Napoli è l’unica grande città al mondo a cui è legato un genere musicale, la musica napoletana. Un genere musicale riconosciuto e cantato in tutto il mondo. Baritoni e soprani da ogni angolo del globo includono nella loro formazione e nelle loro esibizioni più importanti le canzoni napoletane. Ma perché la canzone napoletana ha avuto – e continua ad avere – così tanto successo? Le ragioni sono molteplici e sono tutte rintracciabili nella sua storia.
Sirene e fate: il canto della seduzione
Se il ritmo e il canto sono insiti in ogni popolo, è solo dopo un lungo processo di legittimazione e riconoscimento che diventano musica. In particolare, la canzone napoletana trova le sue origini nel mito e nel canto seducente. La sirena Partenope, che dallo scoglio megaride “fondò” la città di Napoli venne succeduta dalle cosiddette “fate del vomero”, le lavandaie del ‘300. Donne bellissime che intrigavano gli uomini con la loro sensualità e il bel canto. Di buon mattino intonavano una vera e propria preghiera al sole. Jesc sole/nun te fa suspirà è considerata la più antica forma di canzone popolare napoletana. Oltre a questo, il canto serviva al gruppo di lavandaie per tenersi compagnia e scandire il tempo di lavoro.

Dal punto di vista sociale tuttavia, è nel 1200, con Federico II e l’istituzione dell’omonima università che nacque di fatto la canzone napoletana. Egli con l’università attrasse ogni genere di artista da ogni angolo d’Europa. Il dialogo fra idee e generi diversi poté gettare le basi per la nascita della canzone napoletana.
La canzone napoletana dal ‘400 al ‘600
Nel ‘400 Alfonso D’Aragona elevò il dialetto napoletano a lingua del regno. Questo contribuì enormemente alla valorizzazione delle opere artistiche autoctone. Tuttavia, se le suonate come gli strambotti e i sonetti allietavano l’aristocrazia, era il canto spontaneo e viscerale il prediletto dal popolo napoletano. Questa caratteristica non si è persa ed ansi, divenne il fattore distinguente della canzone napoletana. Infatti nel ‘500 nacquero le prime villanelle, canti dalle tematiche amorose e bucoliche a uno o più voci. Al tempo ebbero un enorme successo, tanto da arrivare alle varie corti d’Italia e d’Europa. Sempre in questo secolo, la città partenopea vide l’apertura di ben 4 Conservatori che diedero il là per lo sviluppo della vita musicale locale.
Nel 600 che si ebbe una svolta. Secolo nero per la città (eruzione del Vesuvio, crisi economica e peste) Napoli trovò la forza di rimettersi in piedi. Dal punto di vista culturale nacque, nella seconda metà del secolo, il barocco napoletano. La villanella cedette il passo al madrigale, una composizione di ispirazione pastorale, spesso destinato a esprimere un omaggio galante. Un esempio del genere è fenesta ca lucive, l’atroce separazione dall’amata, riconducibile al’600 ma pubblicata nel 1842 dalle edizioni Girard come opera di Guglielmo Cottrau.
La canzone napoletana dal ‘700 all’800
Fu nel ‘700 con Alessandro Scarlatti che nasce la scuola musicale napoletana. Questa ebbe importanti ed autorevoli esponenti tra cui Domenico Cimarosa, Francesco Provenzale, Francesco Durante, Francesco Feo, Nicola Porpora, Niccolò Jommelli, Gaetano Greco e Domenico Scarlatti. Viene introdotta la tarantella con i suoi ritmi frenetici. Nascono canzoni come Michelemmà, pubblicata nel 1700 in una raccolta di Salvator Rosa, palombella zompa e vola, o’ guarracino, cicerenella teneva teneva e tante altre. Tuttavia, fu nel 1800 che Napoli conobbe una vera esplosione della sua canzione tipica.
Ciò che divenne caratteristico al tempo era l’improvvisazione: l’artista è un vero showman che non prepara le sue canzoni ma le inventa sul momento. Dei veri “canti a braccio” che non appartenevano a nessuno, non erano esclusivi di una classe sociale. Ogni esibizione era unica. Proprio per questo il pubblico poteva variare: l’artista poteva esibirsi nelle piazze per il popolo o nei salotti più raffinati. Nacquero in questo periodo le esibizioni del canto “a fronna ‘ limone”, tipico dell’entroterra giuglianese, un canto contadino utilizzato dai venditori di mercato. Al contempo, i musici ambulanti, i cosiddetti posteggiatori, vendevano le copielle, ovvero i fogli con scritto il testo della canzone, divennero veicolo principale della diffusione delle canzoni napoletane.
7 settembre 1835
Una data importante è il 7 settembre 1835, convenzionalmente considerata il momento in cui avviene il passaggio fra la musica popolare e la musica d’autore. Un ottico di spaccanapoli, Raffaele Sacco, creò una canzone che sarà, di lì a breve, un successo colossale: Te voglio bene assaje. Di questa, anche in occasione della festa di Piedigrotta, si vendono 180.000 copielle, facendo innamorare molti editori. Dalla fine dell’Ottocento e fino alla prima metà del Novecento, la canzone napoletana vive il suo periodo migliore. La Festa di Piedigrotta rappresenta il trampolino di lancio per i migliori autori e cantanti del tempo, fra cui Salvatore Di Giacomo, Libero Bovio, Ernesto Murolo e Ferdinando Russo. Canzoni come Funiculì funiculà, era de maggio, marechiare, ‘o sole mio, maria marì, divennero ben presto delle pietre miliari della canzone napoletana.
Il ‘900: l’internazionalizzazione
Core ‘ngrato, guapparia, ‘o surdat ‘nnammurato, reginella, sono canzoni del primo novecento che rispecchiano il periodo storico: la prima guerra mondiale. Così come tammurriata nera, malafemmena di Totò, ‘o sarracino di Renato Carosone rispecchiano la seconda guerra mondiale e i successivi anni difficili del dopoguerra. Tutte testimonianze e narrazioni in musica non solo del quotidiano ma del periodo storico che si viveva. La visceralità e il sentimento, che mai ha abbandonato la canzone napoletana, l’ha resa ben predisposta alla diffusione mondiale. Oltre dunque alle potenzialità dei media e dell’industria discografica, la canzone napoletana è di per sé già porosa, cioè adatta alle contaminazioni.
La canzone napoletana oggi
Se la canzone napoletana è di per sé “porosa” allora non deve sorprendere la sua resa contemporanea. Rap, tecno, african; diversi stili e diverse sonorità per raccontare Napoli e i Napoletani. Ma anche un ritorno del bel canto e la musica d’autore. Nino D’Angelo, Massimo Rainieri, Pino Daniele, Gigi D’Alessio e i più giovani Clementino, Rocco Hunt. Inoltre, per sottolineare l’uso della musica per rappresentare la propria identità partenopea oltre che la sperimentazione artistica, è importante evidenziare le voci emergenti dell’attuale scena urban napoletana: LIBERATO, DADA’, Luchè, CoCo, MV Killa, Geolier, Lele Blade, Vale Lambo e Yung Snapp.
Bibliografia
- Weber M., Sociologia della musica, il saggiatore, Milano, 2017;
- Grano A., Trattato di Sociologia della Canzone Classica Napoletana, Palladino, Campobasso, 2005;

Hr specialist, orientatore e giornalista pubblicista laureato in Sociologia con lode. Redattore capo di Sociologicamente.it.
| PUBBLICAZIONI | PROFILO ASNOR | LINKEDIN