In occasione dell’edizione 2019 della scuola di alta formazione in sociologia della religione tenutasi a Roma lo scorso dicembre, il professor Franco Ferrarotti, in quanto Presidente Onorario dell’International Center for The Sociology of Religion (ICSOR), ha presentato una relazione introduttiva dal titolo “La vocazione interreligiosa e interculturale del mediterraneo”, ricca di spunti di riflessione. In questo articolo v’è un piccolo estratto.
Il dominio del discorso
“Mi conforta l’idea che gli antichi Romani, mentre accettavano le credenze religiose e le usanze dei popoli sottomessi, su tutti imponevano l’uso della lingua latina. Forse, secoli prima di Michel Foucault, avevano compreso che il discorso è mezzo di comunicazione, ma anche, se non primieramente, strumento di dominio. Oggi i gruppi influenzanti hanno tradito, non solo in Italia, la vocazione naturale del ‘mare fra le terre’, un mare chiuso, dolce, femminile. La mer. Esso è necessariamente il mare dell’interscambio fra le varie culture e religioni, un luogo in cui più viva, polisemica e plurilinguistica, è cresciuta e si è sviluppata la presenza umana da tempo immemorabile. Si pensi solo alla Sicilia dove si sono storicamente incontrate e affrontate e reciprocamente fertilizzate, per così dire, credenze religiose e culture di ascendenza araba, nordafricana, normanna e naturalmente greco-romana“.
Mare humanum
“La storia, dall’avvento del capitalismo prima e delle successive rivoluzioni industriali poi, ha cambiato pian piano alloggio. Il mare Mediterraneo, ossia ‘il mare fra le terre’, è un mare storicamente presente da tempo immemorabile, un luogo in cui più ricca e densa si è fatta l’esperienza storica, un luogo centrale nella storia dell’umanità. Ciò è stato vero almeno fino al 1492, quando ad esso subentra, almeno parzialmente e in un senso del tutto differente, l’oceano Atlantico. L’eurocentrismo del grand siècle, quello di Luigi XIV e dello spiritoso Voltaire, cui penso spesso leggendo il brillante, acuto, Raymond Aron, è finito. Per la prima volta, dopo venticinque secoli dall’Atene di Pericle del V secolo a.C., il destino dell’Europa non è più nelle mani degli Europei. Dipende dai rapporti fra Russia, Stati Uniti e Cina, in subordine India e Africa. Tuttavia i valori europei sono ancora essenziali, nella misura in cui gli Europei ne hanno coscienza e coerentemente li incarnano e li fanno valere. E dunque, la lezione del Mediterraneo, in questo senso e in questa prospettiva, è oggi più valida che mai: il mare nostrum, come lo chiamavano i nostri progenitori, gli antichi Romani, deve oggi trasformarsi in mare humanum, in armonia con la sua vocazione profonda. Qualunque essere venga al mondo su questo pianeta in sembianze umane è, dalla nascita, titolare di un diritto originario di umanità che toglie qualsiasi fondamento alla pretesa razzistica di una gerarchia fra le religioni, le razze e le culture umane. Dal concetto di sviluppo storico diacronico si passa al concetto di sviluppo storico sincronico. Cade la cesura fra hominitas e humanitas. Attraverso la parola, i gruppi umani creano sistemi e strutture di significati“.
Essere pontefici
“Nel momento in cui capi politici responsabili, in grado di leggere i segni della storia, dovrebbero farsi ‘pontefici’, cioè costruttori di ponti, si adoperano invece per alzare muri, coltivano il mito dell’invasione di immigrati, danno corso ad anacronistiche ‘guerre della tariffa’. Parlano, o si illudono di parlare, in nome del popolo. Ma non sanno che per i Romani della classicità, ‘populus’ vuol dire ‘popolo in armi’ e che il verbo infinito passivo ‘populari’ significa ‘devastare, saccheggiare, incendiare’. Nessuno si salva da solo. La loro inconsapevolezza è così tracotante da riuscire commovente. Non si sa se definirli studenti fuori corso, dilettanti allo sbaraglio o ancora delinquenti in libera uscita. In sostanza essi negano l’altro. Non comprendono che l’identità non è un dato; è un processo. Identità e alterità sono pratiche di vita e concetti correlativi“.
Problemi di sovranismo
“Naturalmente, il cadavere è un bel pensiero per il verme. Nel momento in cui masse umane si muovono alla ricerca di una vita diversa e di condizioni esistenziali migliori, da un continente all’altro, i sovranisti negano il diritto di attracco alle navi, fanno del Mediterraneo, del ‘mare fra le terre’, contro la sua vocazione storica, un luogo di tortura o un cimitero a cielo aperto. Ancor meno plausibilmente si può invocare il Genius loci. Il Genius loci si pone come il fondamento delle culture positive e creative. Chi non riconosce o dimentica o recide le proprie radici mette a repentaglio la propria perpetuazione insieme con la propria creatività. Ma non bisogna per questo mitizzare il Genius loci. Feticizzare le proprie radici, blindare la comunità autoctona contro lo straniero significa non comprendere che l’identità si riconosce nell’alterità. Ma nell’uso odierno, il sovranismo non si esaurisce nel semplice esercizio della sovranità. Si carica di una peculiare rivendicazione polemica, rifiuta ogni tipo di mediazione, reclama la democrazia diretta, che ammonta in realtà, tramite la Rete, ad una manipolazione di massa. Sarebbe utile riandare in proposito ai ‘Federalist Papers’, in particolare a quel mirabile intervento di James Madison, stretto collaboratore di Thomas Jefferson e quarto presidente degli Stati Uniti, sulla temibile e sempre possibile ‘tirannide della maggioranza’. Rispetto ad essa, la tirannide classica con un solo tiranno conosceva e consentiva di praticare il tirannicidio. Ma è probabile che il sovranismo di oggi, così canoramente conclamato, sia solo un atto di nostalgia da parte di un’incompetenza così tracotante e dotata di un’ignoranza storica quasi commovente, che non si rende conto che il sovrano non c’è più, che la democrazia diretta mercé la rete è solo, nel caso migliore, un sondaggio di opinioni, se non una comoda menzogna, o una ricerca di mercato, che è venuto meno il rapporto diretto, vero, a faccia a faccia, che definiva, e ancor oggi definisce, l’autentico processo democratico, cioè un luogo in cui ci si parla, si discute, si riconosce l’altro come interlocutore e non solo come oggetto di insulti, si può cambiare opinione, si arriva a un consenso mediato e a una verità intersoggettiva“.
Diritto all’umanità
“Occorre recuperare il rapporto umano diretto, faccia a faccia; riscoprire la natura del dialogo interpersonale in cui si discute, ci si confronta, si può anche cambiare opinione, si riconosca l’altro come interlocutore, non come a priori nemico. Di qui, un diritto che va oltre i diritti umani, più o meno genericamente intesi. È il diritto di umanità, legato alla sacralità della vita. La vocazione del Mediterraneo è a questo proposito essenziale. Come ricordava l’indimenticabile Fernand Braudel, ‘il Mediterraneo è mille cose insieme; non un paesaggio, ma innumerevoli paesaggi; non un mare, ma un susseguirsi di mari, non una civiltà, ma una serie di civiltà’. Che cosa le tiene insieme? Un valore che è nello steso tempo religioso, culturale e politico: l’uomo come fine, mai come strumento. È un valore che si esprime nel diritto di umanità, di cui ogni essere che nasca in sembianze umane e viva sul pianeta Terra è titolare, un diritto che, nella sua essenza, è dichiarato e in vario modo, storicamente, valorizzato dalle cinque grandi religioni universali, ormai consapevoli che, nella situazione nucleare in cui ci troviamo a vivere, solo il dialogare interreligioso e la convivenza civile possono garantirci contro l’autoannientamento dell’umanità“.
Salad Bowl
“Credo che l’impostazione del problema-migranti, con le migliori intenzioni, da parte delle organizzazioni umanitarie sia stata erroneamente impostata. Non si tratta di invocare, dal Papa alla Comunità di S. Egidio, bontà e cuori teneri, accoglienza e benevolenza. È in gioco una visione realistica della situazione. Già oggi gli immigrati contribuiscono a pagare le pensioni di un popolo senescente, non raccolgono solo le olive in Calabria o i pomodori in Puglia, né si occupano solo della produzione nelle fonderie del Nord Italia. Si occupano dell’assistenza ai vecchi soli, in numero crescente, e dei bisogni della quotidianità domestica. Gli immigrati sono necessari; non sono solo un problema; sono una risorsa. Spetta all’Europa ritrovare i termini, economico-culturali e storici, per una immigrazione che non sia caotica estraneità, ma, ancora una volta, occasione di arricchimento interculturale e progresso civile. Le difficoltà sono evidenti. Non si tratta di realizzare un melting pot, che riuscirebbe, al più, una babelica congerie, bensì una salad bowl, o ‘insalatiera’, in cui ogni filo d’erba, vale a dire ogni cultura, manterrebbe la propria identità, pur aprendosi e dialogando con le altre culture, nella piena consapevolezza che oggi, nella situazione nucleare dell’umanità, la condizione per evitare l’autosterminio si lega a un semplice, drammatico dilemma: dialogare o perire. Oggi, nessuna cultura o religione può considerarsi sovranamente autosufficiente e strumento esclusivo di salvezza. E nessuna gerarchia fra le varie religioni e le varie culture come sistemi di simboli e significati appare oggi sostenibile. Solo l’accettazione e la convivenza di culture e religioni diverse mediante l’elaborazione del concetto e della pratica di co-tradizioni culturali sembrano aprire una via d’uscita dalle contraddizioni che oggi pesano sulla vita quotidiana dell’umanità e ne segnano duramente il destino“.
Francesco D’Ambrosio
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Hr specialist, orientatore e giornalista pubblicista laureato in Sociologia con lode. Redattore capo di Sociologicamente.it.
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