La disabilità è il nodo cruciale su cui si concentrano svariate problematiche relative non solo alle politiche del welfare, e quindi alla loro necessaria rimodulazione in conseguenza della crisi economica, ma anche alle forme innovative emergenti che mettono in discussione i normali assetti sociali e istituzionali così come li abbiamo sempre conosciuti. Alcune pratiche innovative da parte di imprese, associazioni e fondazioni inseriscono una nuova metodologia che impatta sulla società di riferimento in risposta ai nuovi bisogni sociali. Di fronte ai mutamenti che riguardano il lavoro, con l’introduzione del web e del digitale che hanno necessariamente trasformato il modus operandi – rendendolo più creativo e più condiviso – al bisogno sempre più crescente della conciliazione vita-lavoro, tutto questo fa riflettere sulla necessità di promuovere una nuova forma di welfare state basata sulla commistione pubblico-privato. Vale a dire che il welfare tradizionale potrebbe essere accompagnato da quello che Franca Maino chiama “secondo welfare” ovvero un insieme di politiche messe in campo attraverso risorse che non sono pubbliche.
Un nuovo equilibrio tra welfare, mercato e terzo settore

La Social Innovation e la Sharing Economy, in tal senso, si insidiano in questo rapporto tra pubblico e privato, introducendo interrogativi non di poco conto. In primo luogo, laddove il welfare tradizionale non riesce a rispondere ai nuovi bisogni sociali, le associazioni e le startup altamente innovative e a vocazione sociale potrebbero aprire la strada ad una nuova forma di erogazione di assistenza e di tutela dei diritti che travalica il concetto stesso di welfare state di tipo pubblico. Attraverso reti di partnership e relazioni multi-stakeholder promossi dall’economia fondata sulla condivisione e sulla collaborazione, è possibile non solo risolvere problematiche sociali ma allo stesso tempo generare lavoro. Ricalcando modelli ideali, la mera assistenza potrebbe così essere superata attraverso un nuovo modello di policy, a metà strada tra politiche attive del lavoro e politiche sociali. In secondo luogo si rimodula l’equilibrio tra stato, mercato, terzo settore e famiglia trasformando e rivoluzionando i rapporti economico-sociali.
Nuove pratiche di lavoro fondate sul coworking e sulla peer production mutano ulteriormente il modo di organizzare la produzione e le transazioni economiche (l’unità di riferimento come il tempo è seriamente messo in discussione dall’affermarsi delle professioni digitali), di assistere e di prendersi cura della comunità. Dunque se da un lato il welfare tradizionale perde la partita sul fronte della disabilità, il “Secondo Welfare” potrebbe dare una svolta alle politiche sociali, dando un imprinting maggiore nell’ambito dell’innovazione – specie quella di tipo sociale – e contrastare allo stesso tempo gli abusi delle cooperative e imprese.
La nascita di una startup innovativa
A suggello di questo scenario si colloca Mybility, un progetto di startup innovativa che ha come principi ispiratori quelli di:
Promuovere i linguaggi espressivi delle persone con disabilità, giovani e non, rappresenta il primo passo per realizzare una società a misura di queste persone. Molto spesso l’isolamento e la segregazione sociale ostacolano la consapevolezza e l’autonomia delle persone con disabilità, ciò aggravato dal fatto che il servizio pubblico di assistenza non soddisfa nuovi bisogni e nuove esigenze.

Mybility è un progetto di startup realizzato all’interno di “Contamination Lab” (un progetto di laboratorio di idee e di impresa nato in seno al Ministero dello Sviluppo Economico e realizzato dalla Federico II di Napoli) che si prefigge, attraverso l’intreccio di diverse competenze e la collaborazione di un team prevalentemente al femminile, l’erogazione del servizio di assistenza indiretta. Attraverso un’applicazione digitale la persona disabile può finalmente essere a conoscenza dei personal assistent attivi nel proprio quartiere, sapere in quale preciso momento sono disponibili negli spostamenti o nelle commesse giornaliere. Un market place che permette l’erogazione di un servizio altamente personalizzato a costi veramente esigui. L’obiettivo è quello di costruire legami sociali con il territorio di appartenenza e di istituzionalizzare la figura dell’aiutante di quartiere. Ricalcando la figura del personal shopper, il personal assistent è colui che accompagna materialmente la persona con disabilità rendendola indipendente ed autonoma nelle decisioni e nelle pratiche di vita quotidiana.
Flora Frate