Il contrasto tra la campagna e le città ha creato una serie di trasformazioni e mutamenti sociali, economici e culturali che, con gli anni, ha degenerato in una maggiore urbanizzazione sconfinata delle stesse città e dall’altro in un repentino spopolamento dei paesi cosiddetti rurali.

Mutamenti sociali

Con l’avvento della Rivoluzione Industriale si è assistito maggiormente ai mutamenti sociali, tralasciando nefaste conseguenze. Negli anni abbiamo assistito agli spostamenti di popolazioni e d’intere generazioni, lasciando dietro emozioni, affetti, averi, amicizie, familiari, luoghi e ricercando lavori più stabili, più remunerativi, più consolidati. Da qui l’apertura verso il mondo industriale che avrebbe dato sicuramente maggiori garanzie e più mobilità sociale, ma che avrebbe minato sempre di più interi paesi di campagna, la cui forza trainante era ben esplicitata nella solidarietà dei propri cittadini, delle loro tradizioni, dei loro costumi, delle continue socializzazioni stabili e resistenti. Ad oggi quelle zone di montagna non solo hanno maggiori vincoli ma costituiscono meno attrattività per i residenti stessi (anche se il fenomeno è in crescita per i turisti) e di conseguenza denotano maggiori abbandoni e spopolamenti. Il rischio sarà la scomparsa degli stessi paesi di montagna, accompagnato da un eventuale abbandono territoriale che provocherà, o già sta provocando, maggiore incuria.

Alla riscoperta della comunità

La proposta sullo spopolamento dei nostri territori montuosi mette al centro tematiche di inclusione sociale, proponendo nuove popolazioni. Le zone di montagna, e con esse i piccoli paesi che sono intersecati al loro interno, potrebbero diventare dei veri e propri laboratori sociali, implementando una serie di passaggi ben strutturati: analisi, studi, pianificazioni, programmazioni, organizzazioni e monitoraggi. Ad oggi sono molte le persone che vivono in situazioni di marginalità ed esclusione sociale nelle grandi città, tra cui: migranti, ex alcolisti, ex tossicodipendenti, ex carcerati, minori orfani, disoccupati, donne violentate e abusate e giovani NEET. Queste categorie sociali, pur avendo già fatto un loro percorso riabilitativo e di risocializzazione, molte volte occupano una posizione periferica rispetto al centro del sistema sociale ai quali appartengono. Studiare un loro inserimento in queste aree a scarsa densità sociale ed in continuo spopolamento, potrebbe significare includerli socialmente in aree con un maggiore senso di comunità, meno anonimato e dai confini urbani più ristretti. Il che significa la possibilità di avere gruppi ben definiti, con una propria identità, riconoscibili all’interno di confini e luoghi coesi e ristretti ed uniti da vincoli organizzativi ben definiti.

Un ponte tra istituzioni e comunità locale

Con protocolli d’intesa tra Istituzioni nazionali e locali quali ministeri, prefetti, comuni, questure, università, associazioni e cooperative sociali, si potrebbero creare dei piani di inclusione sociale. La  pianificazione tra i vari enti locali e nazionali ed il coinvolgimento delle figure tecniche, le università, le associazioni e le cooperative, potrebbe creare un ponte con la comunità locale, strutturando solidi progetti lavorativi basate su tematiche quali:
– ruralità;
– agricoltura sostenibile e non intensiva;
– turismo rurale e di montagna;
– eco-turismo;
– turismo sostenibile;
– servizi sociali alla stessa comunità o comunità limitrofe.
Pertanto, le categorie sociali di riferimento verranno considerate insieme alla comunità locale come parte attiva di un processo di sviluppo, creando inclusione sociale mirata.

Nuove risorse

La proposta in atto servirà quindi non solo a ripopolare zone completamente desertificate ed abbandonate dalle stesse persone del posto, ma ad utilizzare le risorse del luogo con specifici progetti che tendono a rendere quei territori occupati, per scopi lavorativi. Il connubio tra risorse presenti in quelle zone montuose e categorie sociali, messe ai margini dalle grandi città, può rendere questi territori dei veri e propri laboratori sociali in grado di creare lavoro e servizi, allentare i molti problemi delle grandi città e soprattutto ridistribuire al meglio la popolazione nel sistema italiano. Grazie all’utilizzo delle proprie risorse, le zone di montagna potranno essere molto più abitabili, mostrandosi come isole felici, valorizzando i nuovi cittadini e creandogli una specifica identità. Quanti ormai, nelle zone montuose o piccoli paesi rurali, sono i servizi carenti o addirittura assenti, dettati dalla mancanza di personale adeguato per quello specifico ruolo? Quanti sono i terreni incolti e abbandonati per mancanza di necessario capitale umano? Quante persone anziane, totalmente sole, non hanno un’assistenza socio-assistenziale, dovuta anche all’assenza e alla mancanza di capitale umano? Domande che potrebbero finalmente trovare una risposta.

Fabio Cinnadaio

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