La pandemia ha creato un profondo disagio nelle persone soprattutto perché ha colpito in particolar modo le relazioni sociali, le quali sono vitali per noi esseri umani, non solo perché siamo animali sociali e da esse dipende perfino l’equilibrio emotivo di una società.

Le nostre interazioni e le nostre relazioni, infatti, sono importantissime anche per il nostro benessere interiore e per il nostro stesso sviluppo cerebrale, fin da piccolissimi, come dimostrano la neurosociologia e la psicologia positiva.

L’influenza delle interazioni sociali sullo sviluppo evolutivo

Fino agli anni Settanta del XX secolo, lo studio del cervello e delle sue strutture anatomiche erano condotte pensando all’uomo più come individuo isolato che come inserito nella comunità. Gradualmente poi, la discussione iniziò ad ampliarsi verso la socialità, prendendo in considerazione le relazioni intercorse con la famiglia d’origine dell’individuo. Tuttavia, si era ancora lontani dal considerare le esperienze sociali più ampie ed articolate.

Ciò che distingue la specie umana dalle altre è che, mentre la maggior parte dei mammiferi limita le interazioni e le forme di esperienze sociali al gruppo familiare, molte specie di primati vanno oltre e l’uomo è l’unico capace di costruire gruppi eterogenetici sempre più ampi, fino a creare città e nazioni. Oggi, grazie a sofisticati strumenti di indagine come la Risonanza Magnetica funzionale (fMR), la tomografia ad emissione di positroni (PET) e la stimolazione magnetica transcranica (TMS), unite agli studi sul comportamento, sappiamo che le relazioni sociali giocano un ruolo fondamentale  per la sopravvivenza e il benessere degli animali che vivono in gruppo.

progenitori homo scimmia

Infatti, a seconda della qualità delle interazioni sociali, i neuroni si modificano biologicamente e le strutture cerebrali si trasformano fisicamente, quindi le relazioni sociali hanno importanti effetti anche sulla qualità della vita, presupposto importante per l’adattamento, l’evoluzione e la continuazione della specie. Sono le relazioni sociali ad aver permesso alla nostra specie di compiere il grande balzo in avanti nella scala evolutiva, infatti, già i nostri antenati, quando erano impegnati a procacciarsi il cibo, avevano la tendenza poi, a condividerlo e consumarlo in gruppo, insieme agli altri.

E’ grazie alla quantità e alla qualità di interazioni sociali che i nostri progenitori hanno saputo costruire gruppi sociali sempre più numerosi ed efficienti, in grado di garantirsi protezione reciproca, maggiore capacità di comprendere l’ambiente, massimizzare la resa delle sue risorse e procurarsi i mezzi necessari per difendersi e creare attrezzi, utensili ed armi. Da un punto di vista filogenetico, il sistema dei neuroni specchio potrebbe essersi sviluppato in primo luogo perché l’uomo, imparando a cuocere i cibi, ha potuto dedicare maggior tempo a cose più interessanti, come appunto le relazioni sociali, osservando altri suoi simili. Di conseguenza, i continui esercizi di osservazione e simulazione incarnata gli hanno permesso di potenziare continuamente il proprio sistema mirror[1].

Interazione Sociale e Relazione Sociale

Quando parliamo di interazione sociale e di relazione sociale non indichiamo la stessa cosa. Per interazione sociale si intende l’influenza reciproca, come azione e reazione in sequenza, tra due o più soggetti agenti. Grazie al sistema mirror, ognuno comprende automaticamente ed inconsapevolmente le intenzioni e le emozioni dell’altro. I cervelli sono interconnessi in quanto l’esperienza interna è condivisa l’uno nell’altro e viceversa.

Secondo L. Cozolino, l’interazione sociale tra due persone è paragonabile all’interazione tra due neuroni che formano una sinapsi. Lo spazio fisico che separa due soggetti agenti, che egli chiama sinapsi sociale, è simile alla sinapsi neuronale ma in essa, al posto dei neurotrasmettitori, troviamo i comportamenti che portano l’informazione sociale, come un sorriso, un gesto, un movimento, eccetera. Questi comportamenti producono modificazioni biologiche nelle persone che interagiscono e da ciò deriva il modellamento delle strutture cerebrali che avviene per mezzo dell’influenza reciproca.

Le sinapsi sociali collegano l’individuo ad organismi più ampi, a partire dalla famiglia per arrivare ai piccoli gruppi, alla società e alla specie umana come un tutto unico. I sistemi biologici degli individui, dunque, sono strettamente connessi, ne consegue che noi ci evolviamo come creature sociali, un neurone senza sinapsi muore, allo stesso modo non può esserci individuo senza relazioni sociali, le quali costituiscono un habitat naturale.

“I neuroni che si accendono contemporaneamente si legano insieme. Le persone che sono capaci di occuparsi l’una dell’altra, di intenerirsi, di parlare e di collegarsi si accendono anche insieme e sopravvivono insieme” (Cozolino, 2008).[2] Le relazioni sociali derivano da una serie di interazioni sociali connotate da un legame che può essere affettivo, educativo, lavorativo, eccetera. Sostanzialmente, si caratterizzano per un “vissuto” di interazioni sociali, anche se non sempre esso diviene una relazione sociale.

Non abbiamo una relazione sociale a meno che non vi sia anche un rapporto decisamente confidenziale, inoltre, non è detto che interazioni sociali occasionali o causali precludano l’ esistenza di una relazione sociale, ad esempio è possibile incontrare una persona ad intervalli di tempo molto lunghi ma avere con essa una relazione sociale perché si tratta di un parente o un amico al quale siamo molto legati.[3] All’interno delle relazioni sociali, quindi, c’è un orientamento reciproco delle azioni degli attori e ciò determina la profondità o la superficialità di esse.

L’ habitat relazionale modella la qualità della vita individuale e collettiva

Il tema della qualità della vita, fin dagli anni Sessanta e Settanta, ha acquistato sempre più interesse culturale e di ricerca, oggi salute, benessere e partecipazione sono diventati dei veri e propri valori. Quando parliamo di salute mentale non consideriamo più tale definizione come sinonimo di assenza di sintomi depressivi o ansiosi, o di sintomi diagnosticati, ma ci riferiamo ad uno stato di benessere che permette all’individuo di superare le tensioni inerenti alla vita, trovare soddisfazione nel lavoro e contribuire alla vita sociale della comunità nella quale è inserito.

Il benessere quotidiano della persona è collegato anche al suo habitat relazionale, le relazioni sociali, infatti, sono fondamentali per la sopravvivenza dell’individuo, non solo per il suo inserimento all’interno dell’ ambiente di vita ma anche per il suo benessere psico-emotivo interiore, per questo è importante averne cura. Interazioni sociali positive, dove si riceve sostegno ed ascolto, favorendo il buon umore, aiutano anche a rafforzare il sistema immunitario abbassando il livello di stress, responsabile della produzione di ormoni pro-infiammatori. Accanto al benessere oggettivo e materiale, nella nostra società è cresciuto notevolmente il bisogno di benessere soggettivo e psicologico, di conseguenza l’attenzione si sta spostando dai problemi da risolvere nella vita a ciò che la rende meritevole di essere vissuta.

La psicologia positiva , sviluppatasi a fine anni Novanta, studia i meccanismi che aiutano a stare bene e a combattere gli effetti dello stress, stimolando le naturali difese psichiche, come ad esempio la creatività, l’empatia, il perdono, e che sono indirizzate al buon funzionamento sociale dell’individuo. La considerazione non si concentra solo sull’aspetto prevalentemente personale, sul piacere legato alle emozioni e alle sensazioni positive ma anche su ciò che è utile all’individuo e ne arricchisce la personalità, la cui felicità è raggiungibile attraverso l’impiego delle proprie capacità.

In questo senso il focus sono i fattori che favoriscono lo sviluppo delle potenzialità umane e che portano l’individuo a integrarsi con l’ambiente che lo circonda. Va considerato, dunque, un processo più ampio di interazione e influenza reciproca tra benessere individuale e collettivo, il cui risultato porta a un concetto di felicità individuale che si realizza all’interno del contesto sociale[4].

Dinamiche di gruppo: tra conformità e influenza sociale
Dinamiche di gruppo: tra conformità e influenza sociale

Di conseguenza, occorre considerare anche le istituzioni positive (come democrazia, famiglia, libertà di informazione), le quali supportano i tratti positivi che a loro volta supportano le emozioni positive, questi aspetti concreti svolgono il loro ruolo tanto nei momenti di benessere che in quelli di crisi[5]. La società occidentale e la sua relativa cultura sono caratterizzate da una concezione individualistica del successo, infatti, nonostante le agenzie di socializzazione come la famiglia, la scuola, lo sport, eccetera abbiano in comune un indirizzo educativo fondato su cooperazione e condivisione, la quotidianità con cui si confrontano bambini ed adulti offre spesso modelli opposti.

In tutti i contesti di socializzazione, in cui ogni individuo nella fase di maturazione cerebrale dovrebbe mettere in campo comportamenti adeguati che completano il modellamento e il rinforzo delle strutture del cervello sociale, le realtà risulta di frequente in contrasto con le istruzioni ricevute, in quanto vengono offerti modelli di comportamento dissonanti rispetto agli insegnamenti dispensati. L’apprendimento, che in questo caso è socializzazione nonché educazione, è frutto delle relazioni sociali vissute in questi contesti dove spesso, anche inconsapevolmente, si favoriscono confronti e competizione.

Favorire la partecipazione, invece, è preferibile per generare consapevolezza ed orientamento ad agire nei contesti locali di appartenenza, in quanto facilita la conoscenza delle persone che abitano in un’area, consente una migliore comprensione tra di esse e il loro ambiente, favorisce il senso di responsabilità e può essere veicolo per un cambiamento sociale positivo, aumentando il benessere individuale e sociale nella comunità[6].

Una concezione globale di benessere

La felicità e il benessere oggi tendono ad essere sempre più associate non solo alle emozioni positive e alla soddisfazione e realizzazione nella vita, ma anche a una condizione di armonia interiore, non si tratta solo di un aspetto emotivo quindi, ma di una condizione di equilibrio. Direttamente o indirettamente gli elementi collegati al benessere subiscono comunque un condizionamento da parte di un gruppo (famiglia naturale o acquisita, legami parentali e similari) in cui l’individuo è integrato e in cui ha necessariamente contatti relazionali diretti, sia pur nella perfetta indipendenza delle sue attività.

La condizione esistenziale del benessere è connessa a un insieme di fattori che governano la psiche indipendentemente dalle sensazioni fisiche e dalle emozioni attivate dall’interazione con l’ambiente circostante, per cui essa può contenere elementi contraddittori. Una sensazione di piacere psichico, così, può collegarsi a una condizione fisica che potrebbe comportare un rischio o un pericolo, pensiamo ad esempio alle sensazioni di piacere psicologico che derivano da attività estreme come lanciarsi da ponti altissimi restando legati a un elastico.

Il concetto di benessere individuale, alla luce di ciò, può subire limiti che provengono dall’ambiente esterno naturale e sociale, che possono contrastare con la libertà di scelta dell’individuo e ostacolare il suo raggiungimento del benessere psichico a causa di rinunce o rivalutazioni. Come concetto globale di benessere, quindi, dobbiamo considerare che esso dipende anche dalle tradizioni etniche e culturali dei gruppi sociali in termini di partecipazione e presenza, che vanno oltre la sfera prettamente individuale.

Entrano in gioco, perciò, la massima fruibilità di beni e servizi, in termini anche relazionali, all’interno del contesto di vita, un’ottimale condizione e percezione di salute e comfort e la possibilità di mantenerla più a lungo a livello individuale.

“Beni relazionali” e “mali relazionali” come indicatori di benessere soggettivo e sociale

Nella realtà odierna e nel contesto sociale in cui ogni individuo si trova ad operare, il benessere psico-fisico è intimamente connesso con il benessere sociale, sia perché di fatto il diritto alla preservazione della salute fa parte di quei diritti sociali acquisiti dall’uomo durante l’evoluzione delle strutture istituzionali (economiche, produttive, sanitarie), sia perché l’esercizio di questo diritto dipende dalla buona efficienza della loro organizzazione[7].

P. Donati definisce le relazioni sociali “beni relazionali”, non intesi semplicemente come rapporti umani positivi ed altruistici, ma anche portatori di valore economico, politico,morale ed educativo. Esse sono indicatori “umani” del ben-essere di un’intera comunità, attraverso l’amicizia, la fiducia, la cooperazione, la coesione sociale, la solidarietà e la pace. In tutti i contesti di vita le relazioni umane possono essere vissute come fonte di malessere o benessere per il clima che creano, i beni materiali possono stimolarle o favorirne la creazione, ad esempio, condividere i pasti comporta anche il condividere sentimenti e notizie reciproche, le opere d’arte o i concerti sostengono una relazionalità positiva tra coloro che ne fruiscono, alimentano il senso di appartenenza ed identità.

La felicità dipende, perciò, dalle nostre relazioni, esse non sono né proiezioni della soggettività degli individui né la somma delle loro singole azioni ma una realtà che li eccede e si riflette su di essi. Ad esempio, l’amicizia non è un semplice scambio processuale, ma una relazione strutturata, che ha una realtà che eccede sentimenti ed azioni di coloro che sono amici, per quanto non sia neppure una struttura che li sovrasta e si imponga contro la loro volontà, dato che essi possono sempre ridefinirla o uscire da essa. L’amicizia sgorga dalla persona umana ma non può essere un fatto individuale, non si può essere amici in quanto individui ma si riconosce qualcosa che non appartiene a nessuno dei due pur essendo di entrambi. Essa è, come la società, contemporaneamente di entrambe e di nessuno dei due.

E’ la condivisione che da senso, contenuto e forma all’amicizia, non si tratta di una realtà collettiva a sé ne di qualcosa di imposto. Le relazioni sono un prototipo di una forma sociale che sta “fra” le persone, le collega nelle unità e nelle diversità, che vanno promosse e rispettate, e la loro struttura nasconde una realtà invisibile, immateriale ma decisiva nel realizzare l’integrazione del tessuto sociale. A differenza dei beni pubblici, materiali o ideali, i beni relazionali richiedono l’impegno costante di chi vi partecipa su base volontaria e questo li collega alla qualità della vita sociale, in quanto, essendo la relazione interpersonale necessaria, è richiesta una condivisione, con tutte le difficoltà ma anche i vantaggi che comporta.

Il bene relazionale consiste nel fatto che due o più soggetti interagiscono fra loro prendendosi cura della loro relazione condivisa dalla quale derivano dei benefici che essi non possono ottenere altrimenti. La fiducia genera il legame condiviso che diventa una struttura stabile di aspettative reciproche delle quali chi è coinvolto nella relazione si prende cura. I frutti sono dei benefici moralmente positivi, come la reciproca comprensione dei difetti, il perdono degli errori, che generano e rigenerano fiducia e cooperazione, ma non è escluso che si possano ottenere anche “mali relazionali”, prodotto di relazioni deficitarie in termini soprattutto di reciprocità,condivisione ed identità e connessi a quelle forme patologiche di riflessività che vengono designate come riflessività bloccata, impedita o fratturata (un esempio di male relazionale è la complicità mafiosa).

“Dal punto di vista sociologico la riflessività è un’operazione relazionale fatta da una mente individuale in relazione ad un “Altro” dentro un contesto sociale, la quale genera una relazione che è un effetto emergente fra i termini che essa collega”(Donati 2011, p.79). Quando la riflessività relazionale non funziona cade l’apertura empatica verso l’altro e appaiono vere e proprie patologie relazionali, che sono i mali relazionali dovuti a forti distorsioni o mancanze di intelligenza relazionale. Concludendo, le persone possono essere socialmente generative di coesione sociale agendo come soggetti relazionali che interagiscono con riflessività.

In particolare, le reti primarie, come famiglia e scuola possono essere generatrici di ulteriori beni relazionali che umanizzano la persona. I rapporti fra individui e società sempre più ampia si riconfigurano anche sulla base di questi imprinting fino a realizzare una società relazionale caratterizzata da una “vita buona” socialmente, economicamente e culturalmente, ridefinita come possibilità di godere di sempre migliori opportunità per tutti. Il nostro destino come persone e membri di una società (di un’organizzazione lavorativa, di un’associazione, di una famiglia) con queste caratteristiche è perciò legato al fatto di diventare o meno soggetti relazionali competenti[8] e in grado di investire maggiormente sui beni relazionali.

Federica Ucci


[1] M. Blanco, Fondamenti di Neurosociologia, Primiceri Editore, 2016
[2] L. Cozolino, Il cervello sociale. Neuroscienze delle relazioni umane, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2008.
[3] M. Blanco, Op. Cit. pagg. 184-185
[4] E. Stracuzzi, Felicità e benessere, sinonimi o sentieri paralleli?, Passerino Editore, 2020.
[5] G. F. Goldwurm (a cura di), Psicologia Positiva. Applicazioni per il benessere, Erikson, 2010.
[6] F. Procentese, F. Gatti, Senso di convivenza responsabile: quale ruolo nella relazione tra partecipazione e benessere sociale?, in Rivista di Psicologia Sociale n. 3, Settembre-dicembre 2019, Il Mulino.
[7] R. A. Perricone Somogyi, Sociologia ed etica del benessere, Armando Editore, 2006.
[8] P. Donati, Scoprire i beni relazionali: per generare una nuova socialità, Rubettino, 2020.


Riferimenti bibliografici e sitografici

  • M. Blanco, Fondamenti di Neurosociologia, Primiceri Editore, 2016
  • L. Cozolino, Il cervello sociale. Neuroscienze delle relazioni umane, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2008.
  • P. Donati, Scoprire i beni relazionali: per generare una nuova socialità, Rubettino, 2020.
  • G. F. Goldwurm (a cura di), Psicologia Positiva. Applicazioni per il benessere, Erikson, 2010.
  • F. Procentese, F. Gatti, Senso di convivenza responsabile: quale ruolo nella relazione tra partecipazione e benessere sociale?, in Rivista di Psicologia Sociale n. 3, Settembre-dicembre 2019, Il Mulino.
  • R. A. Perricone Somogyi, Sociologia ed etica del benessere, Armando Editore, 2006.
  • E. Stracuzzi, Felicità e benessere, sinonimi o sentieri paralleli?, Passerino Editore, 2020.


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