Il sistema mediatico è attraversato, attualmente, da profondi cambiamenti soprattutto dopo aver imboccato la strada della digitalizzazione. Un processo che si palesa continuamente intorno a noi ma che rimane, per alcuni aspetti e soprattutto per l’utenza finale, ancora sconosciuto nella portata e nelle direzioni che intende intraprendere. Tali cambiamenti hanno inevitabilmente delle implicazioni sociologiche che influenzano la quotidianità comunicativa di ognuno di noi ma soprattutto, cosa più importante, causano profondi cambiamenti del ruolo dell’utenza, che diventa attrice attiva, abbandonando quella passività acritica e inconsapevole che l’ha caratterizzata per anni.
Un villaggio globale
Questa nuova età mediatica è riscontrabile su alcuni mezzi di comunicazione più che in altri e in particolar modo sulla Rete per antonomasia: Internet, grazie anche al connubio con il medium televisivo (IPTV e web TV). Internet, ossia la contrazione linguistica della locuzione inglese “interconnected networks” (reti interconnesse) è, come tutti sanno, una rete mondiale di computer ad accesso pubblico, attualmente rappresentante il principale mezzo di comunicazione di massa, che offre all’utente una vasta serie di contenuti informativi e servizi di varia natura accomunati da un medesima caratteristica: essere costantemente in contatto con tutto il mondo. La Rete rende quest’ultimo una sorta di villaggio globale, anzi glocale. Internet è il medium della cosiddetta glocalizzazione, termine introdotto dal sociologo Zygmunt Bauman che si costituisce, sia linguisticamente che semanticamente, sulla crasi tra global e local e si sostanzia su un’azione caratterizzata da dinamiche di interrelazione tra i popoli, tenendo conto però delle loro peculiarità culturali, delle loro istanze identitarie e di appartenenza territoriale, inquadrate in un contesto storico ben determinato.
Tra Internet e la televisione
Il web, nel tempo, è diventato strumento quotidiano nelle mani di un’utenza sempre più alfabetizzata e fidelizzata, baluardo e simulacro di quel processo democratizzante descritto prima, processo anche sociale come dimostrato dai social network, veri e propri catalizzatori di condivisione e relazioni irrealizzabili, almeno apparentemente, nel mondo reale. Per quanto riguarda la televisione occorre puntualizzare che il suo avvento, nel secolo scorso, ha meravigliato tutto il mondo per lo straordinario potere di abolire le distanze e i tempi, riunendo gli utenti in immense comunità transnazionali, ma, ancora oggi, riesce a sorprenderci per la sua capacità di viaggiare liberamente fra i media, di ibridarsi e offrire la sua presenza al pubblico in forme, in parte o del tutto, nuove. Una nuova esperienza comunicativa tout court che, grazie alle potenzialità e alle nuove possibilità che offre, coinvolge l’utente del nuovo millennio con la stessa intensità con cui la vetero-tv attirava il suo pubblico. Una nuova concezione del mezzo che mitiga e rinegozia i confini tra i media e i loro contenuti tipici e lascia intravedere come tutto il sistema, che ci ha intrattenuto e informato fino ad oggi, mostri segni di cedimento e debba essere analizzato in una prospettiva di più ampio respiro.
Il potere perduto della tv
Tuttavia l’aspetto più caratterizzante, la trasformazione più radicale consiste, per la televisione, nella perdita del suo status di medium di massa, di elargitrice di contenuti diffusi dall’alto verso il basso prodotti secondo modalità industriali, per approdare finalmente nel territorio di quella che potremmo definire democrazia mediale, o meglio, “democratizzazione mediale”. Infatti oggi ci troviamo di fronte ad un processo sotteso a dinamiche meccanicistiche di causa-effetto che, almeno allo stato attuale, appare lontano dal suo compimento, evidenziando tutti i risultati raggiunti ma, al tempo stesso, anche tutte le potenzialità inespresse, che possiede in fieri e che possono diventare realtà in un futuro prossimo. La tv vede ridimensionata la sua sacralità, la sua aurea di pulpito postmoderno, il suo carattere di divinità tecnologica portatrice di verità mediatiche assolute e incontrovertibili e al contempo si umanizza, assume le caratteristiche di mezzo di comunicazione al servizio di chiunque voglia usarlo solo perché, in un dato momento e in un dato luogo, ha semplicemente qualcosa da vedere o da dire. Un’evoluzione che quindi muta profondamente il ruolo di quello che fino a poco tempo fa era un semplice consumatore, dando vita ad una nuova, complessa figura spettatoriale, che diventa di conseguenza anche autoriale produttrice di contenuti. Esso rappresenta la definitiva emancipazione dell’utente da un’anacronistica passività e la conseguente assunzione di una consapevolezza nuova e affascinante: l’identificarsi in un ruolo fortemente attivo in cui le vecchie classi mediali si livellano fino a formare una grande classe, una sorta di ceto mediatico omnicomprensivo che racchiude in sé categorie prima separate da uno schermo.
L’emancipazione dello spettatore
La democratizzazione mediale costituisce, come detto, un fenomeno comunicativo in fieri, che appare, almeno allo stato attuale, lontano dal suo compimento definitivo. Il termine stesso evidenzia i caratteri della provvisorietà, abita il contesto semantico dello stato intermedio, preconizzando il raggiungimento di una piena democrazia. Nonostante tale condizione di sostanziale incompiutezza, che però ha inscritta in sé la volontà di assurgere ad un totale regime democratico-comunicativo, l’età mediatica che stiamo vivendo rappresenta, nella sua unicità, una svolta epocale in questo ambito, un progresso senza precedenti che hai il sapore della conquista e dell’emancipazione da retaggi culturali vetusti e, ormai, obsoleti. Per la prima volta nella storia della comunicazione la distanza che separava un tempo produttori di contenuti dai consumatori si riduce drasticamente fino ad annientarsi; quello che era un rapporto mediatico unilaterale tra un attore attivo e uno passivo diventa gradualmente, ma inesorabilmente, biunivoco e si arricchisce di significati socioculturali fino a poco tempo fa nemmeno contemplati in potenza. Il palcoscenico dell’intrattenimento e dell’informazione si abbassa al livello dell’audience e i suoi protagonisti perdono quell’aura di divinità mediatiche irraggiungibili, il loro culto si laicizza e vengono fagocitati in una massa indistinta di individui con una crescente consapevolezza, una coscienza critica che domina con disinvoltura standard e supporti tecnologici. Questa nuova comunità assurge a guida di una comunicazione che si tematizza, diventando attraente per un pubblico numeroso che da monolite roccioso e indistinto si differenzia in tante nicchie diverse per interessi e propensioni speculari e, al contempo, complementari ai contenuti offerti.
Marino D’Amore
