Il contesto in cui si colloca l’elettrosmog è l’apice della società dell’informazione, caratterizzata da sempre più individui interconnessi. Miliardi di utenti della rete Internet ogni giorno scambiano in mobilità ingenti quantità di dati, generando un aumento vertiginoso della quantità di onde elettromagnetiche rispetto ai primi anni del secolo scorso, in particolare nelle città dell’area OCSE dove vi è una maggiore capillarità della banda larga.

L’elettrosmog, in fisica, è l‘inquinamento causato dalle onde elettromagnetiche non ionizzanti. Le onde si suddividono in categorie in base al loro spettro, e le radiazioni non ionizzanti non sembrano essere in grado di generare il fenomeno della ionizzazione nella materia. In termini più semplici, fanno parte delle onde elettromagnetiche non ionizzanti le radiazioni che non provocano un danno direttamente sulla cellula, ma realizzano modificazioni termiche, meccaniche e bioelettriche. L’esposizione a campi elettromagnetici emessi da cellulari, tablet, smartphone, computer, e antenne WiFi è crescente e sembra essere altamente dannosa per gli esseri umani.

Più della metà della popolazione mondiale utilizza dispositivi digitali per: cercare informazioni attraverso motori di ricerca; curare la propria reputazione online e cercare lavoro; effettuare acquisti e/o vendite online; video-chiamare con tecnologie Voice over IP; chattare utilizzando software di messaggistica istantanea; studiare su siti specializzati; pubblicare articoli su blog; inviare e-mail allegando qualsiasi tipo di file; divulgare foto e video mediante decine di social media, ecc. I numeri relativi a queste attività sono impressionanti: l’intera rete Internet, all’agosto 2013, fa transitare 1.826 petabyte (1 petabyte= 1015 bytes) di dati ogni giorno. Tale fenomeno comporta un sensibile aumento del tempo di esposizione alle onde elettromagnetiche, la cui intensità è esponenzialmente maggiore nei posti affollati in quanto vi è un effetto sinergico derivante da una moltitudine di sorgenti irradianti (immaginiamo un treno con centinaia di passeggeri: le onde rimbalzano nell’abitacolo attraversando simultaneamente tutti gli organismi).

L’istituzione più autorevole che si occupa di ricerca in tema di effetti nocivi sul corpo umano derivante dall’esposizione a radiazioni è la Commissione Internazionale per la Protezione dalle Radiazioni Non Ionizzanti (ICNIRP), un organismo non governativo con sede in Germania riconosciuto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, composto da esperti scientifici indipendenti in Epidemiologia, Biologia, Dosimetria e Radiazione Ottica. Tale organizzazione si occupa di fornire delle linee guida, ovvero raccomandazioni destinate ai governi nazionali per l’adozione di limiti di esposizione a tutela dei cittadini, basate rigorosamente su dati scientifici. Le raccomandazioni dell’ICNIRP diventano sistematicamente in tutti i Paesi delle norme nazionali. Di fatti, l’Unione Europea dal 1999 adotta un quadro comune di norme per la protezione dei cittadini, basate appunto sulle linee guida dell’ICNIRP.

La comunità scientifica internazionale ha prodotto negli ultimi decenni degli standard di sicurezza relativi ai limiti di esposizione al campo elettromagnetico. In Italia, per quanto riguarda lo spettro delle frequenze, il Decreto Interministeriale n. 381 del 10 settembre 1998 fissava (ed è ancora in vigore) i limiti di esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici generati da antenne e ripetitori per telefonia mobile ed emittenza televisiva, nell’intervallo di frequenze comprese tra 100 KHz e 300 GHz. Per quanto riguarda invece la concentrazione del campo elettromagnetico, il limite era (ed è ancora) di 20 V/m (ovvero 1 W/m2), a fronte dei 42 V/m (4,65 W/m2) stabiliti dall’allora Comunità Europea. Laddove vi è una permanenza continuativa delle persone che supera le quattro ore il limite è di 6 V/m (0,1 W/m2), ad esempio negli edifici in generale.

Sempre più studiosi cercano di portare all’attenzione del pubblico il tema dell’elettrosmog, denunciando l’urgenza di una regolamentazione più rigorosa in materia di prevenzione dei rischi per la salute. Proprio negli ultimi mesi c’è stata una petizione firmata da decine di medici, fisici, biologi, ricercatori e da numerose associazioni che vorrebbero la modifica dei limiti dei campi elettromagnetici attualmente in vigore in Italia. Essi hanno scritto direttamente al Governo lanciando un appello il cui obiettivo è sensibilizzare la popolazione su questi temi. La preoccupazione deriva dall’intenzione del Consiglio dei ministri di procedere all’approvazione di due provvedimenti sulla “Strategia per la banda ultralarga” e la “Crescita digitale”, in cui verrà a breve proposto di innalzare i limiti elettromagnetici con l’intento di diffondere i WiFi nei luoghi pubblici, in particolare nelle strutture scolastiche, negli ospedali e negli uffici.

I firmatari dell’appello chiedono che venga ridimensionata la normativa, portando la misurazione dei campi elettromagnetici dalla media nelle 24 ore ad una media più ragionevole nell’arco temporale dei 6 minuti. Inoltre, vorrebbero vietare l’installazione di reti WiFi negli asili e nelle scuole frequentate da bambini e ragazzi al di sotto dei 16 anni. Infine, sottolineano la necessità di tenere in considerazione esclusivamente gli studi scientifici indipendenti, escludendo quelli finanziati dall’industria delle telecomunicazioni. L’attuale limite italiano è di 6 Volt per metro nei luoghi dove si soggiorna per più di 4 ore. Fino al 2003, la misurazione era calcolata su una media di 6 minuti, tempo sufficiente per ottenere effetti termici dai campi elettromagnetici. Nel 2012 Monti nel Decreto Sviluppo innalzò il tempo a 24 ore senza considerare i possibili effetti cancerogeni delle onde elettromagnetiche.

Ermanno Starita

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