In occasione di ogni tornata elettorale, a latere degli accesi dibattiti tra le opposte fazioni, viene sempre nominato l’astensionismo. Se da una parte infatti i politici generalmente tendano a non riferirsi spesso al fenomeno, sono invece i giornalisti a chiamarlo in causa più frequentemente, soprattutto durante i giorni di silenzio elettorale immediatamente precedenti al voto quando rimane uno dei pochi argomenti trattabili. Ma cos’è realmente l’astensione? È davvero solo la mancata espressione di un voto valido? Vediamo più in dettaglio i tanti aspetti che compongono il complesso dibattito sul fenomeno del non voto.

Non voto e voto non valido

Lo studio dei comportamenti elettorali da sempre ha dedicato all’astensione un’attenzione nettamente inferiore rispetto a quella riservata invece ai cosiddetti voti validi, banalmente perché nella maggior parte dei casi solo questi ultimi concorrono a definire il risultato di una consultazione. A partire però dagli anni ’90, il significativo irrobustirsi della forza numerica del fenomeno in quasi tutte le democrazie rappresentative ha contribuito ad accrescere l’attenzione sull’indagine del non voto, stimolando riflessioni e analisi (Muxel, 2003). Prima ancora di ragionare sulle cause dell’astensionismo, un primo aspetto da chiarire è da cosa è composto il fenomeno stesso, ovvero la differenza tra non voto e voto non valido. Sebbene in letteratura non si rilevi una posizione ampiamente condivisa in grado di chiarire concettualmente e a livello terminologico come considerare l’uno e l’altro, convenzionalmente nei lavori più recenti si parla di “non voto” per descrivere l’atto di non recarsi alle urne, mentre il voto non valido identifica invece le cosiddette schede bianche e nulle.

La differenza tra i due termini, che può sembrare apparentemente sottile, diventa invece significativa quando si vuole misurare l’astensionismo, cioè sulla consistenza reale espressa solitamente in dati percentuali. Generalmente infatti l’ampiezza del non voto viene calcolata come differenza tra il numero totale degli aventi diritto al cosiddetto elettorato attivo e il numero dei voti effettivamente espressi. Porre la questione in questi termini solleva però non solo il problema della definizione degli aventi diritto al voto, ma anche di come valutare le schede bianche e nulle. Nonostante sia evidente come i voti non validi possano derivare da errori materiali, numerose indagini rilevano come nella maggior parte dei casi esprimano invece gesti dotati di senso politico, ovvero un rifiuto di scegliere (Gulisano, 2010). In questo senso, le ragioni alla base di questi particolari comportamenti elettorali risultano paragonabili a quelle che muovono il non voto.

Le cause dell’astensione

Definire quali siano le motivazioni che spingono un elettore a non esprimere un voto valido non è semplice, in primis perché come abbiamo visto manca una definizione chiara e ampiamente condivisa su cosa sia l’astensione. Gli astensionisti non costituiscono infatti un blocco compatto, né sociologicamente, né politicamente (Muxel, 2003). Il non voto esprime sia un difetto di integrazione nella società, sia una forma di contestazione politica e molti comportamenti di ritiro elettorale non corrispondono all’astensione per indifferenza ed esclusione sociale, ma testimoniano piuttosto un’individualizzazione della società, una presa di distanza dalla politica, oppure ancora una forma di politicizzazione critica e negativa che porta a un utilizzo strategico della scheda elettorale (Missika, 1992). Numerose ricerche evidenziano come nelle democrazie occidentali l’astensionismo non smetta di crescere, nonostante i tipici fattori socio-economici ad esso correlati – quali ad esempio l’innalzamento del livello di istruzione e l’ampliamento delle classi medie – siano sempre di più diffusi tra la popolazione (Muxel, 2003).

Uno tra i punti più salienti e dibattuti nell’analisi del non voto riguarda proprio la sua interpretazione. Molti studiosi – soprattutto europei – ritengono l’astensione una manifestazione di malessere (Caciagli, Scaramozzino, 1983) e uno dei principali indicatori della crisi della democrazia rappresentativa (Corbetta, Tuorto, 2004). A questa prima concezione si contrapporre però il parere di altri studiosi – soprattutto statunitensi – che vedono invece l’astensionismo come un sintomo di soddisfazione implicita, di stabilità politica e di debole conflittualità politico-sociale, un segno quindi di successo del regime democratico (Hardin 1998; Parsons 1975; Lipset 1960; Morris Jones, 1954). Un terzo modello interpretativo è rappresentato infine dalla teoria della scelta razionale secondo cui non votare può essere il risultato di un calcolo utilitaristico di costi e benefici. Da questa prospettiva votare è un comportamento irrazionale, poiché a fronte dei costi (quali tempo, impegno, energie) non sussistono benefici, in quanto il singolo voto non incide sull’esito dell’elezione e il piacere di compiere il proprio dovere di cittadini è prettamente irrazionale. Si tratta del noto e molto discusso “paradosso del voto” in base al quale astenersi è dunque un atto politico razionale (Downs, 1957).

Il non voto in Italia

L’Italia per lungo tempo è stata caratterizzata da un tasso di partecipazione elettorale tra i più elevati (Mannheimer, Sani, 2001; Corbetta, Schadee, 1982), questo anche per effetto dell’obbligatorietà del voto in vigore fino al 1993, sebbene la sanzione prevista fosse prevalentemente simbolica e scarsamente applicata (Cuturi et al., 2000). Ad oggi però il nostro Paese, con un tasso di astensionismo che si attesta mediamente intorno al 40%, non rappresenta più un’eccezione. Le ragioni sono da ricercarsi soprattutto nelle rilevanti  trasformazioni politiche intervenute negli ultimi anni, quali ad esempio le modifiche del sistema elettorale e alla crisi e lo smantellamento del sistema dei partiti, che hanno contribuito alla  normalizzazione dell’anomalia partecipativa italiana che caratterizzò i primi cinquant’anni della storia della Repubblica. Negli ultimi trent’anni la partecipazione elettorale in Italia è andata costantemente diminuendo, interessando tutti i tipi di consultazioni in tutto il territorio nazionale. L’astensionismo si è trasformato, passando da aspetto marginale e fisiologico a fenomeno politicamente rilevante mosso da motivazioni soggettive, designando dunque il non voto come una tendenza di carattere generale e di medio-lungo periodo.

Una tra le indagini più esaustive sulla composizione del fenomeno astensionistico in Italia è quella proposta da Mannheimer e Sani (2001). Dall’analisi emerge che gli astensionisti forzosi, ovvero coloro che non votano per un oggettivo impedimento, rappresentano circa il 20% del totale dei voti inespressi. Questo tipo di astensione, definita necessaria, risulta trasversale sia alle classi sociali che all’età ed è abbastanza stabile nel tempo, fatto salvo il progressivo invecchiamento della popolazione. Molto più variabile ed elastica risulta invece la quota di astensionismo per scelta che concerne circa l’80% dei non votanti. Tra questi, una parte preponderante – circa il 50% – è mossa dal distacco, ovvero da un atteggiamento passivo e di allontanamento dalla politica situata in posizione di marginalità nell’orizzonte psicologico. Non è dunque presente un animus di avversione, ma piuttosto di lontananza, disinteresse e scarso coinvolgimento. Una seconda parte più residuale – circa il 30% – è spinta invece da sentimenti di protesta che identificano una reazione attiva nel manifestare dissenso e sentimenti negativi nei confronti del sistema politico. Questa attitudine può essere letta come un consenso esplicitamente negato e come aperta ostilità verso la sfera politica, coerentemente con l’aumento negli ultimi decenni di atteggiamenti di diffidenza, rabbia e disgusto. Al suo interno trova spazio anche l’astensionismo mosso da rifiuto selettivo, motivato quindi da una percezione negativa delle posizioni assunte da uno specifico gruppo politico verso il quale vengono indirizzate azioni elettorali punitive. Si tratta di elettori legati, oppure orientati verso una forza politica e caratterizzati da un interesse elevato per le vicende politiche. Questa particolare tipologia di astensione di dimensioni modeste trova però sempre più  spazio nella stampa e nel dibattito pubblico, in quanto spesso evocata strumentalmente per alimentare polemiche inter e intra partitiche.

Donatella Natta

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