Cosa vuol dire essere competenti? Le competenze si rivelano essere un passpartout simbolico (Gherardi, 1998) che permette l’accesso e il contatto tra diversi contesti e significati. Come costrutto, le competenze emergono all’inizio degli anni ’70 del secolo scorso negli ambiti sociali del lavoro e dell’educazione; negli ambiti scientifici delle scienze del lavoro, dell’organizzazione e del management; delle scienze dell’educazione e dell’apprendimento e delle scienze linguistiche. A livello di significati, le competenze sono un tema controverso perché utilizzato, spesso, con sfumature ed accezioni diverse.
Già declinare questo concetto al singolare o al plurale ne cambia il significato. Quando si parla di competenza si fa riferimento ad un modo di pensare e di agire; al plurale, invece, si lega ad un insieme di nozioni, azioni, caratteristiche, da imparare e dimostrare. Per sintesi, si può affermare che con il termine competenza ci si riferisce alla sfera del sapere (pratico e non) nei processi di apprendimento sociale; con la parola competenze si fa riferimento ad un insieme di risorse per svolgere una performance (lavorativa e non), quindi bisogna accettare l’insolvibile polisemia del termine, cioè il non riuscire a dare una definizione univoca e assoluta a questo concetto (Fondazione Agnelli, 2018).
L’Attenzione va posta, però, su un errore comune che spesso si presenta a livello sociale: lo scambiare l’essere competenti con l’avere dei talenti naturali per qualcosa. Nello specifico, le caratteristiche individuali, in realtà, si costruiscono e si sviluppano a seconda delle esperienze di vita, sociali, formative e familiari che si hanno. Infatti, esse sono l’esito di processi che uniscono fattori relazionali, emotivi, cognitivi e valoriali.
Le competenze sono risorse per agire, che si esplicano in azioni e che si formano nelle azioni, si imparano con la pratica, si sviluppano nei diversi contesti e sono assorbiti nei processi di socializzazione familiare, scolastica e professionale (Dubar, 2004) e si riconoscono all’interno dello sviluppo delle identità individuali e sociali (Ajello, 2002; Pontecorvo, Ajello, & Zucchermaglio, 1995). A tal fine, si può affermare che le competenze non sono solo la cassetta degli attrezzi degli individui, ma sono molto di più. Esse sono:
Un insieme di informazioni e concetti cognitivi che vanno appresi (nel percorso scolastico e lavorativo) e di cui gli individui devono riuscire ad impadronirsene;
Sono processi cognitivi e procedurali che riescono a modificare i soggetti stessi diventando quasi una loro caratteristica;
Sono processi che si attivano sul piano culturale e che si esplicano in diversi contesti sociali e organizzativi; quindi, non possono essere analizzate separando gli individui dai contesti e dalle situazioni di apprendimento pratico (Lave & Wenger, 1990).
Il mondo del lavoro
Terreno fertile per il riconoscimento e l’inizio della popolarità delle competenze (e del dover essere competenti) è stato proprio il mondo del lavoro. Ciò è dovuto allo sviluppo in parallelo dell’esigenza dei paesi industrializzati e postindustriali di disporre di figure professionali traversali, ossia flessibili e multitasking, con buone capacità relazionali, di gestione di problemi e di gruppi e di assunzione di responsabilità (le c.d. soft skills e socio-emotional skills). Questa esigenza nasce come risposta a diverse questioni generali, quali:
Una maggiore necessità di conoscenze in tutte le tipologie di mansioni, dalle più semplici a quelle che richiedono le c.d. hard skills, in relazione al nuovo ed elevato contenuto tecnologico e di automazione in tutte le professioni;
Un aumento delle attività terziarie, con lavori che necessitano di saperi diffusi, multidisciplinari, adattabili a diversi contesti;
Un’accelerazione repentina e costante del cambiamento in quasi tutti i contesti lavorativi e professionali, anche per effetto della globalizzazione.
Per questo le competenze si possono definire il segnale di questioni più ampie, di cui sarebbe ingannevole pensare che esse possano essere la sola immediata soluzione (Consoli, 1998). L’avvento dell’approccio per competenze ha comportato il passaggio da politiche sociali passive, che caratterizzano il welfare state incentrato sull’assistenza e sulla garanzia dei redditi, a politiche attive focalizzate sull’empowerment del lavoratore, quindi sulla formazione e sullo sviluppo delle competenze (Paci, 2005).
Le competenze si hanno o si possono imparare?
Un quesito di fondamentale importanza è se si può diventare o meno competenti. La risposta prevede un compromesso tra il pensiero che vi siano caratteristiche innate dei soggetti e la possibilità che alcune conoscenze possano essere imparate. Le competenze, infatti, sono una risorsa del soggetto che le possiede, ma contemporaneamente sono anche qualità che si possono apprendere nella formazione e nel corso della vita dello stesso. Nello specifico, le competenze presentano un “ciclo di vita”: si generano, si sviluppano, possono impoverirsi e rinnovarsi durante tutto l’arco della vita degli individui e tra i diversi passaggi di contesto.
Le competenze hanno bisogno della pratica che, però, si può concepire anche all’interno della dimensione pedagogica e formativa. Questo è uno degli assunti della visione c.d. sociocostruttivista (Jonnaert, 2009) che etichetta le competenze non come comportamenti, bensì dà importanza all’azione sociale che indirizza la formazione e la presa di coscienza delle stesse come risorse per l’azione. In questa prospettiva, a tal riguardo, Ciborra e Lanzara (1994) parlano di formative context, ossia un insieme di compiti, pratiche, routine e modi di fare che fanno delle competenze un elemento del patrimonio culturale e sociale di una organizzazione.
Gherardi (1996) introduce il concetto di texture of practice che permette di guardare al sapere pratico come anello di congiunzione tra aspetti cognitivi, tecnici, procedurali e culturali. In questo modo, le competenze non sono mere caratteristiche personali, ma un insieme di azioni e relazioni che si legano a dimensioni organizzative e sociali.
Gli anni ’90
A partire dagli anni ’90 si sviluppa un approccio alle competenze in chiave più manageriale che si concentra sulla definizione di competenze come capitale individuale e come risorse analizzabili, codificabili e misurabili. Infatti, questo approccio si è sviluppato soprattutto in ambienti e letterature di natura più economica.
Parallelamente negli stessi anni, si è sviluppato anche un approccio c.d. più sociale e culturale che si approccia alle competenze come risorsa relazionale. Infatti, esso riguarda una visione più culturale e più interpretativa, che si concentra alla dimensione generativa e di sviluppo delle competenze a partire dalle pratiche (lavorative, organizzative e formative). Questo approccio ha richiamato l’attenzione soprattutto di sociologi, pedagoghi e psicologi.
Lo sviluppo delle competenze nei diversi campi umani
Il primo campo in cui la tematica delle competenze ha preso vita è stato quello della consulenza organizzativa e della gestione delle risorse umane. In questo ambito il tema delle competenze si è sviluppato fino a diventare un parametro, un’unità di misura, di valutazione e di certificazione nelle organizzazioni; un criterio per gestire i dipendenti, superando anche il sistema di qualifiche richieste e riconosciute come fondamentali per lo svolgimento di determinate mansioni.
A partire dagli anni ’90, le grandi imprese e le società di consulenza in prima linea, hanno prodotto molteplici programmi di intervento (dalla selezione, allo sviluppo e potenziamento delle competenze dei propri lavoratori), che si sono estesi, in seguito, a tutti i settori produttivi (da quello industriale a quello della pubblica amministrazione). Così facendo, le competenze sono diventate i parametri che permettono di misurare lo sviluppo e il posizionamento delle persone nelle organizzazioni.
Le conoscenze e le abilità pratiche sono la parte superficiale dell’iceberg, ciò che si vede [Fig.1].
Scienze del management
Il primo contributo in cui il termine “competenza” non viene usato in maniera generica, ma legato all’approccio per competenze nelle scienze del management e nella gestione delle risorse umane è Testing for Competence rather rhan for Intelligence di David McClelland (1973). In questo articolo l’autore suggeriva di adottare, per la selezione del personale, nuove modalità di valutazione delle competenze dei candidati al posto dei canonici test d’intelligenza o delle certificazioni scolastiche, poiché egli sosteneva che questi erano fallaci nel giudizio complessivo delle persone.
Per McClelland la competenza è legata strettamente alle performances: quest’ultimo termine è volutamente al plurale perché al fine di essere riconosciuta la performance deve essere seriale, ossia stabile nel tempo. La competenza si rivela, così, come job requirement. Inoltre, la competenza si dimostra essere plurifattoriale, nello specifico di tre fattori rispecchiati dal modello iceberg di Spencer e Spencer (1993). Quest’ultimo modello presenta in ordine decrescente di profondità i tre gruppi che caratterizzano la competenza professionale, che sono:
Le motivazioni, i tratti della personalità, l’immagine di sé (quello che ad oggi si definisce “ambito non cognitivo”);
Le conoscenze;
Le abilità pratiche.
Politiche del lavoro e della formazione professionale
Il secondo campo dove si sviluppa il concetto di competenze è quello delle politiche del lavoro e della formazione professionale. In quest’ultimo ramo, soprattutto in Italia, il tema delle competenze ha trovato terreno fertile. Basti pensare al modello tridimensionale delle competenze (trasversali, di base e tecnico-specialistiche) dell’ISFOL e ai lavori sulle competenze per l’occupabilità (Di Francesco, 2004).
Da questo punto di partenza, il viaggio delle competenze è proseguito influenzando il mondo dell’istruzione (in tutti i suoi livelli), soprattutto concentrandosi sulla funzione di ponte delle competenze tra il mondo dell’istruzione e quello del lavoro. Molte critiche sono state sollevate verso i test di intelligenza di cui si è dimostrato ampiamente la bassa influenza che hanno nel successo lavorativo e gli achievement tests poiché giudicati inadeguati a sondare le soft skills, ormai qualità essenziali da possedere per affacciarsi al mondo del lavoro e crescere nel mondo scolastico.
Nelle raccomandazioni si specifica che tra le competenze non vi è una gerarchia, ma sono tutte sullo stesso piano e vi è la possibilità di sovrapposizioni e correlazioni reciproche [Fig.2].
Le raccomandazioni UE si propongono come punti di riferimento per i paesi dell’Unione Europea per garantire che le competenze giudicate essenziali per lo sviluppo della cittadinanza e dell’apprendimento permanente, siano pienamente integrate nelle politiche nazionali in campo educativo. Questi riferimenti europei diventano delle cornici utili a orientare le politiche educative nazionali. Le competenze-chiave riconosciute nel quadro di riferimento europeo sono otto:
Comunicare nella madrelingua;
Comunicare nelle lingue straniere;
Avere competenze in matematica e competenze base in scienza e tecnologia;
Ciborra, C., & Lanzara, G. (1994, 4 2). Formative Contexts and Information Technology: Understanding the Dynamics of Innovation in Organizations. Accounting, Management and Information Technologies, p. 61-86.
Consoli, F. (1998). Le ragioni forti della metodologia delle competenze. Scuola Democratica, 88-106.
Da Re, F. (2013). La didattica per competenze. Apprendere competenze, descriverle, valutarle. Milano: Pearson.
Di Francesco, G. (2004). Ricostruire l’esperienza: competenze, bilancio, formazione. Milano: Franco Angeli.
Dubar, C. (2004). La socializzazione: come si costruisce l’identità sociale. Bologna: Il Mulino.
Fondazione Agnelli. (2018). Le competenze. Una mappa per orientarsi. (L. Benadusi, & S. Molina, A cura di) Bologna: Il Mulino.
Ghelardi, S. (2006). Organizational Knowledge: The Texture of Workplace Learning. Oxford-Malden: Carlton/Blackwell.
Gherardi, S. (1998). Competence. The Symbolic Passe-partout to Change in Learning Organisation. Scandinavian Journal of Management(4), 373-396.
Jonnaert, P. (2009). Compétences et socioconstructivisme: un cadre théorique. Roma: Armando.
Lave, J., & Wenger, E. (1990). Situated Learning: Legitimate Periperal Participation. Cambridge: Cambridge University Press.
McClelland, D. (1973). Testing for Competence rather than for Intelligence. American Psychologist(28), 1-14.
Paci, M. (2005). Nuovi lavori, nuovo welfare. Bologna: Il Mulino.
Pontecorvo, C., Ajello, A., & Zucchermaglio, C. (1995). I contesti sociali dell’apprendimento. Acquisire conoscenze a scuola, nel lavoro, nella vita quotidiana. Milano: Ambrosiana.
Spencer, L., & Spencer, S. (1999). Competenze nel lavoro. Milano: Franco Angeli.