Al diavolo i genitori e i fratelli maggiori, al diavolo i tradizionalisti, al diavolo quei rozzi dei rockers! Bisogna diventare cool, anticonformisti e popolari. Bisogna opporsi alla sobrietà e alla morale. Così i Mods affrontavano la vita e non c’è testo migliore di My Generation degli Who per riassumerne lo spirito: “People try to put us d-down, Just because we get around, Things they do look, awful c-c-col, I hope I die before I get old, My generation, This is my generation, baby”. Ma chi sono i Mod? Di che generazione si tratta?

Quando lo stile rappresenta l’unica distinzione

My Generation degli Who, vera icona del movimento Mod
My Generation degli Who, vera icona del movimento Mod

Il movimento Mod si sviluppò sul finire degli anni Cinquanta durante il boom economico, quando la piena occupazione iniziò a dare un nuovo slancio a quei ragazzi che avevano vissuto lo squallore della guerra. Originari della zona nord di Londra, figli della classe media o della working class, i Mods non tenevano conto delle barriere politiche o sociali: la distinzione era solo una questione di stile. Così, con le tasche piene di soldi e senza dover chiedere nulla ai genitori, i giovani iniziarono a spendere tutto lo stipendio in abiti nuovi da sfoggiare a testa alta per attirare lo sguardo di chiunque incontrassero sulla strada.

In effetti i veri Mods, con le giacche sartoriali a tre bottoni, i risvoltini ai jeans Levi’s, le desert boots scamosciate o le winklepicker appuntite, non passavano affatto inosservati. La cura del proprio aspetto era maniacale e richiedeva un’attenzione nei minimi dettagli che solo i più narcisisti avevano la pazienza di dedicare completando il proprio look con un tocco di lucidalabbra e un filo di rimmel, il più delle volte rubati alle ragazze finemente soprannominate “uccelli” o “carne da sellino posteriore”. D’altronde ai Mods spettava il posto di guida e i loro scooter, rigorosamente italiani, divennero simboli indiscussi di questa subcultura su due ruote tanto esterofila quanto fedele ai suoi emblemi nazionali.

Il Modernismo e la passione italiana

Gregory Peck e Audrey Hepburn in sella alla Vespa nel film "Vacanze romane"
Gregory Peck e Audrey Hepburn in sella alla Vespa nel film “Vacanze romane”

Le origini del fenomeno Mod risalgono in realtà alla fine degli anni Quaranta quando Miles Davis, iniziando a registrare una serie di singoli pionieristici e sperimentali, diede al jazz una nuova direzione. Quelle nuove sonorità provenienti da oltreoceano folgorarono letteralmente i teenager inglesi al punto che cominciò un vero e proprio processo di studio ed imitazione dello stile Ivy League, sfoggiato dai loro idoli immortalati sulle copertine dei dischi. Da quella passione per il modern jazz nacque così l’etichetta modernist, poi abbreviata più semplicemente in Mod, per indicare coloro che avevano subito il fascino di tutto ciò che esulava dal provincialismo e tradizionalismo britannico.

Vespa superaccessoriata in pieno stile Mod
Vespa superaccessoriata in pieno stile Mod

E l’Italia giocò un ruolo fondamentale. Vacanze Romane del 1953, interpretato dai leggendari Gregory Peck e Audrey Hepburn in sella ad una Vespa per le vie più chic di Roma e La Dolce Vita di Federico Fellini del 1960 furono due delle opere che cambiarono per sempre il concetto di moda. Capire la lingua dei film stranieri non aveva importanza ed era uno sforzo del tutto superfluo; il vero scopo di quelle pellicole consisteva nel copiare i gesti più quotidiani, perché portarsi la sigaretta alla bocca o guidare una moto come un vero gentleman italiano non aveva pari in termini di eleganza. Da qui l’amore per le Vespe e le Lambrette, rese superaccessoriate con clacson e specchietti extra per farsi minacciosi, ma in verità solo più ridicoli, agli occhi dei Rockers, i loro rivali numero uno.

Il simbolo della Royal Air Force, adottato dai Mod
Il simbolo della Royal Air Force, adottato dai Mod

A dispetto dell’esterofilia in realtà i Mods restarono molto attaccati ai propri simboli nazionali come l’Union Jack e lo stemma della Royal Air Force (consistente nei tre cerchi concentrici di colore blu, bianco e rosso), tanto che iniziarono ad applicarli con delle toppe sui parka usati sia per proteggersi dall’umidità che per farsi notare nei nightclub di Soho dove trovarono il loro cuore pulsante: il Flamingo Jazz Club. Frequentato prevalentemente da bianchi appassionati di modern jazz di giorno, locale di punta per gli immigrati di colore in cerca di rhythm and blues durante la notte, i Mods decisero di vivacizzare la loro vita noiosa scoprendo il club dopo il loro orario usuale e assumendo grandi quantità di anfetamine, facilmente ottenibili in quel periodo tramite semplice ricetta medica. Ma naturalmente, per sconfiggere la noia non si fecero mancare nulla, neppure le risse con i famigerati Rockers.

I rivali e le derive del movimento

Sicuramente le lotte tra i Mods e i Rockers ci furono e le battaglie di Clacton e di Brighton del 1964 videro migliaia di giovani picchiarsi facendo di quegli episodi la storia di queste due subculture avversarie. Eppure la rivalità tra loro non fu mai molto chiara. Tra le giacche in pelle e i parka non ci fu mai un rapporto disteso e di certo gli uni si tenevano alla larga dai punti di ritrovo degli altri, ma anche tra gli stessi Mods non correva buon sangue e diverse ricerche hanno dimostrato uno spiccato panico morale esercitato dai media a discapito della loro immagine pubblica.

Nel frattempo attorno al movimento sorse un vero e proprio impero commerciale. Memorabile fu la formazione degli Who, un quartetto formato da Pete Townshend, Roger Daltrey, John Entwistle e Keith Moon, che divenne una delle maggiori band Rock ‘n Roll di tutti i tempi ottenendo un successo clamoroso nel 1965 quando pubblicarono il loro primo album intitolato My generation, portabandiera di una subcultura di cui loro stessi però non si sentirono mai parte. Dal 1966 le cose iniziarono a cambiare, frammentarsi ed evolvere a causa anche dell’arrivo di nuove droghe. Solo nel 1973 avvenne un colpo di coda quando gli Who pubblicarono Quadrophenia, sfociato poi in un film omonimo e in un vero e proprio movimento revival. Eppure l’evoluzione del movimento era già cominciata. Qualche Mod iniziò pioneristicamente a volersi distinguere dagli altri, qualcuno abbracciò la cultura hippy psichedelica, altri abbandonarono il look Ivy League in favore di uno stile più vicino a quello degli immigrati del West Indian; altri ancora rasarono i capelli diventando i primi skinhead. Il tutto sempre accompagnato da quella canzone di sottofondo: Why don’t you all f-fade away? And don’t try to dig what we all s-s-say, I’m not trying to cause a big s-s-sensation, I’m just talkin’ ‘bout my g-g-g-generation.

Universo subculture

1) Subculture e nuove tribù: l’esigenza di distinguersi
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Alice Porracchio

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