La comunicazione di massa è un oggetto di grande interesse per le scienze sociali. Questa nasce nei primi anni del Novecento, anni caratterizzati dalle Guerre, dai grandi regimi e dalle diverse propagande grazie alle nuove tecnologie proprio in ambito politico, come mezzo di persuasione e convincimento su un pubblico più ampio rispetto alla comunicazione tradizionale. Con lo sviluppo ulteriori di tecniche e mezzi, la comunicazione di massa si è estesa dalla dimensione politica anche ad altre dimensioni, come ad esempio quella economica e commerciale.

Tra politica, psicologia e sociologia

La sociologia, la psicologia sociale, lo studio della politica, proprio da questo periodo si sono interessate in modo più sistematico e scientifico di ricercarne gli effetti e gli impatti sulle persone. Con i rispettivi metodi e approcci, queste discipline hanno affrontato la questione in modi diversi ma tentando sostanzialmente di rispondere alle stesse domande: quanto la comunicazione di massa influenza le nostre decisioni? Quanto crediamo a quello che ci viene detto? È possibile difendersi? Siamo molto colpiti dai media o alla fine rimaniamo sulle nostre posizioni? Per rispondere a questi quesiti dobbiamo partire dai primi modelli della comunicazione della psicologia. Tra questi ritroviamo quello del politologo Harold Lasswell, considerato il fondatore di questa branca di studi, e quelli degli psicologi Jacobson e Schramm, elaborati tra gli anni ’50 e ’60. Seppur differenziati per molti elementi, questi sono accomunati da una visione della comunicazione come “a senso unico”, tutt’oggi ancora diffusa nel senso comune. Il messaggio procede da mittente a destinatario, il quale viene così considerato un componente passivo della comunicazione. Ogni persona subirebbe il messaggio, univoco e comprensibile, che gli viene somministrato.

Questione di interpretazione

Questi modelli però non tengono conto del fatto che spesso nella comunicazione ci possono essere disattenzioni, incomprensioni e soprattutto decodifiche del messaggio da parte di chi lo riceve, che ne rifiuta il senso in quanto diverso dal proprio sistema di credenze. Non è detto infatti che un messaggio costruito per sortire un dato effetto venga interpretato con lo stesso significato. In ciò infatti consisteva la critica a questi modelli da parte dei successivi autori. Tra questi ritroviamo, ad esempio, quello dei semiologi Umberto Eco e Paolo Fabbri, per i quali il messaggio è soggetto a continue trasformazioni che possono portare a decodificare il messaggio stesso in modi diversi. Davanti ad un messaggio pubblicitario o un discorso politico, il messaggio può essere interpretato in modo diverso a seconda delle nostre conoscenze e valori. Non necessariamente ne siamo sempre persuasi. Un messaggio che a noi sembra molto convincente magari non sortisce lo stesso effetto per altri. Un altro aspetto importante da non dimenticare è che oggi non possiamo più parlare di propaganda. Non esistono più i mezzi di comunicazione monopolizzati dalla politica che trasmettono un messaggio unico asservito alle esigenze del potere. Ci sono fortunatamente sempre una moltitudine di idee e opinioni diverse che viaggiano sulla tv, in Internet e sui giornali.

Il flusso di informazioni

In ambito sociologico, invece, dopo una ricerca sociale condotta in America, Paul Felix Lazarsfeld ed Elihu Katz nel 1955 hanno elaborato la cosiddetta “teoria del flusso a due fasi di comunicazione” (Two Step Flow of Communcation). Secondo questi autori, in ambito commerciale il flusso di informazioni non influenzerebbe direttamente il destinatario finale del messaggio. Sarebbero piuttosto il gruppo di riferimento e gli opinion leader determinanti nella scelta individuale degli acquisti. Questa visione sottolinea l’importanza delle nostre relazioni sociali anche nella comunicazione: sono le persone di cui ci fidiamo che ci consigliano un determinato articolo a persuaderci a comprarlo. Non dimentichiamo infatti che le relazioni sociali, il nostro gruppo sociale, la nostra famiglia e il gruppo di pari sono fattori di condizionamento attraverso i quali costruiamo il nostro mondo e filtriamo le informazioni in entrata che ci vengono fornite.

Le strategie della persuasione

I fattori sociali e le nostre credenze svolgono quindi un ruolo non secondario riguardo la nostra influenza ai mass media. Non siamo poi così passivi ma neanche del tutto invulnerabili. D’altra parte, infatti, anche gli specialisti della pubblicità e della comunicazione adottano diverse tecniche e strategie per informare e persuadere. Queste si basano principalmente su tre principi: attirare l’attenzione; informare; essere ricordata. Per attirare sin da subito l’attenzione del ricevente, soprattutto nell’attuale società della conoscenza in cui l’attenzione è una risorsa ben limitata, i contenuti più significativi saranno quelli per primi visualizzati o ascoltati dal ricevente. Nel messaggio saranno fornite delle informazioni sui dati oggettivi per informare e orientare le scelte. A volte, al prodotto o al tema centrale del messaggio, possono anche essere associate una serie di caratteristiche positive cosicché scegliendolo si possano sentire quei benefit. Un fattore indispensabile per la persuasione è l’autorevolezza della fonte. Se si percepisce la fonte come autorevole, siamo tendenzialmente più persuasi. Da qui la scelta di molte pubblicità di far presentare i prodotti da degli esperti in camice. Un’ulteriore strategia comunicativa efficace è la creazione di una situazione problematica. Una creazione di un’insoddisfazione che può essere soddisfatta solo da quel determinato prodotto o da quel partito politico che ci viene presentato e consigliato.

Il ruolo dell’attore individuale

Anche davanti a tutto ciò, l’attore individuale ha ancora l’ultima parola. Ma il grado di coinvolgimento del ricevente rappresenta il fattore determinate della persuasione. Come affermato dagli psicologi Petty e Cacioppo, da questo dipende se l’informazione ricevuta viene analizzata in profondità o in modo superficiale. Se siamo disinteressati potremmo assumere un atteggiamento positivo verso un prodotto o un messaggio solo per il modo con cui questo ci viene presentato o altre caratteristiche non rilevanti; al contrario, analizzeremo il messaggio in ogni sua componente a partire dalle nostre esigenze. Alla fine possiamo dire che non siamo cosi creduloni ma nemmeno cosi razionali. Ma lo siamo in modo diverso a quello che pensavamo.

Valerio Adolini

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