La genesi della fotografia: il dagherrotipo
La genesi della fotografia: il dagherrotipo

In principio fu la camera oscura, il dispositivo ottico composto da una scatola oscurata con un semplice foro posizionato al centro di un lato della scatola stessa, come obiettivo. Sul retro, poi, un piano di proiezione dell’immagine. La camera oscura rappresenta le fondamenta di quel palazzo chiamato fotografia, ed è precorritrice della fotocamera. È per questo motivo che ancora oggi gli apparecchi fotografici vengono chiamati ‘camere’. Ad interessarsi del fenomeno della camera oscura fu addirittura Aristotele nel IV secolo a.C. ma fu il francese Joseph Nicèphore Nièpce il primo ad applicarla in ambito fotografico all’inizio dell’Ottocento. Sarà che era agli albori della scoperta, sarà per via del suo nome impronunciabile, ma tutti quanti piuttosto che Nièpce associano l’invenzione della fotografia e il successivo sviluppo delle immagini al più famoso (e indubbiamente dal nome più armonioso) Louis Daguerre, inventore del dagherrotipo.

Come cambia la fotografia

Andy Warhol con una Polaroid bianco e nero
Andy Warhol con una Polaroid bianco e nero

Una volta dato il la a questo nuovo strumento, la strada è stata tutta in discesa. Nel 1880 c’è stata l’introduzione degli apparecchi fotografici portatili mentre otto anni dopo è scoccata l’ora delle pellicole in rullo. Altri progressi si ebbero con l’introduzione del sistema reflex (1928) e con il processo Polaroid in bianco e nero (1948), che permetteva di ottenere in pochi secondi una copia positiva. Gli anni Ottanta sono quelli della svolta digitale, che permetteva all’immagine di essere trasformata in segnali elettrici che venivano successivamente registrati su un supporto magnetico. L’inconveniente di questo tipo di fotografia era la scarsa definizione delle immagini, in confronto a quella della fotografia tradizionale. Un problema però durato pochi anni grazie agli incredibili sviluppi nell’ambito della fotografia digitale. E qui arriviamo alle novità del nuovo millennio: Internet, smartphone, app e social network hanno radicalmente cambiato il modo di ‘fare’ fotografia. Se prima ci si affidava alla bravura, alla capacità e all’esperienza del fotografo di professione, oggi siamo tutti fotografi più o meno professionisti. Grazie a telefoni cellulari sempre più evoluti (che sembra facciano tutto tranne che chiamare…) è possibile scattare delle foto con definizioni sempre migliori. E se c’è un piccolo particolare che proprio non piace, arriva in soccorso l’app di turno che permette di modificare a piacimento la foto appena scattata. Una volta modificato il tutto, arriva il momento più atteso: la pubblicazione sui social, veri e propri contenitori globali. Da Facebook a Twitter passando per Google +, senza dimenticare il social network per eccellenza per quanto riguarda la fotografia, Instagram. E se la fotografia appena scattata proprio non piace, no problem: si cancella e si rifà!

Parla il fotografo professionista

Stephen Alvarez a Rio de Janeiro con il suo smartphone
Stephen Alvarez a Rio de Janeiro con il suo smartphone

A conferma di ciò che è stato appena detto, arrivano puntuali le parole all’ANSA di Stephen Alvarez, da oltre 20 anni foto-giornalista del National Geographic. “Il mondo della fotografia é drasticamente cambiato con Internet, gli smartphone e le app come Instagram. Con gli smartphone tutti possono fare belle foto, ma gli smartphone non sono una piattaforma editoriale. È necessario un progetto. Al National Geographic dal pensare a pubblicare una storia a volte passano anche cinque anni”. E c’è sicuramente da fidarsi di colui il quale è prima sceso nei sotterranei di Roma e Parigi, si è poi introdotto in una grotta messicana dove gli scienziati hanno studiato l’origine della vita e ha infine deciso di fare una capatina sull’Everest. “Ma proprio perché le foto sono diventate alla portata di tutti – continua Alvarez – le persone apprezzano di più l’abilità di un fotografo professionista”. Ciò non toglie però che dell’evoluzione in campo fotografico va tenuto conto; ed è proprio per questo che Alvarez agli strumenti del mestiere ha affiancato i cellulari. “Sono un modo per esplorare, anche per un fotografo professionista come me. Possono essere d’aiuto in condizioni estreme dove non è possibile portare tanta strumentazione. E hanno il grande vantaggio di passare inosservati. A me, ad esempio, piace descrivere le diverse culture con i ritratti. Se dovessi ogni volta tirar fuori la macchina fotografica, la gente si intimidirebbe. Invece – conclude il fotografo – con uno smartphone le persone si sentono a proprio agio e io sembro un turista come tutti gli altri“.

Insomma le evoluzioni in campo fotografico sono state esponenziali, specialmente negli ultimi decenni. Evoluzioni che solo trent’anni fa probabilmente non avremmo nemmeno potuto immaginare. Evoluzioni da prendere comunque con le dovute precauzioni, poiché il mondo è in costante movimento e fatichiamo non poco a stargli dietro. Ma siamo sicuri che siano davvero evoluzioni?

Dario Mastellone

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