Ciò che un tempo determinava reiterati processi di configurazione identitari era rappresentato dal cosiddetto “individualismo possessivo”: esisto perché posseggo. Il processo di costruzione identitario e le consequenziali riconfigurazioni del soggetto, all’interno della società sempre più stratificata ed al contempo plurale, hanno acquisito rappresentazioni differenti. Esserci come sostanza, diceva Heidegger, ma oggi, nell’era in cui il campo sociale è sempre più conflittuale ed altresì virtuale, come viene costituito il soggetto ed il suo l’esser-ci nel mondo?

Questione di identità

Il contesto attuale, sempre più virtuale e dominato dai nuovi media, costruisce-ricostruisce identità altre e postula solidarietà meccaniche, relazioni scardinate dalle categorie spazio/tempo, ma scevre da qualunque approccio sostanzialista. Amicizie virtuali, numero di followers e like sulle più disparate piattaforme o tecnologie del potere, parafrasando Foucault, rappresentano il volano di ogni nuovo processo di costitutività del soggetto. Interrogarsi sull’identità e sulla dimensione culturale della stessa, all’interno del campo politico sempre più globalizzato, significa adottare approcci de-costruzionistici e comprendere la natura socialmente costruita della medesima. Identità significa identico e ricorre ad approcci referenziali prescindendo da approcci pluralisti. Il processo di “omogenizzazione” della società e di essenzializzazione dell’individuo, attuato da politiche paternalistiche e retoriche oggettivizzanti, non permettono di scorgere la natura fallace del processo di costruzione identitario del soggetto. L’attore sociale esiste in quanto monade e come essere solipsitico, niente di più fuorviante. L’individuo, proprio perché indivisibile, esiste nella relazione, dunque, nel noi.

Distanza sociale

Il ricorso alle categorie iconologicamente costituite ed alla retorica della globalizzazione celano, pertanto, escamotages linguistici che, nell’era dei muri trumpiani, del terrorismo internazionale, dei ferventi e nostalgici nazionalismi e patriottismi vari, incrementano solo ed unicamente false credenze e dialettiche della prossemica/cinesica della distanza sociale, che, oltre ad esprimersi linguisticamente, si concretizza in vere e proprie tecniche del corpo, mediante le quali tracciare confini identitari e spazi sociali segnati da una netta linea di demarcazione. Come percepire l’altro? In un simile contesto, l’approccio pregiudizievole è indubbiamente il più diffuso, ma svelare la fallacia di simili costruzioni è uno dei compiti dell’antropologia e della sociologia. Sistemi valoriali, credenze, endoxa, politiche di costruzione identitarie e processi di standardizzazione, nonché di normalizzazione della violenza, provocano l’inevitabile aumento della distanza ma siamo sicuri che l’attore sociale sia solamente agito e non già essere agentivo?

Homo ludens

Che l’individuo fosse disciplinato, ma con una certa autonomia, dall’habitus, dispositivo interiorizzato dal soggetto che permette lui, assimilando tecniche del corpo e modus operandi, di vivere nel mondo, lo aveva preannunciato il sociologo francese Pierre Bourdieu. L’individuo, infatti, reagisce ed è esso stesso prodotto/produttore culturale. Come interpretare allora l’identità e la relazione, oggi,  nell’era della rappresentazione/rappresentatività? Esistono molteplici dispositivi che permettono all’homo ludens di rappresentarsi e di configurare la propria identità all’interno di una “formazione discorsiva”. Fake, identità virtuali, messaggistica istantanea, spazi eterotopici e campi plurali, attivano meccanismi di ri-configurazione del sé e l’individuo, connotato polisemicamente, adotta identità plurali senza mai rimanere ingabbiato all’interno di monadi secolarizzate. Come pretendere di categorizzare aprioristicamente l’attore sociale se è esso stesso produttore culturale? L’individuo esiste al plurale, nella relazione e prescindendo da categorie kantiane. Piuttosto, il quesito corretto al quale rispondere è: perché l’individuo vuole esserci nella distanza, ma di fatto, non esterna le medesime sensazioni, filtrate dai media, in presenza?

Leone da tastiera

È una crisi della presenza o l’attore preferisce identificare se stesso attraverso l’aspetto ludico della vita ed il tempo libero? Che tipo di dinamiche relazionali si creano? Il soggetto che attiva più profili sui social, che legge ma non risponde ai messaggi, che comunica tantissimo attraverso la tastiera, ma si imbarazza davanti a due occhi, che tipo di identità costruisce? Cosa celano simili azioni sociali? Qual è il senso latente delle azioni compiute dall’homo ludens? Costruire politiche di rappresentazione plurali del sé e rispondere ai bisogni creati dalla società e da se stesso. Sembra ragionevole convenire, pertanto, sul fatto che al di là del medium, l’uomo configura se stesso mediante processi di costitutività dialettici e contingenti, abbandonando di fatto, qualsivoglia teoria referenziale e tautologica della fenomenologia dell’io.

Sociologicamente

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