Per flessibilità di lavoro (o lavoro flessibile) si intende un insieme diverso di mansioni e di forme contrattuali, nella quale viene stabilita una flessibilità negli orari di lavoro, nei luoghi di lavoro e nei salari.

Questo tipo di realtà lavorativa si è sviluppata con l’avvento del neoliberismo e di diverse forme di organizzazione del lavoro, contrapposte al capitalismo basato sulla produzione di massa.

L’obiettivo perseguito sembrerebbe, da una parte, quello di adattare l’organizzazione del lavoro ai mutamenti dell’economia; dall’altra, quello di creare maggiori opportunità occupazionali e quindi di allargare la partecipazione al mercato del lavoro ai soggetti a rischio di esclusione sociale.

Indice

Le diverse forme del lavoro flessibile e i tipi di contratto

La flessibilità si articola in diversi modi e così è possibile distinguere fra:

  • Una flessibilità numerica: che riguarda la possibilità da parte del datore di lavoro di decidere l’ammontare dei lavoratori di cui avvalersi in base alle esigenze contingenti, grazie anche a contratti che riducono consistentemente gli oneri del licenziamento.
  • Una flessibilità organizzativa, temporale, spaziale, retributiva, che riguarda ad esempio: la modifica delle prestazioni lavorative concordate con il datore di lavoro, i tempi di lavoro, le mansioni svolte in diverse sedi e la possibilità di modifiche al salario.
  • Infine, una flessibilità in entrata: che fa riferimento alle procedure di avviamento al lavoro e quindi all’assunzione dei lavoratori.
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Diverse tipologia di lavoro flessibile

Diverse sono le forme contrattuali rispetto al contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, e possono essere distinte secondo il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro in:

  • Contratto a tempo determinato: si caratterizza per la preventiva determinazione della durata, estinguendosi automaticamente allo scadere del termine inizialmente fissato. Può avere una durata massima pari a 12 mesi ad eccezione alcuni eventi causali.
  • Contratto a tempo parziale (part time): caratterizzato da una riduzione dell’orario di lavoro rispetto a quello ordinario che è generalmente della durata di 40 ore.
  • Il lavoro intermittente (o “a chiamata”): un lavoratore si pone a disposizione di un datore di lavoro che ne può utilizzare la prestazione lavorativa in modo discontinuo o intermittente secondo le esigenze individuate dai contratti collettivi.
  • Il lavoro agricolo: coloro che prestano la propria attività alle dipendenze di imprenditori agricoli.
  • Il lavoro stagionale: caratterizzato dallo svolgimento di un’attività lavorativa in un determinato periodo dell’anno, in virtù di condizioni atmosferiche o per le caratteristiche del servizio reso o del prodotto realizzato e venduto.
  • L’apprendistato: finalizzato alla formazione e all’occupazione dei giovani in generale, possono essere assunti con contratto di apprendistato i soggetti di età compresa fra i 15 e i 29 anni, i limiti di età variano a seconda della tipologia di apprendistato.
  • Il lavoro somministrato: è un rapporto di lavoro in base al quale l’impresa utilizzatrice può richiedere la prestazione di uno o più lavoratori ad agenzie autorizzate iscritte in un apposito Albo informatico tenuto presso l’Agenzia Nazionale per le Politiche Attive del Lavoro (ANPAL).
  • Infine, lo smart working: è una modalità di esecuzione della prestazione lavorativa, attraverso l’utilizzo di strumenti tecnologici, al fine di incrementare la competitività e di agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.

Lavoro flessibile ma non subordinato

Tra le tipologie di rapporti, non fanno parte nell’ambito del lavoro subordinato:

  • Le prestazioni occasionali: caratterizzate da un servizio saltuario che non supera i 30 giorni con lo stesso committente.
  • La collaborazione coordinata e continuativa (co.co.co): un lavoratore, dietro il pagamento di un corrispettivo si impegna a realizzare un bene o un servizio, senza vincoli di subordinazione con il committente.
  • Lavoro autonomo: caratterizzato da tutte quelle figure professionali che idealizzano, organizzano e realizzano il proprio lavoro in autonomia.
  • Lavoro mediante piattaforme digitali (lavoro autonomo o etero organizzato).

L’evoluzione delle trasformazioni del mercato del lavoro

La nascita del lavoro flessibile in Italia è iniziata ufficialmente negli anni Novanta, in cui i governi sia di destra, che di sinistra, hanno introdotto in Italia nuove politiche attive e diversi cambiamenti al mercato del lavoro. Questi cambiamenti sono avvenuti a causa di eventi che hanno segnato l’intero sistema economico e sociale italiano:

  • Dalla prima crisi petrolifera del 1973 che causò una stagflazione, ovvero, un aumento generale dei prezzi e contemporaneamente una mancanza di crescita dell’economia in termini reali. (aumento della disoccupazione)
  • Con l’avvento degli anni Ottanta, il sistema di produzione di massa: “keynesiano- taylorista” iniziò a sgretolarsi, e, dunque, in Europa cominciò quella che fu definita: “ la fase di riorganizzazione del capitalismo in chiave neo liberale.” La produzione di massa, che fino a quel punto aveva dominato l’organizzazione industriale, tende ad andare in crisi per il concorrere di numerosi fattori: la volatilità dei mercati, la domanda di beni di consumo sempre più variabile, l’impossibilità di collocare beni su mercati ormai saturi, il costo sempre più alto della forza lavoro a fronte di profitti che si riducono, la spinta verso il “just in time”, l’esternalizzazione di intere parti di produzione, l’ingresso della finanza nella logica delle imprese, ma anche l’apertura verso mercati del lavoro poco o per nulla regolamentati. Tutti questi elementi fanno sì che la classe degli imprenditori guardi in quegli anni con sempre maggiore interesse a relazioni flessibili con la forza lavoro.
  • Il gravare del debito pubblico porterà la necessità di contenere la spesa pubblica e si individuerà nell’offerta dei servizi sociali l’area più sacrificabile.

Gallino e Beck: prodromi del lavoro flessibile

Secondo il sociologo Luciano Gallino, questa è stata un’invenzione politica senza precedenti, il debito pubblico è individuato come il principale responsabile delle difficoltà del finanziamento pubblico, sacrificando e riducendo le spese in settori come: la sanità, l’istruzione e le politiche di sostegno al lavoro. Se da un lato, le forze del mercato si orientarono alla riduzione delle spese sociali, dall’altro, l’ultimo elemento su cui l’introduzione della flessibilità poté fare affidamento fu quell’insieme di processi che tendevano e tendono all’individualizzazione e alla valorizzazione del singolo soggetto. In realtà, si scoprirà che esiste una via alta e una via bassa della flessibilità, definite da variabili come ad esempio: “l’appartenenza di genere”, “il capitale sociale”, “le reti di relazioni”, “l’area geografica di residenza.”

Secondo il sociologo Ulrich Beck l’essere entrati in una nuova epoca con nuove forme di rischi, ci ha proiettati in un mondo in cui nuove grandi polarizzazioni hanno sostituito le classi sociali. Quel che si forma è uno spazio di azioni e di opzione che possiede una doppia faccia: da un lato si schiudono nuovi spazi di libertà per quanto riguarda la creazione e la gestione di un proprio lavoro, mentre dall’altro si affacciano nuove insidie di emarginazione i cui rischi vengono scaricati dal sistema sugli individui. Entrambe le prospettive hanno in comune che in una maniera o nell’altra si tratta di mondi del lavoro che combinano opportunità e rischi.

Le riforme del lavoro dal 1997 al 2003

I governi italiani dagli anni Novanta fino ai giorni nostri hanno attuato diverse riforme del lavoro, con lo scopo di: fornire occupazione e nuove opportunità, da un lato, mentre dall’altro: cercare di tutelare i diritti dei cittadini.

  • La prima legge è la n.196 del 1997, più nota come Pacchetto Treu, aveva come scopo principale la promozione dell’occupazione, in un mercato contraddistinto, in quegli anni, dalla terza rivoluzione industriale e dalla crescente globalizzazione. Questa legge decreta la fine del monopolio pubblico della gestione dell’incontro fra domanda e offerta di lavoro, favorendo la creazione di agenzie private volte a questo tipo di gestione.

Una rinnovata attenzione verso il passaggio dalla scuola al lavoro (tirocini e apprendistato) introduce le agenzie interinali, volte all’assunzione di lavoratori da collocare presso datori di lavoro che ne richiedano l’impiego. In esito alla riforma, il mercato del lavoro ebbe un lento miglioramento fino al 2001.

  • La legge n. 276 del 2003, Riforma Biagi, il cui scopo era quello di promuovere la qualità del lavoro. Tra le soluzioni normative troviamo: la regolazione di nuove tipologie di contratto come ad esempio: il contratto a chiamata, lo staff leasing e il job sharing; Un riordino del contratto di apprendistato, l’introduzione del lavoro a progetto che, sarà la forma più utilizzata. Era allora compito della legge cercare di tutelare la persona nella flessibilità tenendo conto dei diritti conquistati durante il Novecento, ma adattando le tutele. Questa riforma fu molto criticata in quanto nel nuovo mercato del lavoro (globalizzato e mutevole) nessuna legge era in grado di difendere il lavoratore dalla flessibilità letta come precarietà ancora oggi.

Le riforme del lavoro dal 2012 al 2018

  • La legge n.92 del 2012, cosiddetta Riforma Fornero, il cui obiettivo fu quello di rendere nuovamente il lavoro a tempo indeterminato il rapporto prevalente, rendere più efficiente il sistema di ammortizzatori sociali e dedicare particolare attenzione alle donne. Non sembrerà, a conti fatti, riuscirci e sul piano delle garanzie e delle tutele si ha poi: l’introduzione dell’assicurazione sociale per l’impiego per i lavoratori dipendenti e l’istituzione di fondi di solidarietà bilaterali.

Il cambio di prospettiva che va dalla tutela delle persone nella flessibilità, alla difesa dei lavoratori dalla flessibilità significò un importante cambiamento culturale delle politiche del lavoro italiane. La disoccupazione giovanile salì al 42,7% (2014) e divenne argomento di discussione comune il problema della inattività dei giovani, fotografato dalla statistica sui NEET (Not in Education, Employment or Training).

  • Il Jobs Act, legge n.183 del 2014, gli obiettivi di questa riforma furono: incentivare le imprese ad assumere personale con il contratto a tempo indeterminato, favorire il reinserimento potenziando la rete dei Servizi per l’Impiego, maggiori tutele per le donne durante la maternità ed infine nuovi strumenti per sostenere chi perde il lavoro.
  • Infine, il Decreto Dignità n. 87 del 2018, lo scopo dell’intervento è sostanzialmente quello di arrestare la crescita dei contratti a tempo determinato. L’obiettivo perseguito è la qualità del contratto, ovvero l’indeterminatezza.

Un elemento di novità, è stato quello di avere individuato la necessità di riorganizzare gli ammortizzatori sociali, con un’attenzione alle trasformazioni ormai consolidate nel mercato e con misure dedicate a tutte le nuove figure nate con l’avvento della flessibilità.

Le conseguenze del lavoro flessibile: precarietà e incertezza

Le politiche di flessibilizzazione del mercato del lavoro, sono state introdotte con relativo ritardo rispetto al resto d’Europa, tuttavia la velocità con cui l’Italia si è allineata agli altri Stati ha fatto ampiamente recuperare il terreno perso.

Teorie e studi anche autorevoli sul mercato del lavoro, realizzati negli ultimi vent’anni dalla Banca Mondiale (World Development Report pubblicato nel 2013) e dal Fondo monetario internazionale (World Economic Outlook del 2015), dicono che aver introdotto flessibilità e ridotto la protezione del lavoro non ha avuto effetti significativi sulla crescita dell’occupazione a lungo termine. Una mancata crescita, soprattutto delle giovani generazioni, si è passati così a essere in media e a volte al di sotto delle altre nazioni per protezione del lavoro. Solo con grande ritardo si è riconosciuto quanto quelle nuove regole potessero avere effetti più drammatici sulla trasformazione non solo della sfera lavorativa, ma della vita delle persone.

Mercificazione della forza lavoro e futuro del lavoro flessibile

Secondo il sociologo Luciano Gallino, guardando i fenomeni su scala globale si può dire che, a partire da questa recente e radicale trasformazione delle relazioni lavorative, si è giunti a un nuovo processo di mercificazione della forza lavoro, ossia di una serie di condizioni in cui risulta centrale il lavoro, non il lavoratore e la sua prestazione, e in cui vanno perdendosi in modo progressivo tutte le garanzie, le tutele e le conquiste che i lavoratori nel corso del Novecento avevano ottenuto accanto alle tutele degli Stati attraverso il sistema di protezione sociale. Un’altra critica fa riferimento alla precarietà dell’esistenza in un contesto in cui le garanzie di reddito sono scarse e tutto ciò si traduce in insicurezza per i propri diritti e per la qualità della propria vita, in incertezza rispetto alla stabilità presente e futura.

Si chiede agli individui di essere imprenditori di sé stessi, di puntare sulle proprie potenzialità, di essere adattabili alle circostanze, di essere pronti ai cambiamenti, di correre qualche rischio e comportarsi con maggiore versatilità. E ciò apre alla necessità di interrogarsi sul tipo di lavori disponibili (non tutti hanno le stesse possibilità). Ciò che fa la differenza sono le condizioni con le quali i soggetti attraversano la flessibilità. Ma se il lavoro perde la sua capacità di essere il sostentamento economico, perde anche la sua capacità di essere fattore che plasma l’identità dei soggetti. Intervenire su questi aspetti sarebbe il compito principale per un riequilibrio del mercato del lavoro e del sistema italiano.

Rosaria Annarita Esposito

Riferimenti Bibliografici e Sitografici:

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