Il sociologo James M. Henslin sostiene che la società ci rende esseri umani e che questo processo si ottiene attraverso l’interazione sociale o vivendo in una società con un livello minimo di armonia, equilibrio e civiltà. È anche vero che vivere in società non è esente da conflitti, incomprensioni e difficoltà, e nessuna delle loro origini è dovuta all’emergere di piattaforme social perché sono state istituite solo dalla metà degli anni 2000 in poi.
Tuttavia, mentre questa tecnologia digitale ha registrato una impressionante tasso di crescita esponenziale nel numero di utenti attivi mensili e nel guadagno finanziario, ci sono anche evidenze che rivelano che i social sono diventati un terreno fertile per la diffusione di una varietà incredibile di comportamenti discutibili, soprattutto relazione ai discorsi d’odio sui social on line.
Crescita dell’odio sui social ovunque
In concomitanza con questa crescita, è stata osservata anche un’ondata di intolleranza, razzismo, discorso d’odio, xenofobia, cyber bullismo, islamofobia e incitamento al suicidio dei giovani, dove i social non solo hanno contribuito alla loro comparsa, ma li hanno anche amplificati ed esacerbati loro in proporzioni allarmanti. Questo quadro generale è stato individuato non solo in Italia, ma anche in diversi altri paesi, come ad esempio in Brasile, Myanmar, Regno Unito, Spagna e Stati Uniti.
In questo scenario appena descritto, un aspetto importante di cui dobbiamo parlare e su cui riflettere comprende l’impatto e conseguenze sociali della crescente diffusione del discorso d’odio sui social.
Per cominciare, è importante spiegare che diversamente da quanto credono molte persone, gli ambienti online e offline non sono separati l’uno dall’altro, non sono due realtà distinte. Sono intrinsecamente connessi e, di conseguenza, gli atteggiamenti e comportamenti svolti nell’ambiente online hanno un impatto sulla vita reale delle persone.
Per illustrare e rafforzare questa argomentazione, possiamo evidenziare, ad esempio, tre categorie di impatti sociali: a) salute mentale degli utenti, in particolare i giovani, b) incitamento al suicidio e bassa autostima, c) incitamento a crimini d’odio.
La salute mentale degli utenti
In primo luogo, secondo migliaia di documenti interni di Meta, trapelati dall’informatrice Frances Haugen, l’azienda era consapevole dei danni e degli impatti causati dai contenuti inquietanti che circolavano attraverso le sue piattaforme per quanto riguarda la salute mentale dei giovani adolescenti. L’azienda, ovviamente, nega le affermazioni dall’informatrice secondo cui Meta dia la priorità al profitto e non alla sicurezza dei suoi utenti, e afferma anche di investire 5 miliardi di dollari all’anno per mantenere sicure le sue piattaforme.
Tuttavia, qualche anno fa, un ex presidente dell’azienda, Sean Parker, aveva già espresso pubblicamente le sue preoccupazioni sulle pratiche del gruppo in questione, affermando che la piattaforma era stata progettata in modo tale da creare dipendenza per gli utenti, a quale sarebbe dannosa per la salute mentale (soprattutto i giovani) ed esplorare le debolezze della psiche umana. Solo per motivi di contesto, Sean Parker è stato la mente creativa dietro il vecchio sito di condivisione di musica Napster e, nelle parole proprio dello amministratore delegato di Meta, Mark Zuckerberg, Sean Parker ha svolto un ruolo cruciale nel trasformare Facebook da un progetto scolastico in una vera azienda finanziariamente redditizia.
Inoltre, un altro ex dirigente dell’azienda, Chamath Palihapitiya (ex responsabile dell’area di crescita della base di utenti), ha affermato che le piattaforme social come Facebook svolgono un ruolo decisivo nella divisione del tessuto sociale. L’ex dirigente prosegue affermando che Facebook incoraggia la “popolarità falsa e fragile”, lasciando gli utenti vuoti e bisognosi di altri post successivi, e ha suggerito che questo “circolo vizioso” spinge le persone a continuare a condividere post che pensano riceveranno l’approvazione di altri utenti. L’ex dirigente completa la sua spiegazione affermando che non consente ai suoi figli di utilizzare la piattaforma per paura degli impatti negativi che può avere sulla loro salute mentale.
L’odio sui social
Quindi, si può osservare che sia le dichiarazioni dall’informatrice del sia quelle degli ex dirigenti dell’azienda Meta sono piuttosto rilevanti perché mostrano i valori e il modus operandi della organizzazione dal punto di vista di coloro che erano all’interno della struttura svolgendo ruoli importanti e, di conseguenza, le loro parole hanno un peso notevole.
In aggiunta, è importante chiarire che sebbene questi casi si riferiscano specificamente a Facebook, il lettore non può perdere di vista due fattori molto importanti: 1) la azienda Meta possiede non solo Facebook, ma anche Instagram e WhatsApp (entrambi molto apprezzati dagli utenti italiani) , il che suggerisce che le pratiche segnalate possono facilmente permeare altre piattaforme e 2) molto probabilmente, altre piattaforme sul mercato (ad es. Telegram, TikTok, Twitter, YouTube, ecc.), potrebbero adottare pratiche molto simili perché tutti operano nello stesso modo; ovvero favorendo il coinvolgimento degli utenti connessi in reti che crescono in modo esponenziale.
Infatti, il livello di coinvolgimento degli utenti rappresenta il cuore del modello di generazione di reddito di tutte le piattaforme social. Da un lato, è noto che spesso gli utenti trascorrono molto tempo collegati ai social (una media di 1h47min al giorno in Italia). D’altra parte, i discorsi d’odio tendono a generare alti livelli di coinvolgimento e per un periodo prolungato fino a tre anni dopo la pubblicazione del post, come ho rivelato in libro che ho pubblicato nel 2020 in Stati Uniti. Di conseguenza, molti annunci pubblicitari associati a tali contenuti dispregiativi sono esposti agli utenti e le piattaforme ne traggono profitto.
L’incitamento al suicidio e basso livello di autostima
Andando avanti in questa riflessione che riguarda l’impatto sulla salute mentale degli utenti, è anche possibile notare i numerosi casi di suicidio di giovani influenzati da contenuti inquietanti diffusi sui social. In Italia, ad esempio, la maggior parte degli utenti dei social è nella fascia di età dai 18 ai 35 anni (18,4% femmine e 20,7% maschi), e di conseguenza sono quelli più esposti a questo tipo di contenuti.
Per più, non possiamo dimenticare gli utenti italiani più giovani dai 13 ai 17 anni (1,4% ragazze e 1,6% ragazzi). A prima vista potrebbe sembrare una cifra piccola ma in Italia sono complessivamente 43,2 milioni gli utenti attivi dei social (pari al 71,6% della popolazione del Paese) e quindi si parla di 604.800 ragazze e 691.200 ragazzi che possono, potenzialmente, essere esposti anche a questo tipo di contenuto inappropriato.
In questo senso, ci sono autori come Kelly Vedana che spiegano che sui social “i contenuti pro-suicidio possono essere prodotti in forma anonima e sono facilmente accessibili alle persone vulnerabili. Tra questi contenuti ci sono patti suicidi, giochi suicidi, manuali sui metodi relativi al suicidio, nonché contenuti che valorizzano, romanticizzano e incoraggiano il suicidio o rendono difficile la comprensione di questo fenomeno”.
Ricerche e notizie di cronaca
Una importante e innovativa ricerca longitudinale di dieci anni di durata, condotto da un team di ricercatori guidati da dottoressa Sarah Coyne, con 500 adolescenti negli USA, ha rivelato dati molto preoccupanti. Monitorando l’uso delle piattaforme social da parte di questo gruppo di adolescenti tra il 2009 e il 2019, i ricercatori hanno identificato alti rischi di suicidio, soprattutto tra le ragazze. È stato osservato che le ragazze sono più suscettibili per determinate pressioni sociali rispetto ai ragazzi agli effetti negativi dei social (ad es. preoccupazione per il loro aspetto fisico, il peso, il corpo attraente, i cappelli, ecc.).
Inoltre, secondo i dati rivelati in un rapporto pubblicato alcuni anni fa dalla Children’s Society e Young Minds, il 38% dei giovani inglesi hanno affermato che i social hanno un impatto negativo su come si sentono. In aggiunta, il 46% delle ragazze hanno riferito che i social hanno un impatto negativo sulla propria autostima.
In questo scenario complessivo, non a caso, uno dei casi più emblematici di suicidio giovanile influenzato dai social ha coinvolto una ragazza inglese di 14 anni, che si è suicidata nel novembre 2017 dopo essere stata esposta a un’immensa quantità di contenuti inquietanti sul suo account Instagram (oltre 2.100 post come testi, immagini e video), che incoraggiavano il suicidio come alternativa alla depressione, all’ansia, ecc.
La società Meta ha sempre negato ogni responsabilità per questa tragica morte, tuttavia, cinque anni dopo ha rilasciato una dichiarazione ufficiale chiedendo scusa alla famiglia dell’adolescente. Il documento afferma che la sua indagine interna aveva rivelato che la piattaforma aveva esposto contenuti inappropriati alla giovane ragazza, che violavano le sue politiche d’uso della piattaforma.
Più recentemente, nel giugno 2021, un giovane ragazzo italiano che aveva appena compiuto 18 anni si è suicidato gettandosi sotto un treno in una stazione della periferia di Torino. Il ragazzo, che era gay, non ha lasciato nessun messaggio o nota. Tuttavia, secondo le indagini della polizia, è stata trovata una moltitudine di post dispregiativi sul suo account Instagram, compresi alcuni che incitavano alla “morte ai gay”. Pertanto, gli investigatori ritengono che il suicidio sia stato motivato da cyber bullismo e manifestazioni di omofobia sui social.
I crimini d’odio sui social… e anche fuori
Riguardo la correlazione tra discorso d’odio sui social e incitamento a crimini d’odio nell’ambiente offline, ci sono diversi studi che rivelano che la diffusione di discorso d’odio e intolleranza sui social hanno una forte influenza sul coinvolgimento delle persone in le aggressioni fisiche violente.
Nel Regno Unito, ad esempio, è stato osservato che in occasione del referendum sulla permanenza o meno del Paese nell’Unione Europea (quella che è diventata nota come Brexit), si sono osservati diversi attacchi contro immigrati provenienti dai paesi dell’Est europeo. La caratteristica comune tra questi attacchi è che la maggior parte di loro sono state precedute dalla diffusione di discorso d’odio e disinformazione sui social (le cosiddette fake news).
In un altro studio condotto anch’esso nel Regno Unito, gli autori hanno utilizzato risorse computazionali per incrociare i dati provenienti da rapporti di polizia, dati di censimento e una grande quantità di post su Twitter per valutare la potenziale correlazione tra discorsi d’odio sui social (motivato da intolleranza religiosa e razziale) e crimini violenti a Londra per un periodo di otto mesi. La conclusione è stata una forte e stretta correlazione tra i discorsi d’odio sui social diffusi su Twitter e i diversi casi di crimini violenti nella città di Londra.
Bolsonaro e Trump
In aggiunta, in Brasile nel 2019 una donna residente nella città di Guarujá (sulla costa di San Paolo) è stata uccisa dopo che una pagina Facebook con più di 50.000 follower sosteneva la falsa affermazione che lei stesse rapendo bambini per praticare rituali di “magia nera”. Nonostante non ci fosse una sola evidenza che suggerisse che la donna fosse coinvolta in alcun tipo di rapimento o rituale, lei è stata uccisa.
Per di più, sia il Brasile che negli Stati Uniti hanno recentemente vissute un fenomeno molto simile di violenza esacerbata, e anche con vittime fatale, scatenato da numerosi discorsi d’odio estremiste promossi dai rispettivi ex capi di stato (Jair Bolsonaro e Donald Trump), che hanno entrambi messo in dubbio (anche senza nessuna evidenza) i processi elettorali nei loro paesi, e minato le istituzioni democratiche come la corte di cassazione e il congresso. Nel corso di loro mandato, hanno diffuso le loro opinioni negazioniste su la pandemia, diritti umani (soprattutto dei migranti e popoli nativi), cambiamenti climatici e molti altri argomenti, sia online che offline e il risultato è stato il tentativo fallito di una folla di sostenitori che cercavano di prendere il potere con l’uso della forza.
L’odio sui social non rimane confinato lì
Pertanto, in sintesi, è possibile osservare che, più che rispetto, fiducia, solidarietà ed interazione sociale piacevole, la combinazione degli aspetti sollevati in questo articolo contribuisce a rivelare le sfaccettature preoccupanti delle piattaforme social. Naturalmente, questi aspetti da soli non definiscono i social e non sarebbe neanche giusto ridurli solo a focolaio d’odio.
Tuttavia, questi aspetti sollevano serie preoccupazioni suggerendo che lo sconvolgimento sociale, la divisione e la polarizzazione estremista creati in questo ambiente non dovrebbero essere semplicemente accettati come la nuova normalità nelle nostre società. In primo luogo, ci sono stati tanti giovani gravemente colpiti dai contenuti che vengono diffusi e condivisi liberamente su queste piattaforme. In secondo luogo, l’odio diffuso online va ben oltre quell’ambiente e raggiunge la vita reale delle persone. Infine, l’enorme quantità e varietà di manifestazione d’intolleranze ampiamente diffuso e condiviso online sta trasformando i social media in un ambiente molto tossico.
Di conseguenza, è importante non solo mettere in discussione, ma anche sfidare e decostruire questa “nuova società” modellata da comportamenti aggressivi sui social, prima che il suo dominio raggiunga un punto irreversibile in cui questo scenario diventi completamente normalizzato e accettabile.
Luiz Valério P. Trindade vive a Roma e ha conseguito un dottorato di ricerca in sociologia presso l’Università di Southampton (Regno Unito). I suoi ultimi libri includono Discurso de Ódio Nas Redes Sociais (Jandaíra, 2022) e No Laughing Matter: Race Joking and Resistance in Brazilian Social Media (Vernon Press, 2020).