Quando si parla di jihad bisogna, prima di tutto, abbattere quel mito comune secondo cui questo concetto sia ridotto all’accezione di “guerra santa”. In realtà, è un concetto molto più complesso ed articolato. Innanzitutto, bisogna riconoscere le macrodimensioni del jihad armato difensivo (compito obbligatorio per ogni credente) e offensivo (il cui onere riguarda tutta la comunità, non solo il singolo, nello specifico la leadership politica).
Jihad: una difficile definizione
Ad oggi, gli esperti non sono ancora riusciti a sviluppare un’interpretazione unanime per jihad, solo etimologicamente si è concordi sul suo significato di “sforzo”, “tensione verso un obiettivo”. Tra le accezioni più comuni si accetta il concetto riportato in precedenza come dimensione armata, ma anche di significati completamente diversi tra di loro, come ad esempio la predicazione della parola di Dio (jihad con la parola), la lotta del singolo credente contro le cattive inclinazioni (jihad con il cuore) e forme “più concrete” come l’aiuto ai bisognosi e alla comunità (jihad con le mani).
Infatti, tutt’oggi, per un numero elevato di musulmani la tensione al miglioramento (individuale e collettivo) presente nel concetto di jihad continua a mantenere una connotazione valoriale estremamente positiva e, anzi, la maggioranza dei credenti considera i militanti dell’autoproclamato “califfato” di al-Baghdadi come assassini macchiatisi di crimini efferati in spregio a norme sciaraitiche riconosciute, che regolano e limitano il ricorso alla violenza entro canali ben delimitati. L’associazione del termine jihad di natura prettamente armata non è di dominio esclusivo da parte dei media nostrani, bensì anche di quello della stessa galassia jihadista.
Radicalismo del jihad armato
Per molti militanti (per citarne alcuni: Osama bin Laden, Abu Musab al-Zarqawi e Abu Bakr al-Baghdadi) il jihad è armato e chiunque affermi il contrario è da considerare un nemico della vera fede (macchiandosi di un peccato ben più grave di quello imputabile agli infedeli). Infatti, per i teorici jihadisti il jihad con la spada costituisce una parte integrante della dottrina islamica e ricopre un peso specifico assimilabile a quello dei cosiddetti pilastri dell’islam (la dichiarazione di fede, la preghiera rituale, il pellegrinaggio, il digiuno/purificazione durante il mese sacro di Ramadan e l’elemosina legale).
Con la proclamazione del jihad armato non esiste più spazio per posizione attendiste. Il mondo viene idealmente diviso tra le schiere del “vero islam” e quelle della miscredenza, e ogni fedele viene posto di fronte a una scelta: unirsi alle fila dei credenti o essere considerato come un nemico, a prescindere dalla formale appartenenza alla umma (per i membri dello “Stato islamico” questi ultimi sono indicati come takfir, “miscredente” e quindi passibile di uccisione).
Jihad: tra diffusione e radicalizzazione
Alimentare la diffusione del binomio jihad-guerra santa significa supportare la causa delle compagini jihadiste che si intende combattere, con effetti tutt’altro che circoscritti. A fare le spese di tale interpretazione non sono solo le popolazioni di fede non musulmana residenti in Occidente, in cui si aggrava l’avversione verso un sistema religioso percepito come “diverso” e spesso in contrasto con i sistemi valoriali autoctoni, ma anche gli stessi musulmani, tanto all’interno quanto all’esterno del mondo occidentale. Per la prima categoria di lesi, la condanna di uno dei loro principi più importanti (il jihad in tutte le sue accezioni) del proprio credo non può che rafforzare il divario e la difficoltà nei confronti di società nelle quali faticano già a integrarsi e a riconoscersi, favorendo dinamiche di chiusura e aumentando il rischio di radicalizzazione.
Per la seconda tipologia, spesso finisce per dimostrare l’ennesima prova di “malafede” da parte occidentale. Una credenza che, pregna già di risentimenti dovuti a un’eredità coloniale incancellabile e alle difficili condizioni contemporanee, favorisce la formazione di un sostrato culturale del quale si alimentano direttamente attori più o meno vicini al mondo jihadista. Spingendoci oltre alle sfide legate alla comunicazione, analizziamo i capisaldi del pensiero jihadista e i fattori che ne hanno favorito il successo.
La comunicazione
Inizialmente bisogna riconoscere come l’immediatezza del messaggio adottato sia uno degli elementi più rilevanti. Esso riesce a sfruttare a proprio vantaggio una parte del sostrato culturale islamico e delle scritture, facendo leva su una porzione minoritaria (ma sempre rilevante) della umma (comunità dei credenti). Il riferimento alle parti più radicali del corpus giuridico islamico rappresenta una delle risorse più importanti per queste formazioni.
Proprio facendosi forza di argomentazioni basate su fonti difficilmente contestabili e di autori illustri del passato, essi sono riusciti a contestare l’autorità delle tradizionali istituzioni religiose presentandosi come i veri portatori di un messaggio profetico puro e vergine da contaminazioni e deviazioni accumulatesi nel tempo. In questo contesto, infatti, una delle accuse principali all’era contemporanea è quella di essersi allontanata dai precedetti islamici, tanto da venire associata all’epoca dell’ignoranza (jahiliyya) precedente la predicazione del profeta Muhammad.
La logica complessa del movimento jihadista
Tra gli elementi alla base del successo dei movimenti jihadisti vi è una piattaforma ideologica complessa e tutt’altro disorganizzata. Dietro di essa vi è un messaggio capace di attirare militanti provenienti da aree, ceti sociali e background profondamente differenti. Dalle loro storie si evidenzia come le azioni commesse da essi non si spiegano come forme di devianza, manipolazione o situazioni di estremo disagio sociale (basti pensare a Osama bin Laden, rampollo di una delle famiglie più ricche del regno saudita), ma dall’adesione a un sistema valoriale alieno al modello culturale occidentale ma non per questo segnato da valutazioni razionali.
Il movimento jihadista è intriso di una logica stringente che emerge nettamente dalle dichiarazioni dei suoi principali esponenti.

Una base dottrinale articolata
Altro fattore determinante è stata la capacità di esporre una base dottrinale articolata, ma non per questo caratterizzata da “barriere all’ingresso” così elevate da scoraggiare i suoi potenziali destinatari.
Al contrario, sfruttando tutta una serie di riferimenti all’umiliazione, alla rabbia e al senso di impotenza che permeano diversi segmenti del mondo musulmano, essa è riuscita a toccare la sensibilità della sua audience di riferimento, attivando meccanismi capaci di favorire l’immedesimazione del singolo tanto alle sofferenze della umma quanto alle promesse di riscatto insite nella logica jihadista.
Così facendo, il jihad armato finisce per rappresentare il mezzo per raddrizzare le storture di un mondo corrotto, ma anche l’opportunità per sfuggire a sistemi che parevano ingabbiare i volontari in cicli di vessazioni e umiliazioni infinite. Diventare un mujahidin diveniva non solo un atto meritorio dal punto di vista religioso, ma anche l’occasione per dare un senso a vite sospese in un limbo privo di speranze.
Altro elemento fondamentale è stata la capacità dei movimenti di sfruttare le opportunità offerte dalla società dell’informazione (ad esempio le immagini trasmesse in maniera ossessiva dell’11 settembre 2001).
le debolezze dell’universo jihadista
L’universo jihadista, però, presenta anche delle debolezze. Il messaggio è un punto di forza, tuttavia, nella sua semplicità dimostra dei limiti evidenti quando deve difendersi. Già nel luglio 2005, come nel settembre del 2014, ulema ed esperti di diritto islamico hanno condannato le azioni dei militanti esponendo gli errori e le violazioni della legge sciaraitica commesse dal sedicente “Stato islamico”. La minaccia per queste formazioni non viene solo dall’esterno, ma anche dall’interno. Dietro un’apparente facciata di coesione e unità, il mondo jihadista è attraversato da divisioni e linee di frattura estremamente rilevanti. La vulnerabilità del messaggio jihadista si è palesata anche nei confronti delle formazioni fondamentaliste moderate.
Le vittorie in Egitto e Tunisia del 2012, e l’importante peso specifico detenuto da formazioni affini in Libia e Siria, contrastavano enormemente con i risultati tutt’altro che eclatanti maturati dalle formazioni jihadiste sino ad allora. Infatti, quest’ultime non erano riuscite a dare sostanza alla pars costruens del loro messaggio, fallendo ogni volta che avevano avuto la possibilità di amministrare porzioni più o meno significative del dar-al-islam. Se la base dottrinale jihadista è ben più fragile di quanto sembri, così è anche la strategia propagandistica del movimento.
I suoi elementi fondamentali: la capacità di rimanere al centro dell’attenzione e di far paura, a lungo andare, tende a essere inversamente proporzionale alla reiterazione delle meccaniche di violenza adottate dal movimento. Più esso ricorre a tattiche brutali su ampia scala, più esse perdono quella capacità di attirare l’attenzione e di attirare il terrore alla base del modus operandi del movimento.
Flavia Verona
Bibliografia:
Plebani, A. (2016). Jihadismo globale: Strategie del terrore tra Oriente e Occidente. Giunti.