Da più di dieci anni, le piattaforme social sono divenute arene virtuali dove gli attori politici occidentali hanno cominciato a essere sempre più presenti. Grazie a questi strumenti, i leader parlano direttamente a una moltitudine di utenti, promuovendo una comunicazione diretta e disintermediata. L’introduzione dei social ha determinato un ripensamento della comunicazione politica, per cui il leader non può più limitarsi a lanciare un proprio messaggio in rete, ma deve essere disposto anche a essere presente, leggere le risposte, ascoltare chi sta dall’altra parte. Tutto questo però ha dei rischi.

La figura dell’ascoltatore

Espressioni come «natura interattiva» dei social media lasciano intendere la presenza, dall’altro capo del filo, di un pubblico di cittadini, elettori di un sistema democratico, che in vesti di utenti online hanno la possibilità di far sentire la propria voce. È grazie al loro intervento che il testo politico pensato e prodotto dal leader acquisisce significato. Tuttavia, nel passaggio dalla comunicazione faccia a faccia a quella social mediated, la figura dell’ascoltatore/destinatario appare di più difficile definizione.

Come nota Dal Lago (2017), se si passa dalla comunicazione tradizionale alla dimensione politica online, si scopre che le esperienze politiche faccia a faccia svaniscono a favore di mere estensioni digitali. Come le identità, anche le opinioni si trasformano in opinioni digitali, così forti da rimodellare in rete il discorso politico, caratterizzandolo di nuovi e imprevisti significati.

In questo quadro, non va dimenticato che l’individuo che si muove online, da una parte acquisisce l’opportunità di interagire liberamente, dall’altro però è ancorato alle leggi del web. Ippolita (2012) ha definito questa ossimorica natura della rete come «acquario», un ambiente digitale in cui liberamente nuotiamo, ma all’interno di confini già prestabiliti.

Post-partito e la democrazia del pubblico

Manin ha chiamato «democrazia del pubblico» questa mutazione determinata dallo sviluppo dei mezzi della comunicazione di massa. Si è verificato cioè un passaggio da una democrazia fondata su un rapporto di fiducia tra i rappresentanti e gli elettori, a una democrazia dei partiti, caratterizzata dall’identificazione dei cittadini nei partiti di massa, fino a giungere a una democrazia del pubblico, nella quale i cittadini rispondono e partecipano attivamente alle deliberazioni politiche. L’arrivo del web non ha fatto altro che potenziare l’azione dei cittadini, affidandogli nelle mani l’iniziativa politica, cioè «la possibilità di essere cittadini attivi che producono essi stessi comunicazione, che interloquiscono e reagiscono» (Mancini 2015).

Barack Obama
La svolta è arrivata nel 2008, quando Barack Obama si è candidato alla Presidenza degli Stati Uniti. Da quel momento, con la sua campagna elettorale, il futuro presidente americano attestò in forma più preponderante l’uso politico dei social media.

La situazione attuale, contraddistinta dalla rivendicazione di una politica sempre più accessibile e di una crescente sfiducia nei confronti della classe dirigente, è stata l’ambiente ideale per la nascita dei presupposti per una democrazia online, cioè l’apertura a nuove forme di discussione e deliberazione permesse da internet e dai social media (insidemarketing.it 2018). Per quanto di difficile individuazione, il cosiddetto «popolo della rete» è una comunità che esiste e che incide ormai largamente sulla vita politica del Paese, e che ha traghettato i partiti politici da «strutture organizzative di massa a partiti liquidi o personali» (Bracciale, Andreatta 2017: 9).

Una nuova democrazia?

È bene ribadire che accanto a forme virtuose come quelle riportate, l’idea stessa di democrazia virtuale sembra comunque minacciata da svariati fattori che possiamo così elencare:

  • La logica della rete, sconosciuta agli utenti ma che li condiziona, per esempio gli algoritmi di Google sulla visibilità dei siti (Dal Lago 2017);
  • La nascita di spazi inediti al terrorismo e all’apologia dell’odio (Mazzoleni 2012);
  • L’accentuazione del digital divide, ossia il divario culturale e tecnologico tra chi ha accesso alle tecnologie dell’informazione e chi ne è escluso (Mazzoleni 2012);
  • L’interesse dell’attivismo politico digitale verso l’incremento di forme economiche e veloci di partecipazione disintermediata, al di fuori dei partiti, senza prestare attenzione allo sviluppo adeguato di una discussione democratica (Caniglia 2013);
  • La possibilità, per i motori o network come Google, Twitter o Facebook, di profilare gli utenti grazie alla cessione di questi dei propri dati personali (Dal Lago 2017).

Rischi da non sottovalutare

È evidente che oggi, i social media, con le loro caratteristiche, rappresentano quello “spazio delocalizzato” in cui vengono annullati tutti i limiti fisici, e in cui cittadini possono aggregarsi e discutere. Resta il dubbio se si tratti di un nuovo luogo che è riuscito ad affermarsi come una perfetta incarnazione del valore democratico, oppure, in un certo senso, il suo nemico.

Social media

Una sfera pubblica tanto più è efficace quanto più è in grado di recuperare la dimensione interattiva del linguaggio: solo l’interazione può produrre il riconoscimento delle necessità, dei bisogni, dei desideri altrui e può portare a un effettivo miglioramento delle condizioni di un sistema sociale. Solo questa dimensione può rendere quasi innocui i diversi limiti tangibili e controversi che la rete comunque possiede. Chi può salvarci da questo rischio?

Aristotele e la persuasione

È stato Aristotele a individuare per la prima volta, nella Retorica, la figura dell’interlocutore come figura chiave del discorso, compimento di ogni attività discorsiva. Il filosofo ha messo la persuasione al centro dell’agire linguistico, e ci ha suggerito di guardare all’attività del persuadere come a uno dei luoghi in cui si manifesta il nesso, specificamente umano, tra logos e polis. Parlare per persuadere, per Aristotele, significa intendere la persuasione come una possibilità costitutiva della specifica cognizione umana.

Le armi della persuasione: sei davvero convinto che a decidere sia tu?
Le armi della persuasione: sei davvero convinto che a decidere sia tu?

Il vivere bene, che nella retorica aristotelica è sinonimo di felicità, è uno stato al quale aspirano tutti gli umani e trova il suo fondamento nel fatto che gli umani siano dotati naturalmente del linguaggio e della sua deitticità: un io che si pone in relazione ad un tu, un cittadino che è sempre concittadino di qualcun altro, un parlante che costruisce significati soltanto grazie alla presenza di un ascoltatore che li costruisce con lui.

Nuove opportunità

Nel ragionare sulle opportunità offerte dai social network e in generale dalla rete, l’auspicio è che col tempo gli apparati politici e amministrativi sfruttino sempre più le risorse che la comunicazione e il digitale ci propongono, per fare in modo che l’ormai logoro rapporto tra cittadini e istituzioni possa reperire nuova linfa proprio a partire da quello spazio libero e disintermediato che la rete, se adoperata con criterio, può donare. Dunque bisogna sempre tenere a mente Aristotele, per il quale l’ambiente della comunicazione tra due soggettività è il luogo in cui tali soggettività realizzano e affermano i loro scopi, le loro credenze, i loro desideri, i loro timori e le loro conoscenze.

Schematizzazione del dissenso

Quella soggettività attraverso cui gli uomini si persuadono e si lasciano persuadere dal linguaggio, mediante il quale essi mettono in atto la loro capacità di sentire il bene e il male, il giusto e l’ingiusto, e altre qualità ancora. E se su questi valori si fonda la polis che garantisce alle soggettività il benessere reciproco, non può che essere il linguaggio la chiave naturale dell’uomo che gli permette di aprire tutte le porte della felicità.

Ruben Ribellino

Riferimenti bibliografici e sitografici

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