Gli ultimi due secoli trascorsi hanno rappresentato una vera e propria rivoluzione sulla mobilità, sia in termini di riduzione dei tempi di percorrenza vista come impatto sociale sulle lunghe distanze, sia in termini strettamente tecnici. I mezzi di locomozione (battelli a vapori e i primi locomotori dell’Ottocento hanno infatti aperto la strada allo sfruttamento dell’energia meccanica) utilizzati hanno avuto un profondo impatto sotto il profilo sociale (una graduale crescita della popolazione che poteva fare uso e trarre beneficio proprio da questo enorme cambiamento) in termini di fruibilità, di utilizzo, prima elitario, poi gradualmente sempre più massivo.

Sociologia e storia della mobilità

Nell’ottocento, le conquiste tecnologiche hanno garantito alle persone di abbattere l’incertezza del viaggio e di converso avere una maggiore sicurezza dello stesso (si pensi alle insidie atmosferiche o a quelle criminali). Nel Novecento abbiamo invece una spinta verso il fattore velocità dei mezzi (quindi un accorciamento dei tempi di durata, grazie ad aerei, automobili e treni moderni). L’auto in particolare ha rappresentato un vero e proprio simbolo di conquista sociale e di libertà di movimento (le lunghe code nelle autostrade degli anni 60 del secolo scorso in concomitanza alle chiusure estive delle fabbriche del settentrione ne sono una rappresentazione tipica), cosi come fortemente simboliche sono state le auto cd popolari (le Fiat 500, 600, 850 per esempio).

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Lo sviluppo della mobilità ha rappresentato una sorta di viaggio oltre che fisico soprattutto sociale, quindi parlare di partenze o di ritorni, assume non solo caratteri fisici, ma soprattutto umani, volendo dire che la mobilità oltre che essere configurata come mero spostamento tra un posto e un altro (il viaggiare), di converso e per altre categorizzazioni rappresenta anche la possibilità di una “variazione dinamica sociale” in termini di classi e di conseguenza rappresenta un possibile indice di stratificazione sociale in senso ampio.

La mobilità lavorativa e il pendolarismo

La mobilità lavorativa ha sempre delineato e configurato uno dei più importanti fenomeni di circolazione umana. Infatti, storicamente tutti i paesi hanno vissuto e vivono questa dinamica come un flusso continuo. Non è un caso che emigrazione e immigrazione oltre che essere in alcuni casi connessi, rappresentano per alcuni aspetti una delle caratteristiche estreme delle società sia passate che attuali, con movimenti dai paesi poveri verso quelli ricchi, o anche tra zone depresse di uno stato verso zone economicamente attive, che non vuol necessariamente significare virtuose, anzi.., esempi di costi sociali occulti sono per esempio lo sfruttamento della manodopera immigrata nei campi, che spesso degenera in tragedie che vanno ben oltre la soglia dell’umano.

Come ci ricorda Accornero, la mobilità da sud a nord per questioni lavorative era rappresentata e cristallizzata nei treni che partivano dal sud Italia verso il nord nei primi anni del 900, con le prime migrazioni verso le fabbriche, con i vagoni che trasportavano le persone direttamente verso gli stabilimenti produttivi. La prima parte del secolo scorso era organizzativamente disegnata da quel modo di produrre denominato “Taylor-Fordismo”, con i lavoratori che altro non erano che ingranaggi che dovevano sottostare a tempi, metodi e ritmi scanditi e imposti esternamente.

Peculiarità del pendolarismo

Già il Tocqueville temeva intorno al 1835, influenzato dalle scienze industriali dell’epoca e dagli scritti di Charles Babbage che quando un operaio si dedica unicamente ad un solo compito diviene più abile ma perde in ingegno e come se man mano che l’operaio si specializza l’uomo degrada.  Esiste anche un altro fenomeno particolare, che trova nella mobilità continua, giornaliera, e che è dato dallo spostarsi verso i luoghi di lavoro o di studio, il cd “pendolarismo”, fatto di una moltitudine di persone che quotidianamente percorrono (sia con il proprio mezzo, sia con i TPL (trasporti pubblici urbani ed extra urbani) distanze importanti per recarsi sui luoghi di lavoro.

Questo fenomeno sociale porta con se anche una modalità sociale del vissuto umano, le persone infatti, intrecciano relazioni, instaurano legami, il viaggio scandisce il tempo di vita, che viene rinchiuso e vissuto di fatto proprio nel percorso di andata e ritorno. Potremmo sicuramente parlare di non luoghi (il termine è stato coniato da M. Augè), poiché i nodi (stazioni, porti, aeroporti) oltre a rappresentare dei terminali fisici di collegamento prettamente geografici, altro non sono che spazi sociali indefiniti di mescolanza culturale, oggi invero particolarmente critici.

Isolarsi nella mobilità

In essi, infatti, non è difficile imbattersi in una moltitudine di gente con il capo chinato sullo smartphone, esso ha rimpiazzato i libri, che un tempo facevano compagnia ai pendolari, e se la lettura era uno svago tipico della mobilità, del viaggiare, essa oggi è stata sostituita dallo scrollare le immagini, le storie, le fake, i gossip, con una società che si indentifica più ad un reality televisivo che ad altro.

L’essere trasportati quindi, prima ancora che un fatto giuridico (non è un caso che anche la nostra Costituzione all’art. 16 comma 1, traccia una valenza sociale della mobilità, oltre che di libertà di spostamento anche di qualificazione di un diritto alla mobilità del cittadino e di accesso ai servizi pubblici di trasporto come espressione dei diritti inviolabili dell’uomo) è un fatto sociale.

La mobilità complessa

E’ proprio tra il XX° e il XXI° secolo che si hanno i maggiori cambiamenti, sia sotto il profilo tecnologico che di interazione uomo/sistemi. Le applicazioni informatiche messe a disposizione permettono in qualsiasi momento di conoscere tempi e presenza di una qualsiasi forma di vettore utile alla mobilità fisica. Permane ancora oggi una certa propensione all’utilizzo della vettura privata per lo spostamento, sia per tratte brevi che lunghe, complice di questo fenomeno è l’aspetto soggettivo (la libertà di movimento, i tempi flessibili e spesso ridotti, nonché i costi).

In particolare, si può osservare come le politiche pubbliche mese in campo sino ad ora abbiamo avuto come interesse primario una concezione molto individualistica, privilegiando la mobilità individuale a scapito di quella collettiva. Ancora oggi, l’analisi dei trasporti si concentra soprattutto su aspetti tecnici, strutturali ed ingegneristici a scapito di quelli socioculturali. Ciò produce un indirizzamento dell’azione innovativa solo sulle infrastrutture, e con questo non si fa altro che ampliare la circolazione dei veicoli ad uso privato, saturando in breve tempo il neo tratto stradale. Occorrerebbe invece spingere molto sul trasporto collettivo, sia in termini di offerta che di fruibilità dei mezzi (tempi, orari, costi).

Infatti, se lo spostamento riguarda un solo membro familiare, il TPL (trasporto pubblico locale) o quello a lunga percorrenza ha una sua economicità, ma al crescere del numero di componenti familiari che si spostano si ha l’effetto inverso in termini di sostenibilità economica, per cui l’auto viene preferita per economicità.

Mobilità e sostenibilità ambientale

La mobilità si porta dietro un’eredità pesantissima, quella legata alle criticità ambientali, l’impatto ecologico risulta molto critico e i cambiamenti climatici a cui stiamo assistendo sono devastanti per il pianeta. Le transizioni ecologiche tanto blasonate si stanno rivelando prive di concretezza, e le soluzioni messe in campo in realtà nascondono interessi lobbistici (costruttori di veicoli, industria petrolifera, e persino l’elettrico non è privo di forti anomalie strutturali).

Non sono mancati i tentativi di introdurre anche per via normativa (sia essa cogente oppure di tipo certificante) strumenti agevolativi e facilitanti nell’uso dei trasporti collettivi, pensiamo alla figura del “mobility manager”, profilo in realtà mai decollato effettivamente se non come esempio di proclami politici. In realtà esso doveva essere un ingranaggio della più complessa gestione della mobilità urbana. La figura era stata pensata sia sul versante pubblico (come riferimento all’interno delle pubbliche amministrazioni verso l’esterno), e chiaramente con me figura speculare e complementare nelle organizzazioni aziendali private come appunto interfaccia.

Scopo, obbiettivo e attività del mobility è appunto quella di realizzare il P.S.C.L. (Piano spostamento casa lavoro), avente il doppio impatto, lato ambientale ridurre la circolazione delle vetture private e spingere sull’utilizzo del TPL, dal lato invece personale garantire una riduzione dei costi degli spostamenti e una migliore qualità della vita.  

La mobilità immaginaria e virtuale

Il movimento, il viaggio, può essere anche semplicemente immaginario e allo stesso tempo virtuale, con le persone che attraverso il web azzerano le distanze, almeno quelle comunicative. Si pensi anche in ambito lavorativo alle riunioni, un tempo possibili solo in presenza, e ora, ormai da qualche anno anche in modalità on line.

Qui si apre un ulteriore “cantiere”, perché mentre con la visione di un film, di un documentario si poteva viaggiare con l’immaginazione, con il virtuale accade qualcosa di diverso, poiché le persone interagiscono in tempo reale in uno spazio condiviso (pensiamo alle video chiamate tra due soggetti ubicati in località turistiche distanti anche migliaia di km. Proprio questa evoluzione verso il virtuale ha fatto teorizzare ad autorevoli voci accademiche che non sarebbe errato parlare di viaggiatori sedentari.

In realtà, questi concetti erano stati già previsti da J. Urry, che provò ad immaginare una distinzione tra quattro differenti tipi di viaggio; il movimento fisico, il viaggio immaginato, il viaggio virtuale, il viaggio corporeo. Il viaggio, l’andare e il ritornare, rimane un fatto umano, che afferisce alla storia di un singolo o di un gruppo, e persino a volte di un popolo e di converso alle condizioni socioeconomiche di appartenenza.

Francesco Caliò

Riferimenti

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