadici e manipolatori a confondersi nei ranghi dei portatori di legalità.

Il nostro pegno d’amore assapora!
Oltre l’esigenza del controllo, la filosofia abbracciata da Snow è quella dell’utilità. Quasi di impostazione Machiavellica, i sentimenti come l’amore e l’amicizia vengono traviati in favore dell’utilità nei confronti dei propri scopi e dell’ordine superiore. Lucy Gray Baird, il “tributo” del distretto 12 assegnato a Coriolanus, incarna questa seconda peculiarità del personaggio di Snow. Egli se ne innamora, condivide e gode la sua giovinezza, tenta di muoversi con la spensieratezza e l’avventatezza di chi lotta contro le ingiustizie e il sistema, ma non riesce ad andare contro la sua natura, o meglio, la sua cultura.
Ogni elemento del testo – dalla narrazione in terza persona alla trattazione di diverse tematiche come la pianificazione per eventi e gli intrighi di palazzo – ci ricorda e rimarca la distanza tra lettore e protagonista. Non è un eroe e non vuole esserlo. Non vuole essere compatito. Il libro va letto come il percorso biografico di un antagonista, le cui future affermazioni acquisiscono un peso rilevante, se non un significato diverso. Queste cose invogliano alla rilettura dei testi originali e chiariscono meglio l’intento dell’autrice. Ballata dell’usignolo e del serpente è dunque una retrospettiva di un mondo distopico, dove l’evoluzione psicologica del protagonista va di pari passo con l’evoluzione storica di un paese e la sua comunicazione politica.
Francesco D’Ambrosio
Bibliografia
Ricoeur P., Tempo e racconto, vol. I, Jaca Book, Milano, 1986.

Hr specialist, orientatore e giornalista pubblicista laureato in Sociologia con lode. Redattore capo di Sociologicamente.it.
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