Uno degli strumenti più importanti per la ricerca qualitativa nella storia è senza dubbio la rivista fotografica. In particolar modo, Life, fondata nel 1936 da Henry Luce, si poneva l’obiettivo di portare agli occhi dei lettori la vastità degli elementi del reale, permettendo a chicchessia (ma più che altro il target principale della stessa, ossia, il cittadino medio) di avere uno sguardo sul mondo diverso dal proprio contesto di riferimento. Questa rivista giocava molto sui cromatismi: compiva un’operazione di sistematizzazione delle immagini, ossia, a un articolo di cronaca nera veniva affiancata l’immagine di una pubblicità dai colori freddi e successivamente veniva inserito un articolo di cronaca mondana con immagini dai colori caldi. In altre parole, si giocava sull’emotività del lettore che veniva costantemente stimolata, impedendo, quando possibile, la noia e il calo di attenzione.

Robert Capa: la morte in uno scatto

Il fotografo ungherese Robert Capa
Il fotografo ungherese Robert Capa

Tra le agenzie che facevano da tramite fra fotografi e testate fotogiornalistiche, la Magnum Photos è quella che si ricorda più facilmente data la sua importanza storica. Tra i suoi fondatori ricordiamo Robert Capa, considerato da molti il fotografo di guerra per eccellenza: egli, per via del trauma della morte della sua compagna Gerda Taro schiacciata da un carro armato, andava sempre in prima linea, coi soldati, indossando una mimetica anch’egli. C’è chi ritiene questo comportamento un desiderio, tramite pallottola vagante, di morire e raggiungere la compagna; ciononostante, sopravvivrà fino al 1954, dove morì documentando la guerra d’Indocina, saltando su una mina, immortalando il momento della sua morte.

Vita quotidiana

Robert Capa immortala il momento della sua morte
Robert Capa immortala il momento della sua morte

È interessante notare come egli non si focalizzi semplicemente sulla battaglia in corso o sugli esiti nefasti di una battaglia. Egli documenta anche scene di vita quotidiana, snobbate all’inizio dai critici proprio perché vi era un’impostazione abbastanza rigida nelle foto di guerra stesse, che non potevano che riguardare l’atto del conflitto e i suoi esiti. Quello che non venne subito compreso è che questo immortalare scene del genere era uno  schiaffo in faccia alle consuetudini nefaste della guerra. Si dimostrava così che, anche in periodo di guerra, ci si può divertire, si possono avere momenti di ludicità e spensieratezza, insomma, un baluardo contro lo spettro della morte.

Agenzie e testate fotogiornalistiche

Una delle copertine più iconiche di Life
Una delle copertine più iconiche di Life

Tra testata fotogiornalistica e agenzia v’è un rapporto molto stretto: quest’ultime vennero ad affermarsi nel periodo in cui le testate, come appunto Life, incontrarono problemi di carattere economico. Basti pensare, ad esempio, che la stessa Life aveva a libro paga centinaia di persone, non solo fotogiornalisti sparsi per tutto il globo. Il declino (seppur momentaneo sotto certi punti di vista) di Life come di altre riviste di tale risma, deriva inoltre dalle difficoltà comunicative tra fotogiornalisti e testata. Questi non potevano controllare e valutare il materiale di loro produzione, che veniva spedito “a occhi chiusi”, privo di uno schema interpretativo. Questo faceva si che il “taglio” del produttore del lavoro fotografico venisse spesso travisato o completamente risemantizzato. Le agenzie, che di lì a poco nacquero, funsero da intermediari tra testata e fotogiornalista, e non è difficile comprendere dunque il perché queste erano frequentate da amici e parenti del fotogiornalista stesso: essi riuscivano a comprendere (o conoscevano già) il “taglio”, lo stile, che il fotogiornalista voleva dare al suo lavoro.

Dorothea Lange e l’offuscamento degli sguardi

Dorothea Lange, Migrant Mother (1936)
Dorothea Lange, Migrant Mother (1936)

Figlia intellettuale della FSA (Farm Security Administration), Dorothea Lange introduce una metodologia di rappresentazione delle immagini molto particolare. Operando nel contesto della grande crisi degli stati del sud America, dovuta alla grande siccità del 1932-1936, si differenzia dai suoi colleghi come Arthur Rothstein (che si concentravano anche su paesaggi e attrezzi da lavoro), poiché valorizza i contadini migranti. Questo processo di valorizzazione va a intendersi non come riabilitazione della figura umana, ma come cruda e potente constatazione della realtà del periodo, come utile specchio, un utile dato d’indagine.

Dorothea LangeAl momento delle sue foto, la Lange immortalava individui che non operavano, erano inerti, inoperosi. Essendo i contadini fortemente idealizzati e percepiti dagli altri (ma anche da se stessi) come “braccianti, gente che lavora sodo, che vive del loro lavoro il cui rendimento è direttamente percepibile come frutto della madre terra“, vederli fuori dal proprio contesto, privati di quella identità lavorativa che li caratterizzava, scosse l’opinione pubblica dell’epoca. Inoltre, la sua tendenza ad offuscare gli sguardi, cioè a ritrarre i soggetti con parte del viso nascosto, enfatizza la crudezza dell’identità strappata: un uomo senza volto, è un uomo senza identità.

Francesco D’Ambrosio

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