Il fenomeno epidemiologico denominato Covid-19, vissuto e tutt’oggi  presente, ha obbligato un pò tutti a rientrare nella propria bolla prossemica, e a riflettere.

Riflettere sul presente, sul proprio percorso e iniziare a relazionarsi in maniera sempre più veritiera e attenta nei confronti del prossimo. Bastano tre semplici parole per farci sorridere davanti ad uno schermo.

“Ciao, come stai?”

Precedentemente le stesse parole, venivano svalutate e si rispondeva con un frettoloso “tutto bene”, anche se probabilmente non era cosi. Dunque sorge spontaneo domarsi cosa sia cambiato e a cosa sia dovuto.

La risposta risulta più semplice di quanto non si possa immaginare, siamo noi che siamo cambiati, anzi è mutata la modalità di relazionarsi; poiché si é riscoperta la nostra umanità, la nostra forza che sta nell’unione, e gli esempi di certo non sono mancati.

Bizzarro pensare come uno smartphone che prima dava la possibilità di evitare un contatto visivo fra le persone, anche quando erano a pochi centimetri di distanza; ora, invece è il mezzo che unisce, che ci unisce. Si è trasformata la modalità di approccio a questo strumento comunicativo.

Il primo assioma della Scuola di Palo Alto, afferma come risulta impossibile non comunicare, (poiché sussiste anche la comunicazione non verbale)  e gli italiani hanno sperimentato come il silenzio pur essendo anch’esso un mezzo comunicativo, non è quello prediletto per veicolare i messaggi che affollano la nostra mente.

Mobilitando flashmob dai balconi, dalle dirette ai continui intrattenimenti e gli aiuti che non solo lo stato ma anche gli stessi italiani si offrono in maniera continuativa, con una sorta di speranza e ottimismo che si percepisce nell’aria.

Anche altri Stati  cercano di offrire il proprio contributo all’Italia (oggi uno dei principali Paesi europei colpito dal virus), e non si deve pensare a sole risorse materiali; lo dimostra anche il colloquio tenutosi in data 2 aprile 2020, fra il presidente della Romania, Klaus Iohannis e Sergio Mattarella nella quale si è mostrata piena solidarietà all’Italia, testimoniato anche dal gesto dall’illuminazione nel Palazzo di Cotroceni con i colori della bandiera italiana.

Un gesto, un simbolo, che crea speranza, unione, forza. Perché in questa epidemia sussiste un nemico comune ma non è il meridionale, né gli immigrati, o le persone di colore, questa volta siamo tutti uniti contro un pericolo più grande di tutti noi, nominato anche Coronavirus.

Un nemico che ci ha strappato dalle mani, i nostri affetti più cari, riempendo e rigando le nostre gote con lacrime amare.

L’amarezza data anche dalla consapevolezza del tempo sprecato, dalla razionalità di non poter nuovamente stringere  in un caldo abbraccio i nostri affetti più cari, la stessa consapevolezza che ci porta a razionalizzare il tragico evento che non ascolteremo più le loro voci dai corridoi, da un balcone o anche dallo smartphone.

Bizzarro pensare come all’inizio anche questo pericolo, questa minaccia fu sottovalutata, anzi ascoltando le news che arrivavano da Taiwan gli italiani affermavano seppure minimamente preoccupati che non erano problemi che li riguardavano; forse era la giusta lezione per comprendere quanta stupidaggine e ignoranza sprigionava quella frase.

“Non sono problemi nostri”, era questo il pensiero che attraversava molti menti italiane, d’altronde era un immaginario troppo lontano da noi eppure a breve, avrebbe bussato alle nostre porte incurante dei pregiudizi e della frenesia che coinvolge le nostre giornate, e la superficialità che colmava i nostri spiriti.

E ora tutto ciò che noi abbiamo sottovalutato, c’è sfuggito dalle mani, senza perdere troppo tempo, così all’improvviso.

Si è passati con una velocità disarmante dal pensiero che non erano problemi nostri allo slogan “Andrà tutto bene”, come a volerci rassicurare e sperare.

La stessa speranza, é stata unita a un sorriso rubato davanti al notiziario, giorno 15 aprile

Gli occhi e i cuori di milioni di italiani si sono commossi davanti ad uno schermo, eravamo come al solito davanti al Tg serale, per poter rimanere informati e nessuno avrebbe mai potuto immaginare, finalmente un servizio ricco di  positività e amore. 

Due coniugi anziani, sposati da ben 52 anni erano lì, uno di fronte all’altra; questa volta in maniera diversa. 

Lui seduto con la camicia da notte ospedaliera e lì di fronte a lui, lei. La sua lei, la sua metà, questa volta con un abbigliamento diverso dal solito, mascherina che le copriva naso e bocca, e blu guanti che coprivano le sue mani e si stringevano nelle rosee gote di suo marito, sorridente.

Un gesto che simboleggia il loro amore duraturo e veritiero, un amore che unisce e ti fortifica nelle diversità, nella malattie e nei diversi problemi.

Quell’amore della quale tutti siamo famelici, tutti sognamo ,un amore come il loro, con la A maiuscola, che supera tutto.

Fin dove si può spingere l’ amore? Quello vero non ha limiti, è capace di tutto di frantumarti e ricompattarti in meno di due minuti.

Nessuno saprà mai con certezza ciò che pensavano non appena i loro sguardi si sono incronciati ancora una volta. Ma una cosa si è capita, come si amavano e la loro complicità, il loro modo di incastrarsi le dita dietro le rispettive nuche, appoggiandosi l’uno sull’altra, ancora, nonostante tutto un’altra volta.

Al di là della credenza religiosa, loro ci hanno insegnato che il vero amore vince su tutto; sulle malattie, sulle disgrazie, sulle liti, anche sulla morte. Tutto il resto non gode di alcuna rilevanza.

“Amarsi e rimanere insieme tutta la vita. Un tempo, qualche generazione fa, non solo era possibile, ma era la norma. Oggi, invece, è diventato una rarità, una scelta invidiabile o folle, a seconda dei punti di vista- Amore liquido, Z.Bauman

Loro sembrano la rarità nella norma, si vede che non hanno congiunto la loro vita solo per delle mere norme sociali, che imponeva non sono abbigliamento ma anche consuetudini e atteggiamenti.

Sembra un rapporto, un legame cosi puro e unico, che fa prendere anche in considerazione la leggenda popolare cinese del filo rosso.

Ecco dunque che dalla normalità sono divenuti una rarità, nell’attuale società potrebbero essere l’esempio mai preso in considerazione da parte di Bauman, che ci parla di una società liquida, dove le persone stringono relazioni liquide, e tutti siamo cosi facilmente sostituibili… 

Eppure nonostante stringiamo questi legami cosi liquidi, cerchiamo costantemente dei punti di riferimento, delle persone che intreccino si la nostra vita ma che non passino oltre, ma che rimangano accanto a noi, nonostante le avversità della vita, che rimangano salde al nostro fianco per scelta, per Noi. 

E nonostante questa famosa superficialità nelle relazioni, nei comportamenti e nelle persone ci riveliamo nonostante tutto  cosi fragili, simili a  dei cristalli, cosi desiderosi di ricevere amore e affetto, o semplicemente tempo. 

Tempo condiviso, nella quale l’emittente della comunicazione intraprenda un ascolto attivo, generato dal reale interesse e un pizzico di empatia.

 E  ora in un periodo critico dove anche la normalità sembra solo un vago e lontano ricordo, abbiamo ripreso con molta più serietà le relazioni interpersonali, le persone e la loro vicinanza o persino la loro lontananza. Dunque cosa siamo? 

Siamo i soggetti “liquidi” della quale parla Bauman, incapaci di rimanere seduti di fronte ad una persona e farsi carico anche del suo bagaglio emotivo? O siamo cristalli, stanchi da tutta questo modo frenetico che ha dominato per troppo tempo le nostre giornate.

L’Italia ha costruito davanti a questa tragedia epidemiologica noncurante della reazione allo stesso fenomeno degli altri Paesi dove una paura sociale, sta degenerando e generando diffidenza, apatia cosi costruendo ridondanti silenzi che affollano i posti pubblici. 

E se negli USA si facevano interminabili file per comprare armi, in Italia, ad un metro di distanza, gli Italiani davanti a interminabili file dal supermercato, provano anche a istaurare un minimo di comunicazione, scambiandosi ricette e finalmente sorridendo, anche se dietro ad una mascherina. Un piccolo gesto che genera e divulga speranza.

E nel frattempo mentre alcuni mentre alcuni sfornano golosissime ricette delle mamme e delle nonne e altri persino si allenano in casa, le piazze rimangono desolate (scenario pensabile solo in un romanzo); la natura nel frattempo si è risvegliata, come a voler dare anch’essa dare un messaggio di speranza che questo periodo diventi solo un brutto e lontano ricordo, che ci renda consapevoli e  reduci della ricchezza che possediamo nella quotidianità.

Rosetta P. Gatto

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