Se fino ad oggi la sociologia è stata considerata soltanto come disciplina dedita alla ricerca sociale, chiusa negli ambienti accademici e consacrata all’analisi delle variabili macro, è arrivato il tempo di farla diventare sociologia di prossimità, sociologia sul campo, operativa, concreta e soprattutto disposta a riprendersi il posto che merita, anche nell’ambito microsociologico. La sociologia è in grado di offrire strumenti diversi da quelli medici e psicologici, che possano essere di aiuto per il singolo nella risoluzione di alcune problematiche non patologizzate e per evitare che, appunto, si patologizzino. Se le fonti del problema non sono solo nell’individuo, significa che bisogna allargare la prospettiva, estendere l’orizzonte, comprendere tutte quelle variabili che l’approccio sociologico da sempre considera: risposte globali a problemi globali.

L’io è illusiorio

Come Bateson stesso diceva, noi possiamo arrivare a riconoscere che l’Io, o la coscienza, è soltanto una parte di un più vasto sistema interconnesso, ma nella nostra vita quotidiana è difficile non credere che quando taglio un albero o decido di ascoltare Mozart, non sia io a farlo. In realtà non esiste una differenziazione tra il sé e l’ambiente; anche se tracciassimo una linea immaginaria di separazione tra noi e ciò che fuori, non riusciremmo mai a demarcare un confine netto perché individuo e ambiente si contaminano ininterrottamente a vicenda. Bateson, di fatto, considera l’Io come illusorio, una nozione errata, poiché non c’è autonomia del soggetto, non c’è mondo separato, ma solo continua interazione.

Counseling sociolistico

È in questa cornice teorica che si inserisce un nuovo tipo di counseling, nato in seno all’Associazione di Scienze Sociali e Umane KAIROS in piena pandemia. Il counseling sociolistico è un intervento di sociologia clinica[1] che rientra in quelle attività appartenenti alla microsociologia ovvero quella branca della sociologia che si occupa delle interazioni sociali su scala ridotta (gruppo, famiglia, coppia, individuo in relazione col suo ambiente). Esso ha solide fondamenta sociologiche che attingono dalla Scuola di sociologia di Chicago e dalla Scuola di Palo Alto:

  • interazionismo simbolico (H.G. Mead)
  • costruttivismo
  • teorie della mente di Bateson
formazione risorse umane lavoro

I suoi principi fondamentali sono:

  1. la contestualizzazione, per situare il soggetto nella realtà dallo stesso percepita
  2. la multiprospettiva, per rendere consapevole il soggetto dell’esistenza di altre realtà soggettive
  3. la percezione delle differenze, per ricontestualizzare il soggetto attraverso un processo adattivo nella realtà soggettiva più confacente.

Fonti del benessere

Le fonti del benessere raggiungibili attraverso una seduta con un counselor sociolistico sono pertanto:

  • ORIENTAMENTO ALLA RESILIENZA, allo scopo di individuare con il cliente le strategie idonee ad affrontare in maniera costruttiva i cambiamenti quotidiani, da quelli meno sconvolgenti a quelli più impattanti.
  • CONSAPEVOLEZZA DELLA PROPRIA IDENTITA’, allo scopo di riunire il sé autentico al sé narrante ovvero ricongiungere la propria identità alle proprie esperienze sociali.
  • Riscoperta della SOCIALITA’ AUTENTICA, per invitare il cliente ad intraprendere un percorso di vita più ricco dal punto di vista valoriale, prendendo contezza dell’effimero, della spettacolarizzazione delle esistenze, attivando un recupero dei legami autentici, vitali per mantenere un buono stato di salute così come l’OMS afferma.
La sociologia della salute: nuovi scenari di studio

Metodologia e strumenti professionali per il counseling sociolistico

Considerato l’impianto metodologico su cui si poggia il counseling sociolistico, la metodologia utilizzata non può che essere di tipo qualitativo. Dunque, che si tratti di gruppi, famiglie, coppie o singoli individui, i nostri clienti saranno oggetto di: osservazione partecipante, interviste narrative, questionari propri del metodo sociolistico. La narrazione, in particolare, ha in sé già qualcosa di “terapeutico”. Narrare vuol dire mettere ordine negli eventi costruendo testi in particolari contesti. Una storia permette a una persona di collegare nel tempo gli eventi vissuti attraverso il suo modo abituale di considerare le cose o i costrutti personali, in ognuna possiamo riconoscere aspetti personali, sociali e culturali. In una prospettiva socioclinica è una risorsa strategica per entrare in relazione e avvicinarsi agli attori sociali, per conoscere i bisogni e le risorse di una comunità e dei singoli individui al suo interno.

Il counselor

Accanto all’approccio autobiografico e allo strumento narrativo in generale, il counselor sociolistico si serve di un questionario per l’autovalutazione delle skills life, utile a contestualizzare la posizione del cliente/utente, aiutandolo a “vedersi” nella mappa di significati dallo stesso costruita attraverso la percezione delle differenze, per poi avanzare in un processo di ri-contestualizzazione attraverso la co-costruzione di una nuova mappa concettuale. Il Counseling sociolistico è un metodo unificato che prende in considerazione mente, corpo e spiritualità della persona basandosi su solide fondamenta sociologiche; per questo si può definire un counseling sociologico, ma non propriamente sociologico in quanto include la variabile olistica. Come la psicologia transpersonale tenta il salto quantico oltre l’invisibile, il counseling sociolistico vuole contaminarsi con le discipline olistiche riconosciute dalla medicina ufficiale (la meditazione e i meridiani energetici) per diversificare le sue strategie terapeutiche in virtù della sua visione olisitca .

Perché la consulenza di un consuelor sociolistico?

Parlando di salute, partiamo già dall’assunto che CURA e MALATTIA sono fatti sociali, costrutti sociali e non sono affatto indipendenti dal luogo in cui si collocano e dal tempo in cui nascono e si sviluppano. La sociologia della salute sostiene che la sanità, così come la malattia, è un fatto sociale nel senso più ampio del termine ovvero politico, economico e culturale. Lo stato di infermità, come quello di salute, è determinato storicamente e culturalmente e non può ridursi assolutamente a mero fatto biologico. Studi antropologici hanno appurato come per alcune società  un sintomo è considerato malattia, mentre per altre non lo è, ma viene ritenuto addirittura normale.

Ciò che spinge una persona a chiedere aiuto è la percezione di uno stato di difficoltà, di crisi, in cui non si capisce come proseguire. Sappiamo dell’esistenza di crisi evolutive legate allo sviluppo dell’essere umano nelle varie fasi della vita (passaggio dall’infanzia all’adolescenza, passaggio dall’adolescenza all’età adulta, passaggio dall’età adulta alla vecchiaia); ed esistono disagi e difficoltà legate a traumi, incidenti, perdite in cui la richiesta d’aiuto è ancora più forte in una società caratterizzata da un forte individualismo. Per quanto, infatti, siamo perennemente  e virtualmente connessi con migliaia di persone sparse nel mondo, siamo profondamente soli.

Frammentazione relazionale

Lo spazio accogliente della comunità ha lasciato il posto allo spazio dispersivo di una società globale in cui non riusciamo a collocarci. Nelle comunità i problemi del singolo erano percepiti come problemi di tutti in cui ogni componente dava un contributo alla risoluzione del conflitto. Nelle società globalizzate, la frammentazione e l’isolamento relazionale hanno polverizzato i rapporti di conforto e quelle regole sociali in grado di far sentire l’individuo parte di una comunità coesa. Il must nella spettacolarizzazione della vita in cui l’apparenza è tutto, è di farsi trascinatori delle vite degli altri, una sorta di influencer, profili social che divengono vetrine da addobbare per accaparrarsi più clienti/follower possibili.

Chi vive un problema lo vive in solitudine, ghettizzato da una società che aspira alla perfezione dell’immagine a discapito della sostanza dei valori. I problemi, allora, si ingigantiscono: angoscia, isolamento e frustrazione si cronicizzano e la richiesta di aiuto diventa un grido sordo. Un counselor diventa colui che apre un varco spazio-temporale in cui trovare rifugio, riposo e soprattutto TEMPO, la risorsa più saccheggiata dalle società postmoderne, il tempo per riflettere sulla propria esistenza, sullo scollamento tra i propri desideri e la vita che si conduce:  tempo per ritrovare quella che mi piace definire l’identità conforme, quella identità che più ci somiglia.

Benessere socio-emotivo

Il counselor non dirà mai al cliente qual è la sua identità conforme, non gli dirà mai quale strada prendere al bivio buio davanti al quale si trova, ma gli indicherà una segnaletica, farà luce sul suo cammino in modo che, in autonomia e in piena consapevolezza, il cliente possa scegliere cosa è meglio per se stesso. Il counseling sociolistico sceglie il benessere socio-emotivo e relazionale come strada maestra verso una migliore conoscenza di noi stessi e una rinnovata consapevolezza dell’ambiente che ci circonda Questo è un percorso ancora in divenire, ma sicuramente ricco di spunti importanti che vanno ad arricchire ulteriormente la figura del sociologo in ambito sanitario.

Sonia Angelisi

Per approfondire


Bibliografia

  • Angelisi S., Emozio-nati. Viaggio verso l’isola che (non) c’è. Youcanprint, settembre 2019.
  • Bateson G., Verso un’ecologia della mente, Adelphi, 2000.
  • Corsale M.,  “Sociologia clinica e terapia sociale” (a cura di), Franco Angeli, 2010.

[1] La sociologia clinica è un indirizzo della sociologia, nato negli Stati Uniti negli anni ’20[1], che studia i possibili miglioramenti dei comportamenti assunti dai singoli individui all’interno delle loro condizioni sociali, soprattutto se comportamenti problematici, per il miglioramento dei singoli soggetti all’interno della loro comunità. (fonte wikipedia)

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