Per il sociologo canadese Goffman, l’individuo è un attore sociale che si esibisce in una performance su un palcoscenico, con scena e retroscena, dove deve rispettare determinate norme morali e copioni culturali. Quando un attore sociale entra in scena, il suo timore principale è quello di saper gestire e controllare le possibili espressioni emotive di imbarazzo e vergogna che potrebbero verificarsi. Per Goffman la funzione dell’imbarazzo e la sua gestione servono alla società perché le permette di esistere e riprodurre sé stessa (Ordine di interazione).
La funzione dell’imbarazzo per l’empatia
All’interno di quest’ordine gli individui sono posti al controllo e al giudizio sociale nei processi di manifestazione della propria identità sociale, e quando vengono compromesse le norme morali e i copioni culturali, l’imbarazzo attuerebbe una modificazione nell’interazione in modi non prevedibili come: silenzio, azioni mancate, arrossamenti e ecc. Il saggio “Imbarazzo e organizzazione sociale” di Goffman del 1956 analizza l’imbarazzo come un’emozione situazionale, la quale si manifesta solo in presenza di qualcun altro (reale o immaginario).
L’imbarazzo viene espresso tramite cambiamenti fisiologici facilmente identificabili (arrossimento, balbettio, voce tremolante e ecc…) che evidenziano come l’attore sociale sia <<fuori copione>> rispetto all’ordine di interazione in cui è posto; quindi, l’imbarazzo diviene funzionale al mantenimento della definizione della situazione sociale e al corretto funzionamento dell’interazione, perché l’imbarazzato probabilmente tenderà a riallinearsi alle norme che sono proprie del contesto sociale in cui si trova, oppure uscirà dall’interazione senza procurare altri problemi all’ordine di quest’ultima.
L’empatia
La vergogna e l’imbarazzo sono funzionali perché rafforzano l’appartenenza al gruppo da parte degli individui che additano la vergogna verso qualcuno altro, ma per far sviluppare queste emozioni, si ha bisogno che qualcuno attui comportamenti che si possono definire <<vergognosi>>, cioè azioni che vadano contro ad un’etica o norme stabilite nel gruppo. La vergogna, dopo aver generato forme di disapprovazione rispetto al sé e rispetto al gruppo, può avere una accezione negativa nel caso in cui il soggetto continui ad avere un atteggiamento <<vergognoso>>, fino ad arrivare a manifestazioni violente e potenzialmente distruttive dei legami sociali; ma, nel caso in cui il soggetto ammetta la sua <<colpa>> e provi a porre rimedio alla situazione generata, la vergogna diventa fonte di ristabilimento del legame con il gruppo, più forte del precedente.

La sociologa Susan Shott ha un approccio interazionista simbolico, e afferma che l’esperienza emotiva è distinta in due momenti specifici: 1) l’attivazione fisiologica del sentire, come l’entrata in circolo della dopamina 2) e la conseguente definizione del sentire. Quando vi è uno stato di eccitamento l’individuo è aiutato a definire il sentire che prova dalla struttura sociale in cui è posto. L’autrice, inoltre, parla delle <<emozioni prese in carico>> Role Taking Emotions, ovvero quel procedimento che attua un soggetto nel riconoscersi emotivamente nei confronti dell’interlocutore (Reale o Immaginario). Questo procedimento empatico genera solidarietà sociale e permette all’individuo una piena integrazione nell’organizzazione sociale di cui è parte. Esempio emblematico sono le emozioni che nascono da giudizi negativi verso sé stessi, come il <<senso di colpa>>, o dagli altri, come la<<vergogna>>; incrinano l’identità sociale dell’individuo e lo costringono a rimediare all’azione compiuta e all’immagine trasmessa.
La solidarietà sociale
La solidarietà sociale presente tra i membri di un gruppo è rafforzata e contemporaneamente il valore delle norme morali che vanno ad incidere sul comportamento emotivo è intensificato; anche le emozioni che si possono definire <<positive>> sono Role Taking Emotions, come l’empatia e l’orgoglio. Shott (1979) divide le emozioni prese in carico in due tipi: le riflessive, cioè rivolte verso sé stessi, come: imbarazzo, senso di colpa, orgoglio, vergogna e ecc.; e quelle empatiche, cioè rivolte verso gli altri, come: solidarietà, compassione, pietà, ecc.
L’empatia è un processo dove l’individuo <<prende in carico>> le emozioni altrui, cercando di ricreare (o meglio: ripescare) lo stato d’animo dell’altro attingendo dalle proprie esperienze e, infine, applicando una trasformazione compiuta dall’Io che consiste nel riconoscimento del sentire dell’altro ma non nell’esperienza diretta. Difatti, il prendersi carico e il riconoscimento nei confronti dell’altro hanno il compito di manifestare integrazione sociale e palesare il controllo che la società esercita sui suoi membri. Per chiarire meglio: un ragazzo scendendo da una discesa ripida e ghiacciata scivola e cade a terra.
L’imbarazzo
La reazione, dopo essersi rialzato e accertato di non aver coinvolto nessuno, sarà quella di imbarazzo con tutte le manifestazioni fisiologiche che ne derivano (arrossimento, guardarsi intorno e ecc.). Si renderà conto di essere stato impacciato e non aver valutato attentamente il rischio a cui andava in contro (Ghiaccio), ma non secondo i suoi criteri di valutazione, ma secondo lo sguardo della società. Nella manifestazione dell’imbarazzo, il ragazzo, si prenderà carico dell’emozione che ha scaturito nel passante che lo stava guardando e considererà sé stesso attraverso gli occhi degli altri.
Allo stesso modo il passante che ha assistito alla scena, dopo aver riso per il suo comportamento impacciato, si prenderà carico dell’emozione del ragazzo, ripescando dalla memoria quella situazione, e di conseguenza, trasformerà sé stesso avvicinandosi emotivamente al ragazzo, smetterà di ridere e gli chiederà se sta bene. Il rapporto e la presa in carico del sentire emotivo e della conseguente espressione sono sempre biunivoci, prodotti da due o più soggetti.
<<Homo Empatichus>>
L’economista Jeremy Rifkin nel 2011 pubblica “La civiltà dell’empatia” dove afferma che l’essere umano non è più <<Homo Sapiens Sapiens>> ma si sia evoluto in <<Homo Empathicus>>. Dopo la scoperta dei neuroni specchio da parte dell’università di Parma negli anni ’90, Rifkin, teorizza che l’essere umano non sia fatto per essere aggressivo, violento o utilitarista come spesso la visione illuminista lo ha descritto, bensì per la socievolezza. La civiltà empatica si viene a costruire tramite la solidarietà che hanno gli individui verso gli altri che ne condividono la sofferenza e la mortalità; “Nell’empatia si ha il sentore della morte e la celebrazione della vita; infatti, il contrario di empatia è utopia, non c’è empatia in paradiso, ve lo garantisco, perché non c’è mortalità, non c’è empatia in utopia perché non c’è sofferenza”.
Con la diffusione dei mezzi di comunicazione, l’empatia si è estesa ancora di più, superando dapprima i legami familiari, poi i legami teologici, infine i legami dello stato-nazione; ad oggi, è impossibile non pensare l’essere umano come una sola razza, una sola famiglia, e ciò si è dimostrato ampiamente con i terremoti ad Haiti, dove nel giro di poche ore, grazie a Twitter e ai video diffusi su Youtube, l’essere umano ha potuto esprimere solidarietà da tutte le parti del mondo, raccogliendo anche aiuti umanitari “Dobbiamo allargare il nostro senso di identità, non perdiamo le nostre vecchie identità nazionali, religiose o parentali. Estendiamo la nostra identità in modo da pensare l’intero genere umano come nostro compagno di viaggio, e le altre creature del pianeta come parte della nostra famiglia evolutiva e la biosfera come la nostra comunità.”.
Le differenze di genere nell’emotività: ieri
La manifestazione emotiva è composta dalle Feeling Rules (Regole del sentire) e dalle Display Rules (regole di espressione), le quali vengono apprese all’interno dei gruppi in cui si è cresciuti. I membri dei gruppi interagiscono tra di loro e acquistano cognizione dell’insieme delle aspettative di quali emozioni è adeguato sentire e, in quali forme è necessario esprimerle. Secondo la sociologa Hochschild, la somma di queste aspettative va a creare la Cultura emozionale. Le regole vengono interiorizzate attraverso la socializzazione e verranno poi rispettate (o violate) tramite il Lavoro emotivo (Emotion Work) o il lavoro emozionale (Emotion Labour), (Hochschild, 1979, in Sociologia delle emozioni, Cerulo, 2018, p. 119-128). L’Emotion Work è da intendersi come l’azione giornaliera che ogni individuo compie sulla definizione delle proprie emozioni.
La Cultura Emozionale indica quando e in quali modi manifestare un’emozione, il lavoro emotivo, invece, si riferisce all’atto di provare a cambiare (cioè l’azione in sé, non al risultato) il grado o la qualità di un’emozione provata in un determinato momento. Questo processo va ad influire soprattutto sulle Display Rules e sul controllo della propria esperienza emozionale soggettiva, difatti, l’individuo applica il controllo delle emozioni (Coping), cioè il processo in cui tenta di modificare intenzionalmente uno o più componenti della propria esperienza soggettiva, il quale si muove su due livelli: comportamentale e cognitivo (Thoits, 1990, in Sociologia delle emozioni, pp. 142-143).
Processi cognitivi per il lavoro emotivo
Hochschild, nell’articolo per l’American Journal of Sociology, si focalizza su due processi cognitivi che sono eseguiti all’interno del lavoro emotivo: l’evocazione e/o la soppressione. L’individuo cerca di evocare espressioni emotive adeguate, anche se non le sente internamente, attuando un lavoro emotivo svolto dal sé sul sé; oppure, cerca di sopprimere emozioni <<negative>> per portare avanti un’interazione senza problemi o senza turbare l’ambiente in cui si svolge, attuando un lavoro emotivo svolto dal sé sull’altro. Gli studi di Nancy Chodorow dimostrano come una differente socializzazione emotiva in base al genere (1978, in Sociologia delle emozioni, 2018, M. Cerulo, pp. 145-150) porterebbe i bambini maschi a sopprimere le manifestazioni emotive, sviluppando una bassa attitudine nell’espressione emotiva e, propenderanno a ignorare e/o a considerare <<frivoli>> i comportamenti femminili.
Dall’altra parte, le bambine non affronterebbero un approfondito lavoro emotivo, poiché coltivano una manifestazione più <<energetica>> e libera dei loro sentimenti, a favore di una elevata capacità relazionale. Risulta interessante anche l’analisi di Devault del 1991, sul lavoro emotivo nelle attività famigliari su due individui di genere diverso; le donne risultano essere più emotivamente attive e attente nella crescita emotiva dei figli di quanto non lo siano i padri.
Quando le madri non compiono questa pratica, verrebbero giudicate come devianti sia dalla società e in alcuni casi, anche da loro stesse, accusandole di freddezza emotiva; Mentre i padri risulterebbero particolarmente apprezzati nel caso in cui ci sia un coinvolgimento emotivo nell’educazione del figlio e, quando questa pratica non è presente verrebbero considerati come <<persone normali>> (Hochschild, 1989, in Sociologia delle emozioni, 2018, Cerulo, pp. 146-147).
Le differenze di genere nell’emotività: oggi
Nel libro “Le ragazze sono cambiate” lo psichiatra Charmet (2019) dedica un capitolo alla figura dei genitori nelle giovani ragazze di oggi, in particolare nota come la figura materna di prima abbia una delusione nella nascita di una figlia femmina, poiché andava inevitabilmente incontro ad una posizione di dipendenza verso l’altro sesso “compiangendo quindi la figlia per lo squallido destino che l’aspetta e per le umiliazioni e mortificazioni che dovrà affrontare, con l’inevitabile conclusione della sua sottomissione […]”(Charmet, 2019, p.19), mentre la madre postmoderna ha e dona una carica emotiva alla figlia, affinché lei possa combattere la battaglia contro l’emancipazione e alla realizzazione personale, lotta che alla madre è stata negata.
Se prima la genitrice aveva come <<oggetto del desiderio>> un figlio maschio, per tutti i privilegi a cui lui andava in contro, oggi la madre sembra rimanere indifferente, o meglio, indifferente nella crescita sessuale ed emotiva della figlia, l’importante è che si renda autonoma e libera dal potere del maschio “Una figlia libera e leggera va bene, magra non è necessario ed è anzi controproducente perché alla fine la magrezza eccessiva farà fallire il piano sovversivo della nuova femminilità” (ibidem, p.21).
La figura del padre
Anche la figura del padre presenta novità sul piano relazionale, il genitore non svolge più lo <<sguardo paterno>> sul comportamento che bisogna tenere o sull’andamento scolastico, ma il suo sforzo come padre va a ricercare una verità affettiva, e quindi emotiva, autentica, che porti a sostenere i nuovi valori sviluppati e aiutandola nelle decisioni da prendere. La sessualità e l’amore vengono presi in considerazione in modo diverso da come erano concettualizzati dai genitori, oggi non sono più sinonimi di piacere e felicità, non sono più estasi e trasgressione, anzi sono causa di oppressione, ineguaglianza e abuso (Bauman, 2004). Più che analizzare le differenze di espressione emotiva e di crescita dei giovani di oggi, forse, sarebbe più utile capire come le definizioni delle singole emozioni siano cambiate con il corso degli eventi e degli anni.
Cristiano Sciarretta
Riferimenti Bibliografici e Sitografici
- Bauman, Z. (2004). Amore Liquido. Roma-Bari: Laterza.
- Cerulo M. (2018). Sociologia delle emozioni, Bologna: il Mulino
- Charmet P. G. (2019). Le ragazze sono cambiate: le nuove adolescenti nel mondo reale e virtuale, (a cura di) Gustavo Pietropolli Charmet, Elena Paracchini, Roberta Spiniello, Aurora Rossetti. Milano: FrancoAngeli
- Goffman E. (1988). Il rituale dell’interazione, traduzione di A. Evangelisti e V. Mortara Bologna: Il Mulino
- Rifkin J. (2010). The Empathic Civilisation: The Race to Global Consciousness in a World in Crisis, Jeremy P. Tarcher Inc.; Trad. it. “La civiltà dell’empatia”, Mondadori, 2011.
- Shott S. (1979). Emotion and Social Life: A Symbolic Interaction Approach, in <<American Journal of Sociology>>, 84, 6, pp. 1317-1334.