I recenti conflitti degli ultimi mesi hanno riempito i notiziari con aggiornamenti e servizi in diretta. Tuttavia, l’approccio sociologico è un elemento essenziale per capire nel profondo il mondo in cui viviamo. Per quanto riguarda gli ultimi avvenimenti geopolitici dell’Afghanistan, è stato interessante fare due chiacchiere con l’autrice del testo “Immagini di genere. Donne, potere e violenza politica in Afghanistan”, Valeria Salanitro. Ricercatrice e autrice di molteplici contributi inerenti la politica estera, la comunicazione politica, le scienze umane e i gender studies, collabora con diversi Istituti, riviste e Testate giornalistiche. Si occupa di Visual and Culture Studies, Sociologia e International Policy.

Studiare la comunicazione politica

  • Una ricerca molto impegnativa e particolare, su un argomento attualissimo. Quanto è importante oggi, nella società dell’informazione, trattare di comunicazione e sociologia politica anche – e soprattutto – in maniera interdisciplinare?

Valeria Salanitro – “È estremamente importante, poiché sia la comunicazione, che la sociologia politica sono campi di indagine pervasivi, che caratterizzano l’era della rappresentazione/rappresentatività. L’approccio interdisciplinare, nell’analisi dei fenomeni politici è imprescindibile. Studiare gli aspetti sociologici e comunicativi delle pratiche sociali e il comportamento degli attori, connotati politicamente, è fondamentale per scorgere “l’ordine fortuito del discorso” e “l’effetto realtà” dei fenomeni costruiti, ma presentati come fattuali”.

Afghanistan: un caso di sociologia politica

  • Come e perché è nato questo interesse a indagare la ricostruzione del governo Talebano?

V.S. – “L’ interesse c’è sempre stato, poiché mi occupo di Medioriente da anni. Ho già avuto modo di decostruire altre realtà “politiche” in contesti orientali e trovo che sia importante studiare il ruolo anacronistico di questi miliziani per comprendere la rilevanza delle politiche di costruzione identitarie messe in atto. Inoltre, la situazione dell’Afghanistan è al collasso ed è, dunque, doveroso intervenire anche attraverso la ricerca, perché indagando il fenomeno ed effettuando delle comparazioni metastoriche si scorge l’importanza di un’indagine geopolitica e sociologica del fenomeno”.

La metodologia adottata

  • Brevemente, come è stata impostata la ricerca dal punto di vista metodologico e perché?

V.S. – “La ricerca si connota per un approccio interdisciplinare che afferisce all’ambito dei Visual and Cultural Studies e alla Sociologia dei Media e Politica, nonché all’Antropologia dell’Arte Visiva. Da un punto di vista metodologico, adotta una tecnica qualitativa tipica della sociologia interpretativista”.

Il corpo delle donne in Afghanistan

  • “Il personale è politico” diceva Carol Hanisch. Oggi l’idea che il corpo della donna sia un fatto privato è superata: il corpo delle donne è politico. Può questa essere una delle ragioni per cui la prescrizione coercitiva e il potere politico passa per il controllo del corpo femminile?
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V.S. – “Assolutamente sì. Ne abbiamo diversi esempi nella storia e nella tragedia greca, a partire da Antigone. Il corpo è un medium connotato di valenze simboliche e politiche. Frutto di politiche censorie e misogine, di cui le donne afghane, iraniane e, in generale, mediorientali, ne rappresentano l’emblema”.

Anche la politica è in vetrina

  • Ogni aspetto della nostra vita può essere potenzialmente “messo in vetrina”. Anche la politica non è da meno e i vari regimi/governi devono riconoscersi e farsi riconoscere. Quanto è importante oggi avere una buona educazione alle immagini per evitare fake news e una propaganda estremamente pervasiva?

V.S. – “L’educazione a una cultura visuale decostruita è importante, insieme con un’attenta analisi alla socializzazione dei fenomeni politici. Solo attraverso un approccio critico nell’analisi dei processi mediatici, permette di cogliere i molteplici frame creati ad hoc da propagandistiche retoricamente etno-settarie e comunicazioni stratificate”.

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