Telegiornali, quotidiani, discorsi politici, tweet, particolarmente propensi a offrire temi e sbocchi alle ansie e alle paure pubbliche, non parlano d’altro che della “crisi migratoria” che sta travolgendo l’Europa in questi ultimi anni con l’intento di annunciare il collasso e la fine dello stile di vita che conduciamo e amiamo. In realtà le migrazioni di massa non sono affatto un fenomeno recente: hanno accompagnato tutta l’era moderna fin dai suoi albori.
Pro e contro
Secondo il sociologo, filosofo e accademico polacco Zygmunt Bauman, la produzione di persone “in esubero” (localmente “inutili”, poiché inoccupabili a causa del progresso economico e/o “inaccettabili”, in quanto rifiutate a causa di disordini, conflitti dovuti a trasformazioni sociali/politiche di particolare rilievo) è parte integrante del nostro “stile di vita moderno”. Inoltre, i fattori che provocano gli attuali movimenti di massa dai luoghi di origine sembrerebbe possano riassumersi in due modelli (duplici sono anche le conseguenze nei luoghi di arrivo e le reazioni dei paesi che li subiscono). Nelle “zone sviluppate” del pianeta, quelle in cui cercano rifugio i migranti economici e i richiedenti asilo, il mondo del business accoglie con favore l’arrivo di manodopera a buon mercato e di capacità che si prospettano redditizie ma per la maggioranza della popolazione, già assillata dalla fragilità della vita, quegli stessi fenomeni significano più concorrenza nel mercato del lavoro, quindi meno speranze che le cose un domani possano migliorare grazie ad un’occupazione stabile nel tempo e dignitosamente retribuita: uno stato d’animo politicamente esplosivo che costringe i politici a destreggiarsi fra le attese incompatibili provocate dalla burocrazia e il tentativo di sedare le paure degli elettori che, in alcuni casi, hanno volutamente provocato.
Lepri e ranocchie: metafora dell’agire quotidiano
Nel nostro mondo sempre più policentrico, questa costante ambiguità della vita urbana non è l’unica ragione che ci crea disagio alla vista di nuovi venuti senza casa. Un impulso, secondo Bauman, segue lo schema tracciato nell’antica fiaba di Esopo che ha per protagonisti lepri e ranocchie (nella versione narrata in “The Hares and the Frogs. An Aesop’s Fable“). In questa favola le lepri si sentivano a tal punto perseguitate dagli altri animali che non sapevano più cosa fare della loro vita. Un giorno videro una mandria di cavalli selvatici al galoppo e, prese dal panico, se la diedero a gambe fino al lago con l’intento di annegarsi. Appena le lepri si avvicinarono alla riva, un gruppo di ranocchie, allarmate dal loro arrivo, scapparono e saltarono in acqua. Al che una delle lepri commentò: «In fondo le cose non vanno poi così male!». La morale della fiaba è semplicissima: il gradito sollievo della mortificazione delle persecuzioni quotidiane nasce dalla rivelazione che c’è qualcuno che se la passa peggio di noi. La nostra società, definita da Bauman di “animali umani”, è piena di “lepri” (negli ultimi decenni il loro numero aumentato). Queste lepri vivono nella miseria, nell’umiliazione e nell’ignominia, in un contesto che, pur potendo vantare agi e opulenza senza precedenti, è fermamente deciso ad emarginarle e, di conseguenza, mortificarle. Bauman, nella sua opera “Stranieri alle porte” (da cui sono tratte anche le suddette riflessioni), afferma: “Abitualmente derise, redarguite e censurate dagli altri animali, le nostre lepri si sentono offese e vessate dal fatto che, mentre gli altri animali le umiliano e le disprezzano, è lo stesso tribunale della loro coscienza a rimproverarle, ridicolizzarle e denigrarle per la loro palese incapacità di innalzarsi di livello. Per gli esclusi che sospettano di essere relegati tra gli ultimi, scoprire che sotto di loro c’è qualcun altro è una sorta di evento salvifico che restituisce loro dignità umana e salva quel poco che rimane della loro autostima“.
Mors tua vita mea
L’arrivo di una massa di migranti senza dimora rappresenta l’espediente perfetto per atti di xenofobia, di razzismo e di nazionalismo nella sua variante sciovinista. Il Front National guidato da Marine Le Pen (secondo un’inchiesta pubblicata dalla BBC News il 14/12/2005 dal titolo “French National Front defeated in bid to win regional vote“), raccoglie il grosso dei voti negli strati più derelitti della società francese chiamando i cittadini a raccolta, a gran voce o anche solo tacitamente, con lo slogan “La Francia ai francesi“. Essere francesi è una caratteristica (forse anche l’unica possibile) che li accumuna al mondo buono e nobile dei piani alti, ai grandi e potenti e che al tempo stesso li pone al di sopra di quegli estranei (anch’essi miserabili) che sono i nuovi venuti privi di alcun riconoscimento sociale. Affinché i francesi possano sentirsi “chez soi”, più nella buona che nella cattiva sorte, ai migranti bisogna far capire che hanno i giorni contati e che (facendo leva sul “diritto alla sicurezza”) non vi sia alcuna reale speranza che un giorno possano diventare parti attive della società. Ad onor di cronaca, “L’Italia agli italiani“, slogan dei partiti di estrema destra come Fratelli d’Italia e Lega, è entrato in voga nel 2013, in occasione delle elezioni parlamentarie.
Giulia Marra
