Facebook. La piattaforma sociale per eccellenza. L’app più scaricata negli ultimi anni, sempre più utenti registrati, sempre più like, foto, visualizzazioni, condivisioni. Ma qual’è lo scopo della sua invenzione e come viene realmente utilizzata questa applicazione che tiene incollati gli utenti agli schermi dei pc, del tablet e dei cellulari?
Alle origini di un colosso
Volendo indagare l’aspetto di questo social da un punto di vista prettamente sociologico, dobbiamo partire dal presupposto che questa applicazione può servire anche ad “avvicinare” le persone, per ritrovare amici o parenti che nel corso degli anni, per situazioni differenti, si erano persi. Mark Zuckerberg pensò di ideare questa applicazione (febbraio 2004) attraverso la quale bastava essere maggiorenni per registrarsi, (anche se agli albori bastava aver compiuto 13 anni) immettere un nome che si voleva ricercare, inviare una richiesta di amicizia e mettersi in contatto. In precedenza, questa invenzione era un progetto universitario che interessava solo gli studenti dell’Università di Harvard, ricordava un po’ gli annuari universitari dove si metteva la foto con il numero di matricola, nome e anno di frequenza. Si è estesa a molti più utenti all’infuori del mondo accademico poco dopo. Con il passare del tempo il numero dei registrati cresceva a dismisura tanto da contare addirittura, in alcuni periodi dopo il suo lancio sul mercato dei social, circa 20mila nuovi utenti al giorno. Numeri impressionanti. Ma ha davvero portato dei benefici l’utilizzo di questo mezzo di comunicazione? Davvero le persone si ritrovano ed instaurano al di fuori un vero rapporto di amicizia o è solo un mondo parallelo dove l’essere si scontra con l’ostentazione del “voler essere”?
L’uso distorto dell’app
Il troppo storpia. I detti dei nostri antenati non sbagliano mai. L’utilizzo di Facebook ha portato e continua a portare molti utenti ad utilizzarlo in maniera il più delle volte errata. Da alcuni studi fatti sull’utilizzo di questa applicazione, è emerso che molti soggetti sono succubi di questo programma, non riescono a staccare gli occhi da questa applicazione, sono proiettati corpo e mente, 24h su 24h a pubblicare, condividere, ripubblicare, guardare, commentare, giudicare le vite altrui dietro ad uno schermo e solo sulla base di “apparenza”. Si, proprio apparenza perché non dobbiamo dimenticare che un conto è la vita reale, un conto è la vita sui social. Non è assurdo fare questa distinzione perché è davvero così. Utenti che mostrano delle situazioni che non rispecchiano la loro vita reale, utenti che ostentano atteggiamenti diversi rispetto a quelli che sono i comportamenti reali e solo perché si è dietro ad uno schermo, lì dove puoi modellare ancora di più a tuo piacimento un’immagine, un pensiero, una situazione. Si possono modificare foto con i filtri per sembrare diversi, si può inscenare una situazione prima di scattare una foto e pubblicarla con l’intento di avere quanti più like possibili. Non sembra quasi di dover recitare? Non è uno scontro tra la vita reale e la vita in rete?
Il palcoscenico “social” di Goffman
I grandi sociologi del passato già ci vedevano lungo su come si sarebbe evoluta la società, come gli uomini avrebbero attraversato determinate fasi della vita cambiando le loro azioni in base alle situazioni che si trovano dinanzi. Considerando che il colosso Facebook mette in netta contrapposizione la vita reale con la vita in rete, non possiamo non citare il pensiero di Erving Goffman e la sua teoria sulla vita quotidiana come rappresentazione. Risulta molto attuale questo pensiero se si pensa che Goffman parlava della vita dell’uomo come se fosse un palcoscenico e proprio come gli attori in scena cambiano “maschera” in base al copione da recitare, così gli uomini mascherano le loro azioni. Su Facebook accade la stessa e identica cosa. Ci sono utenti che sembrano davvero recitare dei copioni solo per il gusto di ricevere applausi, nel nostro caso specifico like, dal pubblico. Inscenano situazioni che non corrispondono al vero, criticano gli altri quando poi invece nella realtà non sono in grado di prendere delle posizioni seriamente. Goffman indica che la vita è un teatro, dove il comportamento individuale è interpretabile alla luce dell’ampio contesto sottostante all’interazione simbolica faccia a faccia. Facebook può essere considerato il teatro contemporaneo dove gli individui adattano il loro profilo a quello che vorrebbero fosse in realtà, rischiando di confondere la vita reale con la vita che si inscena su un social, portando al disintegrarsi della vera essenza di un individuo che non è fatta di like e condivisioni, ma di strette di mano e abbracci reali.
Filomena Oronzo
Laureata in Sociologia con specializzazione in Politiche Sociali e del Territorio, ho conseguito un master in E-Government e E-Management nella Pubblica Amministrazione, adoro leggere e scrivere. Per me fare sociologia è vivere il quotidiano in tutte le sue sfaccettature e peculiarità. Oggi sono Collaboratore Amministrativo all’I.R.C.C.S Burlo Garofolo di Trieste e soprattutto moglie e mamma, la più grande ricchezza in assoluto.