Capita sempre più spesso di leggere, non solo sui canali di informazione non convenzionali come i social network, ma anche in quelli più tradizionali come i giornali e telegiornali, notizie omissive, incomplete e spesso gonfiate. Tutto ciò al fine di far leva sulle incertezze e sui timori popolari, trasformandoli in paura e odio nei confronti di alcune categorie sociali. Si chiama “politica della paura“. Ovvero la tendenza di molti mass-media e rappresentanti politici a costruire l’insicurezza sociale e il terrore presentando i fatti che accadono accentuandone gli aspetti che mettono paura e omettendo quelli rassicuranti. Un esempio attuale è la costruzione mediatica della paura dello straniero.

Un’informazione poco onesta

L’ossessiva attenzione per l’immigrazione e la creazione di notizie che allarmano, spesso senza alcun giustificato motivo, è l’esempio più lampante di un’informazione poco onesta e pulita. Le parole da usare sono importanti nell’informazione e i giornalisti lo sanno bene. Usare un termine piuttosto che un altro causa differenti reazioni nelle persone. Reazioni che rischiano di essere eccessive in quei cittadini che sono abituati a vedere il mondo attraverso euristiche cognitive, ovvero scorciatoie mentali che permettono di utilizzare schemi e categorie sociali prefissate nella mente. Molte persone, quando si riferiscono a qualcuno appartenente ad un outgroup, utilizzano un percorso mentale basato su stereotipi, schemi e scorciatoie cognitive. Questo modo di pensare in realtà è caratteristico degli esseri umani perché ci permette di prendere velocemente delle decisioni. Tocca a ognuno di noi scegliere, quando ci confrontiamo con gli altri, se accontentarci di valutazioni veloci e superficiali oppure se acquisire maggiori informazioni ed esprimere un parere che vada oltre ai luoghi comuni.

Strategie politiche

Rimane il fatto che il compito dei mass media dovrebbe essere quello di darci solo notizie vere, senza opinioni e condizionamenti politici. Purtroppo, invece, ci sono giornalisti che fanno informazione al fine di legittimare propagande politiche; le quali risulterebbero, in alcuni casi, illegittime senza un appoggio mediatico. La paura, quindi, non deriva dall’immigrazione in sé ma dal modo in cui l’informazione ne parla. Una volta alimentato il terrore, per i politici è un gioco da ragazzi riuscire ad aumentare il proprio consenso. Ad esempio, presentando al cittadino spaventato politiche autoreferenziali che mettono al centro il “noi” e proponendo una politica che “divide l’universo in amici e nemici e definisce i propri rapporti in termini di appartenenza a un noi o appartenenza a un’identità altra“.

L’epoca delle fake news

La paura negli ultimi decenni è diventata sempre più un prodotto artificiale della politica stessa. Essa non è qualcosa che lo Stato deve combattere, ma uno strumento stesso del potere. Noi lettori potremmo fare, è vero, uno sforzo in più nel cercare notizie valide, ma nell’epoca delle fake news, diventa sempre più difficile capire quali lo siano e quali no. Se poi si aggiunge al timore di un evento di cui si conosce poco come l’immigrazione, un certo grado di frustrazione popolare causata da anni di disinteresse della politica ai problemi sociali, si crea una miccia esplosiva. Una notizia gonfiata o non vera riguardante gli immigrati può trasformarsi in una fiamma per farla esplodere; molti politici approfittano di ciò per costruirci sopra propagande politiche e slogan d’effetto.

Notizia vera? Fuori i dati

Se ci fate caso, le cosiddette “bufale” non sono mai supportate da dati statistici e numeri che permettono a chi legge di potersi fidare. Quando i mass media, ad esempio, parlano di “invasione” riferita all’immigrazione, dovremmo aspettarci dei dati sugli sbarchi in crescita, invece secondo l’UNHCR, l’Alto commissariato per le Nazioni Unite per i rifugiati, tra il 1° gennaio e il 31 agosto 2017 sono sbarcate in Italia 98.988 persone rispetto alle 115.075 del 2016. È avvenuto un calo del 14%. Al 1° gennaio 2016 gli stranieri residenti in Italia sono 5.026.153, pari all’8,3% della popolazione. Di questi, 1.517.023 provengono da altri paesi dell’unione europea, mentre i cosiddetti extra-comunitari sono 3.508.429 (5,8% della popolazione). Un dato, quest’ultimo, in calo di 13.396 unità rispetto al 1° gennaio del 2015. Per quanto riguarda il confronto con i principali paesi Europei: sotto di noi come numero di stranieri rapportati alla popolazione ci sono solo la Danimarca, la Svezia e la Grecia. Mentre Austria, Irlanda, Belgio,  Germania, Spagna e Regno Unito ospitano in proporzione più stranieri di noi.

Etichettamento e categorie

L’allarmismo mediatico, in genere, è caratterizzato dalla tendenza alla categorizzazione sociale, che si verifica quando le persone vengono percepite come rappresentanti dei gruppi sociali anziché come individui a sé stanti. I media lo fanno continuamente, etichettando chi è considerato “diverso”: i profughi, i trans, i rom; li privano della loro anima noncuranti che dietro ad una definizione possa esserci ben altro. Sostenere che tutti gli stranieri siano brave persone è erroneo quanto dire che tutti non lo siano. Essere duri nei confronti di quelli che delinquono è giusto, ma non lo è dare notizie faziose o non vere, alimentando odio indistinto nei confronti di tutti coloro che emigrano in Italia. Questa modalità d’informare, utilizzata, in particolare ora per il fenomeno immigratorio, fa parte, in realtà di un meccanismo più strutturale. In tante altre situazioni infatti, abbiamo ascoltato e letto parole denigranti nei confronti di persone e gruppi sociali. La libertà d’informazione è una delle conquiste più importanti del nostro Paese ma non dovremmo mai dimenticarci di farne uso, sempre, nel rispetto e nella dignità dell’essere umano.

Giulia Borsetto

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