L’hip hop è un fenomeno mondiale, così potente e popolare che risulta quasi impossibile non saperne proprio nulla. Tuttavia avreste mai detto che deve gran parte della sua fortuna ad un lungo, lunghissimo black out? Oppure che si tratta dell’unico movimento culturale ad aver incluso sotto la propria ala quattro discipline artistiche e cioè rap, graffiti, breakdancing, DJing? Bene, se ora la curiosità non vi fa stare più nella pelle, avete solo da mettetevi comodi per fare un bel salto indietro nel tempo, di ben 40 anni.
The Bronx is burning
Sono gli anni Settanta, la musica Disco sta spopolando e New York, tra feste, paillettes, champagne e macchine lussuose, ha la fama mondiale di essere un vero paradiso, un sogno diventato realtà. Non nel nord, però. Nel South Bronx, l’area sud-occidentale e popolare del quartiere del Bronx appunto, la vita era un vero inferno. Le cose, infatti, iniziarono a mettersi male sul finire degli anni 60, con il taglio di 600mila posti di lavoro, il tasso di disoccupazione giovanile superiore al 60% e la conseguente fuga della classe media verso quartieri meno poveri e malfamati. Poi tutto andò davvero a rotoli quando ad un certo punto si innescò una strategia viziosa per combattere il deprezzamento delle abitazioni: perché non assoldare qualche delinquente per appiccare incendi alla propria casa in modo da guadagnare migliaia di dollari dalle assicurazioni? Niente di più facile! La città iniziò così a bruciare ininterrottamente per anni: pensate che solo tra il 1973 e il 1977 nel South Bronx vennero appiccati circa 30mila incendi. Ecco, ora immaginate quella situazione di disagio e degrado, di polvere, macerie e odore di bruciato, perché è proprio lì che l’hip hop trovò terreno fertile per far sentire la sua voglia di riscatto.
La prima festa hip hop: il seme è piantato!
Di origini giamaicane, figlio di un collezionista di vinili, Clive Campbell, meglio noto con il suo nome d’arte Kool Herc, fu senza dubbio il primo a gettare le basi dell’hip hop. Tutto nacque nell’estate del 1973 e più precisamente l’11 agosto. In quel periodo gli house party, durante i quali Clive aveva ottenuto popolarità e rispetto, avevano subìto un forte declino per via di una sempre più crescente presenza di gang pericolose nel quartiere; nel frattempo, sua sorella Cindy si stava ingegnando per racimolare soldi in modo facile e onesto. Occorreva una soluzione e la trovarono eccome, affittando il salone di un palazzo fatiscente al Sedgwick Avenue 1520: con il permesso delle gang, un po’ di passaparola e i primi flyer scritti a mano su cartoncino, il gioco fu presto fatto al punto che la loro festa fu semplicemente leggendaria e sapete perché? Perché per la prima volta non si ballò la Disco, ma qualcosa di alternativo e mai passato alla radio, un genere fatto di un mix di dischi soul e funk (di cui Kool Herc non ha mai svelato i titoli), che dopotutto avevano cresciuto i ragazzini del quartiere.
Dato l’incredibile successo, il party fu programmato regolarmente per un anno intero, finché nel 1974, Clive decise di organizzare un block party, allacciandosi alla corrente dei pali della luce e chiedendo alle gang una tregua speciale per l’occasione. E lì qualcosa di incredibile scattò nella sua mente. Perché i ballerini si scatenavano in un preciso momento della traccia e cioè nel break strumentale, quando aumentava il groove con la sola batteria o la batteria con i bassi, senza che ci fossero melodie o ritornelli? Se è così trascinante, perché allora non cercare pezzi con quei break, usando due dischi uguali e passando da un piatto all’altro dei giradischi in un lungo loop? Nacque così quello che Dj Kool Herc chiamò “Merry-Go-Round”, una tecnica incredibile che spiazzò tutti e fu determinante per l’hip hop e per la break dance, il ballo appunto sui break, che vide crescere le sfide in cerchio (al posto di attacchi violenti) tra ballerini di strada definiti dallo stesso Clive “breaks boy e breaks girl” (poi abbreviati in “b-boy e b-girl”). Eppure l’hip hop deve anche molto altro a Dj Kool Herc e cioè la “creazione” dell’mc, il Master of Ceremonies. Anche quella volta, tutto accadde per caso ad una sua festa, quando l’amico rapper Coke La Rock prese un microfono e lanciò un messaggio alla gente in pista per fare colpo sulle ragazze. Ebbene, sembrerà incredibile, ma proprio quel grido in rima, così naturale e spontaneo, ebbe un tale successo che continuò ad essere riproposto alle feste successive, conquistando i ragazzi, primo fra tutti colui che diventò un vero e proprio mito: Afrika Bambaataa.
Universal Zulu Nation: la nascita di un movimento culturale
Cresciuto nel Bronx River, sotto l’influenza delle gang che in quel periodo dominavano il territorio, Kevin Donovan, meglio noto come Afrika Bambaataa, è una delle figure più emblematiche del movimento hip hop. Dopo essere stato nei Power Bronx e successivamente nei Savage Seven, di cui diventò leader, Kevin era molto conosciuto e per questo iniziò a pensare di dover dialogare con i membri di diverse bande criminali, nel tentativo di radunarle in un unico gruppo e mettere fine alle rivalità. Fu cosi che i Black Spades, con più di 200 membri, pronti a tutti i costi a difendere la cultura afro-americana dagli attacchi razzisti, diventò la più grande e temuta gang del Bronx. Ma dopo un viaggio in Africa, avvenuto nel 1974, Kevin tornò completamente trasformato al punto da cambiare il suo nome in Afrika Bambaataa Aasim (dal nome di un capo Zulù) e fondare un movimento pacifico chiamato Bronx River Organisation, poi ribattezzato Universal Zulu Nation, con lo scopo di placare le violenze tra i giovani che si trovavano ai margini della società e unire tutto il fermento artistico, fatto di 4 elementi ovvero il rapping, il DJing, la breakdance e il graffitismo, con La Conoscenza, la consapevolezza cioè di un movimento culturale emancipatorio che per la prima volta venne proprio chiamato Hip Hop. E così, influenzato da dj Kool Herc, Afrika Bambaataa passò allo step successivo e iniziò ad organizzare feste dove metteva dischi che mescolavano suoni funk ed elettronici, drum machine e vocoder, un “electro funk” attraverso cui si fece portavoce di una nuova filosofia, “Peace, Love and Having Fun“, che lo rese semplicemente una leggenda.
Grandmaster Flash and the Furious Five
Se Dj Kool Herc aveva gettato le basi, Afrika Bambataa aveva creato un movimento culturale, a Grandmaster Flash, ovvero il terzo membro della Santissima Trinità, si deve la svolta tecnica musicale. Affascinato dal giradischi, appassionato di musica, sin da giovanissimo Joseph Saddler, conosciuto come Grandmaster Flash, adorava andare per cortili e scantinati in cerca di strumentazioni utili a suonare e sperimentare. In effetti in quel periodo il modo in cui comunemente venivano mixati i dischi, sfumandosi gli uni negli altri, era ancora di scarsa precisione e il più delle volte fuori tempo. Così dopo svariate prove e tentativi, ebbe un intuito: toccando il disco e segnando con un pastello il punto in cui iniziava il break, per tornare a quel punto bastava contare il numero di giri e girare all’indietro il disco lo stesso numero di volte. Grandmaster Flash aveva insomma inventato un nuovo modo di usare il giradischi, rendendolo un vero e proprio strumento musicale, con cui fare scratch, cutting e via dicendo. Certo di aver creato qualcosa di straordinario, organizzò allora una jam session al parco, ma la gente così incuriosita da quello che faceva con i piatti continuava a guardare piuttosto che ballare e divertirsi. La delusione fu tanta e dopo giornate di pianti ininterrotti (tutto vero!) capì una cosa e cioè che qualcuno doveva prendere un microfono e cantare dall’altra parte della consolle. Ecco allora che nacquero i Grandmaster and The Furious Five: uno dei primi gruppi Hip Hop formato da 5 mc, Cowboy, Melli Mel, The Kidd Creole, Raheim e Scorpio, il primo ad aver scritto una traccia come “The message“, sui problemi della vita del ghetto. L’Hip Hop aveva quindi compiuto i suoi primi passi, ma come è diventato uno dei movimenti culturali più influenti che la politica, la moda, lo sport, l’arte (e non solo) abbiano mai conosciuto?
Alice Porracchio

“If there’s not a rebellious youth culture, there’s no culture at all. It’s absolutely essential. It is the future”.