L’uomo per sua natura vuole migliorare la propria condizione, con le proprie vedute e le proprie conoscenze. Di conseguenza non si possono non riconoscere nella nostra società continui cambiamenti strutturali di tipo economico, politico, sociale.
Già alla fine del XIX secolo la salda economia industriale cede il passo a nuovi settori economici. Daniel Bell nel 1956 invoca un nuovo periodo, il “post- industriale”, dato l’avvento del terziario1, fino ai nostri giorni, in cui assistiamo, immersi in un mondo globalizzato, a continui assetti geo-politici, con le conseguenti ripercussioni nel mondo del lavoro e nella sua organizzazione.
Il mondo della scuola è sicuramente una realtà che risente quotidianamente di questi cambiamenti. La scuola diventa impresa-scuola in cui il preside è il nuovo dirigente scolastico. La globalizzazione comporta ogni giorno forti influenze sull’insegnamento, sulla sua efficacia-efficienza e soprattutto sui modi di fare, il linguaggio, le abitudini degli studenti, andando a disegnare nuovi corollari culturali e ambientali.
Scuola: alcuni modelli organizzativi
Volendo dare uno sguardo ai vari modelli organizzativi dell’impresa, soprattutto nel corso dell’ultimo secolo, il nostro pensiero va innanzitutto al taylorismo2 e alla organizzazione scientifica del lavoro (OSL), in cui ogni lavoratore occupa un posto come un pezzo di una macchina (catena di montaggio). In quel contesto anche l’organizzazione scolastica mantiene una forma gerarchizzata in cui ognuno rimane nel suo ruolo e nelle sue mansioni. Già con Elton Maio emerge l’importanza del fattore umano e con Hertzberg un’attenzione alla motivazione e alla leadership. Con Butera l’orologio diventa organismo e l’uomo entra a far parte nel mondo della rete.
Weber rivoluziona la ricerca scientifica apportando un grande contributo al metodo, capovolgendo il sistema e volgendo lo sguardo al soggetto e alla sua “azione dotata di senso”. Da qui il via a un nuovo filone che, nello studio delle teorie organizzative, viene detto “approccio culturale”3.
Esso ha come oggetto di studio la cultura all’interno di ogni attività di lavoro. Il termine cultura, dal latino “cultus”, indica un complesso di cognizioni, tradizioni, procedimenti tecnici, tipi di comportamento usati sistematicamente da un popolo o da un gruppo sociale. La cultura in una organizzazione si caratterizza soprattutto per l’analisi delle forme espressive, dei processi di creazione e condivisione, di significati presenti, dando origine all’attivazione dell’ambiente “come modo di creare un proprio luogo di lavoro, in cui il gruppo assume una propria identità”. La cultura diviene così un patrimonio comune di individui diversi.
Karl Weick e l’organizzazione scolastica
Karl Weick, infatti, rimuove ogni aspetto organizzativo ben strutturato nei ruoli, nelle mansioni e nei compiti specifici. Ipotizza che quanto più un’organizzazione goda di legami deboli e di una struttura poco cardinata, tanto più si creino motivazioni individuali e maggiore impegno nella costruzione della realtà sociale. Le connessioni deboli diventano funzionali all’organizzazione stessa. L’attività lavorativa diviene un “flusso di esperienza” dei soggetti con i propri processi cognitivi. I miti, i riti, gli aspetti simbolici assumono un aspetto importante legato al contesto. Weick studia le organizzazioni scolastiche come sistemi a legame debole, in cui ogni attore svolge una sua parte non connessa con l’altra. Il dirigente non è direttamente legato all’insegnante nè con l’operatore scolastico.
Lo studente è alle prese con l’apprendimento. Le parti rimangono connesse da legami deboli e ci si chiede come si possano raggiungere gli obiettivi prefissati. La professionalità, la capacità di gestire e valorizzare il soggetto con il suo mondo, la sua cultura, la sua esperienza, considerato l’ambiente e il contesto di vita fanno in modo da poter ottenere e raggiungere risultati inaspettati.
Scuola: proposte per la figura del sociologo
La figura del sociologo si inserisce in questa panoramica ed è sempre più necessaria una figura professionale che accosti il soggetto al proprio vissuto, alla propria estrazione sociale, alle proprie conoscenze, alle proprie richieste e ai propri bisogni. La SOIS (Società Italiana di Sociologia), nella figura della sua presidente Patrizia Magnante e su proposta della consigliera nazionale Maria Grazia Lezzi, propone la figura del sociologo nelle scuole direttamente al ministro Bianchi. Tale figura, in equipe con uno psicologo, andrebbe a completare l’attenzione posta sul singolo, visto nel proprio ambiente e con le proprie abitudini.
Monitorare i problemi sociali che si sviluppano all’interno della comunità scolastica diventa un punto importante per far fronte ad una esigenza di efficienza/efficacia nella vita scolastica. Si propone un monitoraggio dei problemi sociali nella scuola, linee di intervento risolutive, costituzione di un osservatorio permanente di ascolto dei bisogni della comunità studentesca e educante, analisi dei dati sulle varie necessità, sinergia con altre figure professionali, finalizzata a migliorare una comunicazione orizzontale e verticale, supporto nelle attività di orientamento degli studenti, sostegno nelle competenze non cognitive. Tutto ciò sicuramente potrebbe restituire senso di unità nella conoscenza e nel senso critico.
Il corpo insegnante trarrebbe giovamento da tale innesto in quanto potrebbe usufruire di una serie di dati riguardanti il mondo studentesco contestualizzato in quel determinato territorio. Si crea sicuramente una migliore sintonia là dove emittente e ricevente sono ben sintonizzati, dando sicuramente un incentivo ad una più efficace comunicazione tra insegnanti, studenti, operatori scolastici e genitori e traendone frutto positivo quel processo dell’insegnamento finalizzato all’apprendimento.
Giuseppe Valente
Riferimenti bibliografici
1 D. De Masi (a cura di), “L’avvento del post-industriale”, Franco Angeli, Milano, 1986.
2 G. Bonazzi, Storia del pensiero organizzativo, Franco Angeli, Milano, 1990.
3 S. Zan, Logiche di azione organizzativa, Bologna, Mulino, 1988