La velocità come valore

Nella società di oggi, abbiamo cambiato il nostro modo di vivere e viviamo nuovi ritmi di vita. L’evoluzione della tecnologia e della società fa sì che non siamo più padroni del nostro tempo. La velocità viene vista come un valore in sé, dove chi rallenta potrebbe diventare un’interferenza, un disturbo. Il cervello si abitua alla velocità, e la lentezza produce ansia: l’ansia di andare veloci, di essere al passo con i tempi, di essere informati su quanto accade intorno a noi. La nostra cultura apprezza e promuove la velocità e la prontezza. In questo tempo ipermoderno, la velocità viene vista come un valore, ma questo ci priva di noi e provoca stress. Questo rincorrere il tempo, non ci fa avere più tempo da dedicare agli altri; c’è sempre un telefono che squilla, un sms che richiama la nostra attenzione e, sottoposti ad un continuo ritmo frenetico, non abbiamo più pazienza di aspettare. Non abbiamo più pazienza nelle relazioni.

La fragilità dei legami sociali

Con l’avvento delle nuove tecnologie di comunicazione è apparso un nuovo modo di vivere il tempo: in modo immediato, istantaneo e urgente. Il tempo della società di oggi ha una tripla accelerazione.
1) accelerazione tecnica: si pensi all’innovazione nei trasporti, nella comunicazione e nella produzione;
2) accelerazione del cambiamento sociale: basti pensare al mutamento delle istituzioni sociali, alla famiglia, al lavoro in cui non vi è più stabilità;
3) accelerazione del ritmo della vita.
In questo tempo accelerato, e con le nuove tecnologie, i legami sociali sono più numerosi e più facili da stabilire, ma sono anche più fragili ed effimeri. Ciò che conta, nella comunicazione mediata da smartphone e social network, è essere immersi nello scambio; ma i contatti virtuali non fanno che alimentare il senso di solitudine. Se nel tempo della società ipermoderna (che possiamo definire ipercomplessa) si considera la velocità come un valore, la nostra cultura apprezza e promuove la velocità e la prontezza. Il progresso è indissociabile dal concetto di velocità, e questo stesso progresso ha trasformato i cittadini in consumatori di cose, di relazioni (come sostiene Bauman), e ciò che conta è la velocità, non la durata delle cose, delle relazioni. Viviamo in una società in cui siamo dipendenti dalla velocità, dipendiamo in quanto è il nostro cervello incline a dipendere dall’accelerazione.

Un nuovo stile di vita

Abbiamo dimenticato cosa significa andare lenti: significa riprendere la connessione con sé stessi, e con il mondo circostante; significa essere connessi al di là dei social, al di là della realtà virtuale. Nella società ipercomplessa occorre alternare velocità e lentezza: abbiamo bisogno di entrambe, anche questa società favorisce troppo la velocità, che genera pressioni, ansie e disturbi. Occorre valorizzare una tendenza inversa: calma, lentezza e continuità, da portare nel vivere quotidiano. Da un lato accelerazione e consumismo, dall’altro il rallentamento: è questo il nuovo stile di vita dell’uomo ipermoderno. L’accelerazione dei ritmi di vita genera stress ed ha conseguenze sulla pazienza. Lo stress è anche legato alla pressione conseguente all’uso delle nuove tecnologie, questo tipo di stress è una componente chiave dei nostri comportamenti. L’accelerazione dei ritmi di vita e degli stimoli forniti dalle nuove tecnologie, sembra anche favorire l’intolleranza dell’attesa.

Alla ricerca della lentezza

Il progresso degli strumenti tecnologici ci spinge a pensare sempre più rapidamente e, abituati ad ottenere tutto e subito, non si è più in grado di sopportare le piccole frustrazioni quotidiane. La soddisfazione immediata ha accresciuto la fragilità dell’essere umano, che diventa sempre meno capace di sopportare le frustrazioni. L’antidoto a tutto ciò è la lentezza, che aiuta a coltivare la pazienza e a sopportare le frustrazioni. La società del tutto e subito può rivelarsi dannosa: si può cadere nella dipendenza di non poter fare a meno di un computer o di uno smartphone per stare sempre connessi. Mentre viviamo in un mondo che va veloce, e mentre rincorriamo la velocità, perdiamo l’uso dei sensi nel nostro vivere quotidiano. Divoriamo il tempo, il cibo, le relazioni, consumiamo velocemente, e questo consumo ci distanzia da noi stessi, dai nostri sensi, in quanto questi sono iperstimolati artificialmente. I nuovi strumenti di comunicazione creano nuove patologie: iperstimolazione, difficoltà di apprendimento, disturbi d’ansia. Siamo più distratti, assenti, non siamo più connessi a noi stessi, al mondo circostante.

Più social, meno socialità

Se la comunicazione è la capacità di cercare un dialogo, di stimolare uno scambio, al tempo dei social, il dialogo, la condivisione si sono trasformati e, navigando in un mondo nuovo con nuove regole, la comunicazione diventa conversazione e la persuasione si trasforma in consenso. Gli stati d’animo personali influenzano quelli degli altri, e i social contribuiscono a questa diffusione, rappresentano una cassa di risonanza di contagio emotivo. Le emozioni si trasferiscono tra le persone che sono in contatto, raggiungendo luoghi distanti. In un tempo veloce, non siamo più capaci di darci lo spazio per vivere le relazioni. In questo tempo dei social, strutturare un nuovo tempo per vivere legami meno virtuali e più reali, è fondamentale, perché sono le relazioni che curano disturbi e patologie, generate proprio dalla mancanza di contatto con l’altro. Il rischio più grande è quello di avere tanti amici virtuali, fare tante conversazioni sui social, e poi avere la sensazione di vivere il deserto dentro e fuori di sé.

Maria Giovanna Tropiano

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