Gli insegnanti continuano ad essere una categoria speciale, cui non è richiesta produzione diretta di quote di profitto. Essi restano produttori di sapere, ma il loro diffuso malessere ha reso impellente la necessità di ricerche etnografiche, una delle quali, qui proposta, intende analizzare la vita professionale attraverso le parole stesse di alcuni appartenenti al corpo docente, campionati e intervistati a casa o al lavoro.

L’inizio della professione

Dalla ricerca emerge una definizione tardiva del ruolo di insegnante. Dapprima, infatti, il futuro professore di ruolo è stato utilizzato a tempo determinato e solo dopo diversi anni di precariato ha potuto acquisire una definitiva identità di ruolo. Pochi, quindi, sono coloro che scelgono fin da subito di fare gli insegnanti e, per una parte di loro, l’approdo alla professione è stata una diretta conseguenza delle tensioni sociali oppure il risultato della volontà di recuperare “vite ai margini”, secondo un aspetto missionistico che è presente nelle donne molto più che negli uomini. Negli anni, la soglia di ingresso nelle scuole si è ristretta, portando con sé un aumento della precarietà. Così, il rapporto che gli insegnanti più giovani hanno con la loro professione riflette le trasformazioni culturali e sociali che hanno interessato il Paese nel corso degli ultimi vent’anni.

La costruzione della carriera

La svalutazione sociale della professione di insegnante rende incerta e problematica la stessa prospettiva di carriera che, diversamente che in altri ambiti, non è mai lineare. La perdita di centralità del proprio sapere, unitamente alla sempre maggiore duttilità e flessibilità richieste, rendono evidente il declino della professione. In mancanza di una carriera classica, molti insegnanti ripiegano così in una carriera orizzontale, cambiando scuola o trasferendosi più vicino al proprio luogo di residenza. La trasformazione della famiglia, inoltre, e la sua crisi irreversibile in qualità di agenzia di socializzazione, sono avvertite dal personale docente, dovendo molti insegnanti operare in aree caratterizzate da evidente degrado, dove il rapporto con le famiglie è impoverito a tal punto da costringere parecchi insegnanti a lavorare in condizioni molto difficili e in costante rischio di incolumità personale.

Il rapporto salvifico

L’insegnante si percepisce centrale e autonomo solo all’interno della classe la quale, del resto, è un’isola felice solo se considerata luogo di rapporti con i ragazzi. Per molti studenti, la scuola non è depositaria di alcun valore e, anzi, è considerata inutile e obsoleta. L’insegnante diventa così l’elemento principale della svalutazione, dovendo rapportarsi con alcuni alunni secondo modalità tipiche più dell’accudimento che della didattica. Di fronte alle nuove esigenze espresse dai giovani, soprattutto dai nuovi stranieri appena inseriti nelle aule, gli insegnanti palesano ancora scarsi strumenti formativi e di aggiornamento. E se la scuola del passato è stata fondata sull’ascolto, sarebbe a dire sull’autorità dell’insegnante e del libro, sul silenzio degli scolari, sull’apprendimento mnemonico, mentre quella nuova sull’attività, ovvero sulla collaborazione tra insegnante e scolari e tra scolaro e scolaro, sull’abitudine al confronto, sullo sviluppo del senso critico, l’anima di questa istituzione imprescindibile non potrà fare a meno comunque mai della sua missione, da traguardare tenendo conto del cambiamento dei tempi: la trasmissione di regole e diritti, di esperienza e cultura, di cognizione del passato e addestramento al futuro.

Gianni Broggi