Andiamo avanti seguendo il filo conduttore che, chi ha letto i post precedenti, dovrebbe avere chiaro in mente, e che il titolo di questo svela perfettamente. Immaginiamo un questionario “di gradimento” a fine lezione. Quando propongo come domanda: “La lezione le ha trasmesso contenuti interessanti che crede le saranno utili nel suo lavoro [Sì, No, In parte…]?”, propongo una serie articolata di concetti, collegati fra loro, che hanno un significato per me e, certamente, per voi. A occhio e croce in questa frase ci sono quattro concetti chiave:
• contenuti, ovvero? “ciò che il relatore ha detto”; “ciò che ho ascoltato e capito di quanto ha detto il relatore”; “le parti tecnico-operative – fra tutto ciò che il relatore ha detto – che man mano venivano spiegate io immaginavo di poter utilizzare”; “le parti tecnico-operative – fra tutto ciò che io ho capito di quanto il relatore andava dicendo – che mi suggerivano possibili approfondimenti che – qualora da me fatti – potrebbero avere un qualche riflesso concreto su alcune attività professionali che io compio”; eccetera;
• (contenuti) interessanti, in che senso? “utili, o utilizzabili”; “mai sentiti prima: se approfonditi potrebbero essere anche utili”; “ben espressi, lasciano il segno nell’uditorio e fanno pensare”; “per niente utili, ma bizzarri, nuovi, affascinanti intellettualmente”; eccetera;
• utili (nel lavoro), anche qui, in che senso? “immediatamente applicabili, con un rapporto di significazione uno-uno (del tipo: per piantare un chiodo picchiare col martello sulla capocchia)”; “applicabili non immediatamente, ma con una mediazione di carattere cognitivo, organizzativo, contestuale, con un rapporto di significazione uno-molti (del tipo: per piantare il chiodo potrei usare un martello, una mazza, o forse una pietra, a seconda delle circostanze)”; “utili alla mia cultura generale, al mio umore, alla soddisfazione che ne provo ora”; eccetera;
• lavoro, un concetto che si è andato complicando nei decenni: “ciò da cui traggo reddito”; “ciò che è mio dovere fare”; “ciò che faccio per ottenere i risultati che la mia organizzazione si aspetta”; “ciò che mi dà identità”; eccetera.
Se adesso combinate i significati suggeriti per ciascuno dei quattro referenti, e giocate a permutarli un pochino, avrete un’idea di cosa succedere nelle teste delle persone cui ponete domande con un questionario, o nel corso di un focus group, o altro. Per darvi un’idea (più suggestiva che logica) guardate la figura che mette assieme, in un piano cartesiano, le quattro dimensioni sopra menzionate (è impossibile ovviamente, io ho fatto delle forzature micidiali imbrogliando anche un po’ ma, come ho detto, vuole essere una mera suggestione). Ciascun individuo costruisce continuamente rapporti di significazione differenti, e comprende quindi differentemente, sulla base dell’educazione, della cultura, dell’esperienza, del contesto immediato.
• L’individuo 1 ha rapporto con il mondo assieme pragmatico ed emotivo e, nel caso della conferenza in questione, ha recepito piuttosto alla lettera quanto è stato detto dal relatore cogliendone gli aspetti di novità (per lui) e probabilmente immaginandone i riflessi nel suo modo di porsi i problemi professionali; probabilmente è quindi una persona ricettiva e disponibile al cambiamento, ma poco capace di rielaborazioni personali di quanto appreso;
• L’individuo 2 è altrettanto ricettivo e disponibile, ma è stato colpito più specificatamente da elementi sostanziali del relatore, che forse ha saputo cogliere grazie a competenze pregresse, o a una maggiore vivacità intellettuale.
• L’individuo 3… ma adesso potete continuare da soli!
Ciascun individuo, sulla base di un’infinità di proprietà personali, molte delle quali di natura personologica (quelle che sfuggono sovente ai sociologi) capiscono/non capiscono, si entusiasmano/si annoiano, elaborano/dimenticano… la stessa lezione di cui noi stiamo valutando, eventualmente con strumenti standard, il generico “gradimento” (o l’interesse, l’utilità… non ha alcuna importanza) pretendendo di rilevare la stessa cosa in ciascuno. Lo scambio fra attori sociali individuali, nella permutazione delle diverse culture, educazioni, etc., e nel continuo tentativo di reciproco adattamento, costituisce un tessuto complesso e in continuo divenire in cui è presuntuoso ritenere – da ricercatori, da osservatori esterni – di comprenderne con una qualche chiarezza definitiva gli obiettivi e i significati, se non per parzialità indiziarie.
Questo significa che non possiamo conoscere la realtà, o almeno una sua approssimazione? Naturalmente non è questa la risposta; la risposta intende mettere in guardia contro soluzioni “certiste”, scorciatoie epistemologiche e derive operazioniste. È chiaro che per un questionario di gradimento di fine lezione possiamo farci pochi problemi, ma in caso di ricerche rilevanti su problemi complessi, invece, è il caso di problematizzare maggiormente il contesto e cercare soluzioni metodologicamente più sofisticate, sempre ricordando che le tecniche costruiscono l’informazione, come abbiamo già detto precedentemente, e che l’obiettivo del ricercatore, del sociologo, del valutatore, non è la verità e la sua ricerca, una questione sostanzialmente religiosa, ma la comprensione di elementi significativi di quella cosa che chiamiamo “realtà” senza mai afferrarla veramente.
Claudio Bezzi