Il desiderio di non dimenticare, la volontà di fissare determinati momenti della propria vita, la necessità di dover testimoniare e dar prova che un evento è realmente accaduto, rappresentano l’apice delle situazioni cui l’essere umano ha sempre dovuto fronteggiare per soddisfare l’esigenza di percepirsi in una narrazione.

Scrittura e racconto

In base all’epoca, ci si è serviti di racconti orali, di pittogrammi o della scrittura in tutte le sue forme, come anche dipinti e ritratti, per arrivare, infine, alla fotografia. Ognuna di queste tecniche comunicative, in base al potere e alle caratteristiche che le sono proprie, ha aiutato l’uomo in questa sua necessità. Ciascuna, presa singolarmente, non può tuttavia assolvere del tutto a una funzione descrittiva ottimale. A ognuna di queste tecniche, infatti, manca quel coinvolgimento dei sensi tale che solo chi vive una situazione in prima persona può comprendere. La scrittura stimola fortemente l’immaginazione di chi scrive e di chi legge, la quale si troverà a colmare i vuoti dovuti alla mancanza del suono, della vista e dell’azione. Un avvenimento potrà essere descritto nel dettaglio in un libro, ma la realtà soggettiva, quella presente nella mente dello scrittore, è difficile da riprodurre, soprattutto perché non si possono conoscere le biografie dei lettori che entreranno a contatto con la storia. Diversamente, un racconto orale incoraggia la percezione uditiva: infatti chi narra può guidarci nella comprensione della storia, ma il resto verrà sempre completato nella mente di chi ascolta, attraverso un processo di immaginazione-costruzione esclusivamente personale.

Dipinti, foto e cinema

Un dipinto chiama in causa invece soprattutto la vista e, anche se manca il racconto di ciò che è rappresentato, descrive la rappresentazione con codici comunicativi legati al colore e le forme. La foto è lo strumento che più si avvicina a una riproduzione fedele di ciò che si vuole rappresentare – se contiamo il desiderio da parte del fotografo di rappresentare la “realtà vera”- aiutando i sensi con elementi denotativi e connotativi a comprendere in profondità quello che si vede nonostante non sia ancora presente l’azione, il movimento. Qui dunque si inserisce il cinema: immagini, voce e movimento sono insieme, in una sorta di sintesi semi-perfetta per la narrazione dagli intenti spettatoriali. Se si riesce a produrre una rappresentazione narrativa coerente, spesso non ci si deve sforzare di immaginare nulla. Solo guardare, emozionarsi ed empatizzare con essa.

La prospettiva cinematografica

Il cinema può considerarsi una delle invenzioni più importanti del XIX secolo. Un’invenzione che ha cambiato totalmente il modo di percepire la quotidianità e di vedere se stessi, di raccontare e di ricordare. Attraverso il cinema, le persone possono accedere a mondi nuovi. Possono entrare a far parte di vite diverse dalle loro per unirsi emotivamente a soggetti e situazioni rappresentate sullo schermo. Un’invenzione che è capace – parafrasando François Truffaut – di migliorare la vita, sistemarla a modo proprio, prolungare i giochi dell’infanzia. Il cinematografo si contraddistingue proprio per la sua aspirazione a voler riprodurre i “movimenti del mondo”. Attraverso il colore e il suono, si tenta di vincere, in qualche modo, la partita col tempo, sottraendo pezzi di realtà all’oblio. Attualmente il cinema, settima arte per eccellenza, vive la sua età nell’industria culturale e dello spettacolo 4.0. Si sviluppano tanti generi e tipologie cinematografiche differenti. Sia dalle grandi case cinematografiche che dalle periferie delle città e del mondo, si riesce a offrire una gamma di scelte tale da soddisfare i gusti sempre più particolari degli spettatori. Non si tratta più solo di una tecnica per registrare immagini in movimento, ma un vero e proprio linguaggio glocale per l’autodeterminazione. Esso è basato infatti su codici specifici ed è capace di veicolare in maniera unica i significati e le emozioni più profonde delle vicende umane.

Francesco D’Ambrosio

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