La musica costituisce un ambito della cultura particolarmente complesso in cui si esprimono al tempo stesso sensazioni, emozioni, dimensioni del desiderio e dell’immaginario individuale e collettivo, rappresentazioni della realtà naturale e sociale, concezioni del mondo e della vita“. Questa perfetta sintesi proposta da Franco Crespi, introduce il vastissimo campo della musica e degli studi a essa correlati. Essendo un oggetto di studio così particolare e di per sé tendente alla contaminazione e alla multidisciplinarietà, è sempre interessante proporre analisi e individuare case studies, tanto che molto difficilmente si esce incolumi da un’eventuale fascinazione inter e post ricerca.  Cosa si può e non si può dire con la musica?

Musica: censurare le parole

Il chitarrista e compositore Frank Zappa, considerato uno dei più grandi geni musicali del Novecento, ha rappresentato l’anomalia all’interno della cultura di massa, in quanto disprezzava l’industria culturale vista come “meccanismo artificiale e vuoto“. Era una delle persone più autentiche nel panorama musicale dell’epoca, mostrava un punto di vista originale e mai banale su qualsiasi argomento. Nel 1986 Zappa fu ospite della trasmissione Crossfire sulla CNN, nella quale si discusse della possibilità di commerciare musica con contenuti espliciti o immorali. In questo video si scontrarono in particolare il musicista e il giornalista ultracattolico conservatore del Washington Post John Lofton, che sosteneva la creazione di qualcosa di molto simile a un organo di censura. È interessante notare – e desumere –  che per Zappa la musica rock e i testi volgari o immorali non devono essere assolutamente censurati, in quanto fanno parte del nostro retaggio culturale, ma soprattutto “non esisterebbe alcuna ragione scientifica o logica per cui delle parole dovrebbero venir nascoste alle persone”. I confini del dicibile, cioè i confini di ciò che in una società può essere detto senza ripercussioni sulla morale, passano ovviamente per il linguaggio verbale, attraverso la scelta di utilizzare un determinato codice linguistico, cioè regole implicite stabilite dai gruppi stessi. Rendere dicibile un qualcosa, quindi, non significa sostenere un’ideologia, come può sembrare, ma accettare che un qualcosa esiste, sia essa come elemento fattuale (le coppie di fatto, ad esempio) sia come elemento relativo ai miti e le costruzioni dell’immaginario (il diavolo, le cospirazioni, ad esempio) e attraverso la musica questo processo risulta essere fluido quanto il medium stesso.

Da concetto a suono

Continuando sulla questione delle parole, è interessante introdurre il concetto di ripetizione ossessiva del performer Lenny Bruce – qui, nel video, interpretato da Dustin Hoffman – cioè, l’utilizzo esasperante di una determinata parola al fine di depotenziarla, per eliminare la presa e l’imbarazzo che si genera nei discorsi, in modo da diventare solo un suono e non un concetto. Una proposta curiosa, che negli attuali contesti sociali iperconnessi ha tuttavia relativamente poca efficacia, se non in processi di resilienza e di rielaborazione linguistica (vedesi negro/nigga, checca/frocio). Certi tabù, anche antropologicamente resistenti come quelli riguardanti l’incesto e la pedofilia, diventano dicibili proprio perché vengono resi comuni nelle narrazioni, vengono cioè privati della loro esclusività, resi normali attraverso la loro presenza in storie verosimili, che possono rientrare nel nostro possibile quotidiano, letteralmente “può accadere a me e a chi mi sta intorno“.

Alcuni esempi musicali

La storia della musica è costellata di esempi del genere. Tuttavia è parso ricordare – sia per il significato che per conoscenza di chi scrive – alcuni brani utili. Il primo è Black Dog dei Led Zeppelin, il cui titolo si riferisce a un labrador retriever nero che vagava attorno agli studi di Headley Grange durante la registrazione dell’album. Tuttavia il cane non ha nulla a che fare con il testo della canzone, che parla del disperato desiderio per l’amore di una donna e della felicità che da esso ne deriva. Il cantante, Jimmy Page, utilizza a un certo punto della canzone dei versi che evocano l’amplesso in atto.

Il secondo è Inside the Fire dei Disturbed, un brano molto particolare, che tratta il delicato argomento del suicidio. Il cantante David Draiman all’età di 16 anni si ritrovò ad affrontare il suicidio della sua fidanzata, e ha scelto di narrare questa esperienza attraverso questa canzone dal punto di vista del diavolo tentatore che aveva accanto a lui quando successe il tragico evento, che – come si percepisce dalla canzone –  gli sussurra nell’orecchio “dammi la tua anima se vuoi rivedere la tua ragazza”.

Il terzo brano è Aqualung, abbietto e diseredato protagonista dell’album più ispirato e controverso di una delle formazioni britanniche fra le più originali, i Jethro Tull. Un barbone dallo sguardo bieco e luciferino, abbandonato a sé stesso in una delle tante panchine del parco, maliziosamente guarda le ragazzine a passeggio respirando affannosamente, richiamando, oltre lo status di reietto della società, anche una potenziale pedofilia.

Francesco D’Ambrosio

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