In seguito a una grave crisi cardiaca, per la prima volta nella sua vita, Daniel Blake, un carpentiere di Newcastle di 59 anni, è costretto a chiedere un sussidio statale. Il suo medico gli ha proibito di lavorare, ma a causa di incredibili incongruenze burocratiche, si trova nell’assurda condizione di dover comunque cercare lavoro – pena una severa sanzione – mentre aspetta che venga approvata la sua richiesta di indennità per malattia. Durante una delle sue visite regolari al centro per l’impiego, Daniel incontra Katie, giovane madre single di due figli piccoli che non riesce a trovare lavoro. Entrambi stretti nella morsa delle aberrazioni amministrative della Gran Bretagna di oggi, Daniel e Katie stringono un legame di amicizia speciale, cercando di darsi sostegno e aiutarsi come possono in questa situazione molto complicata.
Molto più di un film
Già dal titolo del film ritorna la necessità inderogabile di non cancellare la forza dell’identità individuale di coloro che stanno tornando ad assumere le caratteristiche di classe sociale dei diseredati come nell’Ottocento dickensiano. Perché è la dignità della persona quella che si vuole annullare grazie a un sistema in cui dominano i ‘tagli’ alla spesa sociale e dove gli stessi funzionari che debbono applicarli si rendono conto della crudeltà (è questo il termine giusto) delle regole che debbono applicare. Daniel e Katie conoscono il senso della solidarietà e non intendono farlo dissolvere per colpa di chi ne ha volutamente smarrito qualsiasi traccia. Prendendo spunto dal racconto dell’ultima fatica cinematografica di Ken Loach, parliamo di lavoro, mondo che negli ultimi dieci anni è diventato una giungla. Per tutte quelle persone che improvvisamente perdono un lavoro e si trovano a dover “combattere” contro due conseguenze fondamentali: perdita dell’identità e solitudine. Questi due aspetti coinvolgono soprattutto le persone dai 40 anni in su che si erano costruiti un’identità professionale legata a doppio filo con quella personale. “Per anni sono stato un tecnico di laboratorio, ora che ho perso il lavoro non sono più nulla. E in una convinzione così marcata è difficile separare ciò che ho fatto da ciò che sono in realtà“.
Risorse umane
Una persona è la somma delle esperienze maturate negli anni grazie alle relazioni con gli altri. Spesso succede che non si riesce o non si vuole guardare oltre il ruolo professionale. E la solitudine che inesorabilmente ti abbraccia giorno dopo giorno. Una solitudine che inizia con il chiudersi in sé stessi, non credere alle proprie capacità e competenze e che si allarga capillarmente al mondo esterno. È fondamentale in questi casi creare una rete di solidarietà per non emarginarsi e per ricominciare a mettersi in moto. Infine c’è il mercato del lavoro, crudele e spietato, dove la competizione viene enfatizzata a livelli estremi (e questo avviene per chi è alla ricerca di un nuovo lavoro ma anche per chi deve difendere quel posto di lavoro) attraverso stress, carichi di lavoro eccessivi, conflitti e compromessi. Per il lavoro si è disposti a quasi tutto: c’è un continuo abbassamento della professionalità, per ruoli che fino a qualche anno fa diplomati o laureati non avrebbero nemmeno pensato di inviare un curriculum. E dietro al termine “risorsa umana” in realtà c’è solo la possibilità di essere un numero, un semplice contratto non più negoziabile ma semplicemente da accettare a condizioni dettate dall’azienda.
Concludo con le ultime parole del film: “Non sono un cliente, né un consumatore, né un utente. Non sono un parassita, né un mendicante, né un ladro. Non sono un numero di previdenza sociale e nemmeno un puntino su uno schermo. Ho pagato il dovuto, mai un centesimo di meno, orgoglioso di farlo. Non chino mai la testa, ma guardo il prossimo negli occhi e lo aiuto quando posso. Non accetto e non chiedo elemosina. Mi chiamo Daniel Blake, sono un uomo. Non un cane, come tale esigo i miei diritti, esigo di essere trattato con rispetto. Io, Daniel Blake, sono un cittadino. Niente di più e niente di meno”.
Gianni Broggi