Noi viviamo in una società in cui l’immagine la fa da padrone. Ci muoviamo in questo mondo decodificando la realtà, semplificandola, inquadrandola in sottoinsiemi dotati di senso, sia esso oggettivo che soggettivo. Nel corso della storia ci siamo avvalsi di tecnologie che hanno permesso questa semplificazione, con la fotografia prima e la cinematografia poi. Questo processo è andato evolvendosi, passando per la televisione fino ai nuovi media inseriti, chi più chi meno direttamente, nel world wide web.

È possibile un’immagine oggettiva?

Questa semplificazione, però, ha comportato delle scelte. Rimanendo con l’esempio della fotografia, la scelta dell’inquadratura comporta una scelta di carattere prettamente culturale. Ciò che viene inquadrato e ciò che viene estromesso è a diretta discrezione del fotografo di turno che, figlio del suo tempo, ha una determinata cultura a cui fa costantemente riferimento nel suo agire e nel suo pensare inconscio, e la travasa direttamente nella tecnologia che usa. Eppure, nella storia, si è sviluppata un’idea particolare nei confronti dell’immagine, ossia, che essa possa essere oggettiva. Naturalmente questo pensiero, di diretta derivazione dell’approccio delle scienze naturali, non si adatta bene alle scienze sociali moderne, che rivalutano quest’idea.

Il fotogiornalismo di stampo americano

Questione di manipolazione

Questo preconcetto di oggettività viene dal fotogiornalismo concerned di stampo americano degli anni ’20/’30 che vuole l’immagine tonale, sintetica, d’impatto. Peccato che questo preconcetto di oggettività rimanga in parte ancora oggi. Basti guardare alle foto di guerra, ma anche di manifestazioni, eventi e qualsivoglia altra situazione di interesse sociale e fotografico. Chi c’è dietro allo strumento che cattura le immagini, ha un potere enorme sul prodotto che registra: egli può manipolarlo a suo piacimento, risemantizzarlo. Un’immagine è oggettiva quando assolve alle funzioni che la scienza che la utilizza si prefigge. Ad esempio, una foto di una ferita in bianco e nero non serve alla medicina didattica, urge una foto a colori per comprendere il rossore, l’entità del taglio o bruciatura che sia. Essa deve essere in grado di assumere una forma generalizzata (per le scienze fisiche), o quanto meno dovrebbe riuscire a ridurre quel grado di incertezza dato da dati discordanti (per le scienze sociali). In altre parole, per le scienze sociali l’immagine deve avere un forte carattere connotativo, cioè deve riuscire a dare delle informazioni in più che però non facciano da contorno a una ricerca, ma che ne siano il perno.

Per le scienze sociali l’immagine deve riuscire a dare delle informazioni in più

La conoscenza come arma

Come riuscire a distinguere un’immagine vera da una manipolata? È molto difficile farlo: l’unica arma in difesa di questa incertezza è la conoscenza. In altre parole bisogna conoscere i contesti, i soggetti catturati dall’immagine, la cultura di riferimento, chi registra e quali sono le sue motivazioni di ricerca (quindi se è commissionato o meno). Consci di questo, bisogna fare un lavoro di scorporo di tutti quei fattori altamente semplificanti, e cercare di comprendere cosa c’è oltre la cornice, oltre l’immagine stessa.

Francesco D’Ambrosio

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