I governi non hanno interesse a placare le ansie dei loro cittadini”, afferma il sociologo, filosofo e accademico polacco Zygmunt Bauman (qui il primo appuntamento) in “Stranieri alle porte”, il quale, proseguendo, chiarisce ulteriormente la propria posizione alquanto perentoria su cui si basa l’intera opera. “Al contrario, hanno l’interesse a gonfiare l’inquietudine che scaturisce dall’incertezza sul futuro e da un costante e onnipresente senso d’insicurezza, facendo in modo che le radici di quella insicurezza si aggrappino dove maggiori sono le occasioni di visibilità per ministri che fanno sfoggio di bicipiti, nascondendo invece al pubblico l’immagine di governanti sopraffatti da compiti che non sono in grado di svolgere perché troppo deboli“.

Vantaggio per i politici

Chiamare alle armi la nazione contro un nemico di cui, nel tempo, si è tratteggiato un identikit piuttosto dettagliato grazie all’utilizzo di strumenti di vario genere come, per citarne uno certamente non a caso, i mezzi di informazione, ha da sempre rappresentato un vantaggio considerevole per i politici interessati ad ottenere maggior potere decisionale attraverso le elezioni. L’obiettivo finale è guadagnarsi la gratitudine, la fiducia e il consenso esplicito dei cittadini, soprattutto di coloro che si sentono particolarmente colpiti e angosciati dal peggioramento della propria posizione sociale e dalla nebulosità delle proprie prospettive di vita.

Doppia cittadinanza naturale

Nell’epoca moderna, per la prima volta, la maggior parte di noi ha una doppia cittadinanza: “online” e “offline”. Entrare e uscire da questi mondi avviene così naturalmente da risultare quasi impercettibile: non vi sono frontiere chiaramente segnalate, né guardie di sicurezza armate che farebbero di noi un bersaglio se servisse, ma sono sufficienti un paio di “tap” sullo schermo di qualsiasi smartphone in commercio. Spesso abbiamo l’opportunità di essere in entrambi i mondi simultaneamente, come quando siamo seduti sul divano con il nostro partner o camminiamo in strada in cerca di un bar e, nel frattempo, ci scambiamo dei messaggi con un amico distante centinaia di chilometri. Ogni volta, deliberatamente o senza nemmeno rendercene conto, cambiamo registro a seconda del nostro interlocutore e del contesto che identifica la nostra relazione: ciascuna realtà ha le sue aspettative e i suoi modelli di comportamento da rispettare.

La paura del grande ignoto

L’elenco delle differenze tra questi due mondi sarebbe lungo, ma una in particolare sembra incidere sulle nostre reazioni alle sfide della “crisi migratoria”. Nel mondo offline siamo controllati: ci viene chiesto continuamente di negoziare il nostro ruolo e di mantenerci in equilibrio fra diritti e doveri. Nel mondo online, all’opposto, siamo noi “al comando”, permettendoci il lusso di stabilire l’agenda, di premiare chi obbedisce e punire i ribelli con estrema immediatezza e facilità. Il vantaggio dell’alternativa online consta nella promessa di un’assoluzione dai disagi, dalle scomodità e dalle fatiche che assillano chi vive offline. Vi è una visione di libertà dalle preoccupazioni, che non deriva però dalla risoluzione delle questioni che le alimentano, piuttosto dalla tendenza a sospenderle, nasconderle sotto il tappeto, allontanarle dagli occhi e dal cuore. “I problemi dell’attuale crisi migratoria, esasperati dal panico di migrazione, rientrano nella categoria dei casi particolarmente complessi e controversi in cui l’imperativo categorico della morale si trova a confrontarsi direttamente con la paura del grande ignoto, simboleggiato dalle masse di stranieri alle porte“.

Casse di risonanza insonorizzate

Approfittare dell’ansia provocata dall’afflusso di stranieri che si teme comprima ancor più gli stipendi già particolarmente irrisori e allunghi ulteriormente le fila già vergognosamente lunghe di persone che attendono il loro turno per avere un posto di lavoro, è una tentazione cui sanno resistere ben pochi degli attuali politici in carica. Bauman (qui il secondo appuntamento) infatti, ben consapevole dell’attuale deriva morale, afferma: “Le strategie impiegate per cogliere quest’opportunità possono essere e sono, molto varie, ma una cosa deve essere chiara: una politica basata sulla reciproca separazione e sul mantenimento delle distanze, sulla costruzione di muri anziché di ponti, sulla creazione di ‘casse di risonanza’ insonorizzate e ad alto isolamento anziché di ‘telefoni rossi’ che consentano una comunicazione diretta e priva di distorsioni, una politica, insomma, che se ne lava le mani e che risponde con indifferenza mascherata da tolleranza – non porta da nessuna parte se non al deserto dalla sfiducia, estraniazione ed esasperazione reciproca. Queste politiche, che a breve termine offrono un ingannevole conforto (spostando a orza la sfida fuori dal campo visivo), in realtà accumulano la dinamite delle future deflagrazioni. Altrettanto chiara deve perciò essere una conclusione: la sola via d’uscita dai disagi di oggi e dalle disgrazie di domani passa per il rifiuto delle insidiose tentazioni di separazione; anziché voltarsi dall’altra parte davanti alla realtà delle sfide di oggi – che si condensano nel concetto ‘un solo pianeta, una sola umanità’-, anziché lavarsi le mani e alzare barriere contro le irritanti differenze e dissomiglianze e le estrazioni autoimposte, dobbiamo andare in cerca di occasioni di incontro ravvicinato e di contatto sempre più approfondito, sperando di arrivare in tal modo a una fusione di orizzonti anziché a una loro fissione indotta e artefatta ma sempre più esasperata”.

Giulia Marra
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