Nel 2016, a causa della crescente tendenza della diffusione dei discorsi d’odio sui social, la Commissione europea ha pubblicato un codice di condotta rivolto alle grandi aziende che sono dietro le principali piattaforme di social, nel tentativo di ridurre o eliminare questo preoccupante fenomeno sociale. Tuttavia, nonostante gli sforzi della Commissione europea e molte altre organizzazioni negli ultimi anni, i discorsi d’odio (sia online che offline) rimangono un problema sociale irrisolto in Europa e al di là del continente.

In Italia, in particolare, colpisce l’articolo del 2019 chiamato Ecco l’Italia che odia via internet, che ha fatto luce sul fenomeno del discorso d’odio nel paese. Nonostante tale problematica sociale era stata individuata da molto tempo, la pubblicazione di questo articolo (che si basa sulla quarta edizione della Mappa dell’intolleranza) ci ha fatto riflettere più in profondità sul problema. Secondo l’articolo, basato sull’analisi di 215.377 tweet, le principali vittime di discorsi d’odio sono i seguenti gruppi:

  1. Migranti: 74.451 (34,6%)
  2. Donne: 55.347 (25,7%)
  3. Islamici: 30.387 (14,1%)
  4. Disabili: 23.499 (10,9%)
  5. Ebrei: 19.952 (9,3%)
  6. Omosessuali: 11.741 (5,4%)

Il profilo delle vittime e lo schema di pregiudizio

Tuttavia, ciò che questi numeri non rendono evidente è il fatto che spesso le vittime di discorsi di odio (migranti, donne e islamici) sono in maggiore parte persone nere. La letteratura definisce questo aspetto come “intersezionalità”, che significa che la sovrapposizione di diversi aspetti come etnia, razza, genere, luogo di nascita, orientamento sessuale e affiliazione religiosa, può amplificare le esperienze di razzismo, discriminazione ed emarginazione sociale.

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In questo contesto, la questione provocatoria e necessaria che vorrei sollevare nel presente articolo è: qual è lo schema di questo preconcetto in Italia? In altri termini, in che modo il razzismo e la discriminazione si manifestano in Italia sia online che offline? E perché è importante analizzare il fenomeno in entrambi gli ambienti? Perché sono intrinsecamente connessi e l’odio che circola in entrambi si autoalimenta in un movimento in crescita come una palla di neve che rotola.

Dunque, sviluppando un’analisi qualitativa di decine di casi di discorsi d’odio in Italia negli ultimi anni, è stato possibile osservare che sono fortemente influenzati da preconcetti e percezioni sbagliate riguardo alle persone nere e possono essere classificati in tre categorie principali:

  1. sfida alla competenza professionale delle persone nere,
  2. delegittimazione dello status di cittadinanza degli migranti di seconda generazione in Italia
  3. naturalizzazione degli stereotipi negativi riguardanti le persone nere.

Sfida alla competenza delle persone nere

Detto questo, purtroppo, non è raro assistere alle manifestazioni verbali razziste che sfidano la competenza professionale delle persone nere che svolgono alcune professioni cosiddette “nobili”, come la medicina. In questo contesto, un recente caso illustrativo comprende quello del medico nero, Andi Nganso, insultato nell’agosto 2022 a Lignano Sabbiadoro da un paziente che si rifiutava di essere curato da un medico nero. Secondo le parole del paziente, “preferiva avere due costole rotte piuttosto che essere curato da un medico nero che faceva schifo e poteva infettarlo con malattie”.

Il dott. Andi Nganso ha pubblicato la storia sul Instagram, che ha ricevuto più di 22.000 Mi piace e più di 1.100 commenti. Nonostante molti dei commenti fossero a suo supporto e contro l’evidente comportamento razzista del paziente, molti altri sono andati nella direzione opposta. Ci sono stati commenti che non solo hanno approvato il comportamento razzista, ma hanno anche sminuito la rilevanza del caso e ci sono rifiutati di riconoscere la gravità della situazione.

La principale molla scatenante dietro questo tipo di discorso razzista e la sua approvazione o accettazione sui social risiede nel fatto che queste persone credono che alcune professioni debbano essere esercitate esclusivamente o prevalentemente da uomini bianchi. Pertanto, un uomo o una donna neri che svolgono una professione “nobile” (ad es. Medicina, ingegneria, diritti, docente universitario, ecc.) sono considerati una “devianza” e come tale, devono essere sfidati e riposizionati nel loro luogo “legittimo” di inferiorità sociale e sottomissione.

I discorsi d’odio nascono anche dalla pubblicità

In linea con questo caso, un altro esempio illustrativo comprende una campagna pubblicitaria di un grande rivenditore di moda di origine tedesca, con una forte presenza di mercato in Italia, che nel 2019 ha usato modelli neri maschi e femmine. Le pubblicità sono state pubblicate sui canali social del rivenditore e hanno ricevuto una varietà incredibile di commenti negativi come i seguenti esempi: a) “Addio. Avete perso un cliente. Mai più soldi a chi preferisce i neri”, b) “Vendeteli in Africa”, c) “Facciamo così: appena divento nero la compro, nel frattempo ti blocco”, d) “Non c’era un’italiana disponibile per la pubblicità?”, ed e) “Se volete vendere in Italia mettete donne italiane”. E così via. Ci sono molti altri commenti come questi.

Cosa rivelano questi commenti? Il messaggio sottostante in tutti questi commenti è la negazione della legittimità delle persone nere a rappresentare qualunque bene di consumo e ancora di più a rappresentare l’Italia. Tuttavia, quale Italia? L’Italia bianca naturalmente. Alla fine, queste ideologie sono alimentate da modi di pensare coloniali, che sono ancora radicati nella mentalità di molte persone e emergono liberamente sui social media.

Delegittimazione dello status di cittadinanza

Andando avanti nella riflessione sviluppata fino a questo punto, un altro schema di preconcetto influenzato dalle percezioni sbagliate sulle persone nere che scatena discorsi d’odio comprende i messaggi che delegittimano la condizione di cittadinanza italiana dei migranti di seconda generazione.

In questo contesto, un caso illustrativo emblematico coinvolge una ragazza dell’Umbria che era tra le candidate finaliste per l’edizione 2021 del concorso Miss Italia. Solo perché lei aveva il tono della pelle un po’ scuro e i capelli ricci neri, molte persone sui social hanno presunto che lei non fosse italiana (senza conoscere il suo vero status di cittadinanza). Infatti, uno dei post più aggressivi contro di lei affermava che “anche se hai un cognome italiano, non lo sei italiana, sei una meticcia”.

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Per cui, la semplice percezione immaginaria che la ragazza poteva non essere “davvero” italiana (dopo tutto, lei non è bianca) è stata sufficiente per scatenare i commenti razzisti sui social che hanno sfidato la sua legittimità a rappresentare l’Italia in un concorso di bellezza internazionale.

Inoltre, esiste un altro aspetto rilevante incorporato in questa situazione sgradevole a cui la ragazza è stata esposta. I concorsi di bellezza internazionali portano una forte simbologia dell’immagine che un paese vuole proiettare nel mondo. In questo modo, nelle menti degli aggressori (alimentati da ideali suprematisti bianchi coloniali), è inconcepibile proiettare un’immagine diversa dal bianco, purtroppo considerazioni simili a quelle precedentemente viste nella pubblicità del rivenditore di moda.

Naturalizzazione degli stereotipi negativi

Arriviamo così al terzo schema di preconcetto, che è influenzato dalle percezioni imprecise e basate su una varietà di stereotipi negativi che associa le persone nere con la povertà, le attività criminali e la fame. Per illustrare questa riflessione, un esempio emblematico è rappresentato dal cestista nero della NBA James Harden, che era il viso di una campagna pubblicitaria de un noto marchio internazionale per celebrare il suo 70 ° anniversario nel 2019.

Nei social italiani, sono emerse decine di commenti razzisti indirizzati a James Harden come, ad esempio: a) “Oddio, mi sembra un terrorista islamico”, b) “E a te chi ha fatto uscire della gabbia?” c) “Si trattano bene nei centri di accoglienza” e d) “Ma questo chi è? Quello che smaltisce i vostri rifiuti”.

Nei discorsi d’odio il linguaggio coloniale è duro a morire

Questo campione di post offensivi non solo usa una serie di stereotipi negativi, ma naturalizza anche questo tipo di discorso e rafforza le percezioni imprecise sulle persone nere. In aggiunta, è anche importante spiegare che questi tipi di discorsi non emergono dal nulla. Essi sono in verità il riflesso di un modo di pensare coloniale completamente fuori dal tempo, perché nel XVIII secolo l’ideologia predominante era che gli africani erano inferiori ai bianchi in tutti gli aspetti della vita (ad esempio, bellezza, intelligenza, moralità, civiltà, fiducia, educazione, abilità e così via).

Infatti, questa linea di pensiero aiuta anche a spiegare perché le persone dicono con naturalità, ad esempio, “lavoro in nero” per fare riferimento a un lavoro informale illegale svolto in modo di evadere il fisco. Cioè, in questa espressione, nero è equiparato all’illegalità e questo è abbastanza disturbante, sgradevole da sentire e irrispettoso per le persone nere in Italia.

Esempi di stereotipizzazione negativa

Un altro esempio che segue simili immagini stereotipate negative comprende un post su Twitter nel 2020 che mostra Emma Marrone a fianco il cantante americano Kanye West, in cui un utente ha ipotizzato che per il fatto di essere nero, lui era un uomo affamato incapace di permettersi di pagare per un piatto di cibo. Il post ha trasmesso il seguente messaggio: “Emma offre la cena a un ragazzo nero dopo che quest’ultimo non ha abbastanza soldi per permettersi da mangiare”. Cioè, non riconoscere Kanye West è una cosa che può succedere se la persona non ha familiarità con l’artista. Tuttavia, perché ipotizzare (ancora una volta, anche senza sapere) che per il fatto di essere nero lui è per forza povero e affamato?

A proposito, questo esempio ci ricorda il controverso post pubblicato sui social nel 2017 raffigurante Samuel L. Jackson e “Magic” Johnson come due migranti che non fanno nulla e sprecano i benefici sociali offerti dal governo italiano ai migranti extra comunitari. Dopo che il post è diventato virale, l’autore si è fatto avanti sostenendo che il post doveva essere ironico. Tuttavia, questo non spiega perché i neri sono costantemente soggetti a questo tipo di discorso impregnato di stereotipi negativi, raffigurandoli solo come persone bisognose di sostegni sociali e disoccupati. Perché sarebbe così divertente e ironico?

In questo senso, ci sono studi che rivelano che quando i casi di discorsi d’odio sui social diventano oggetto di articoli di notizie, gli aggressori intraprendono le seguenti azioni: a) cancellano il post, b) cambiano lo status del loro account da pubblico a privato, c) cancellano il loro account sulla piattaforma social o d) affermano che il post doveva essere solo uno scherzo “innocuo”. Pertanto, considerando il caso del post virale che coinvolge Samuel L. Jackson e “Magic” Johnson, esso rientra esattamente in questa categoria, dato che l’autore ha affermato che doveva essere un’ironia “divertente”.

Cambiare pensiero per arginare i discorsi d’odio

In sintesi, è diventato chiaro che il discorso d’odio razzista in Italia è fortemente impregnato di preconcetto e ideologie coloniali antiquate che dipingono le persone nere con una varietà di “colori” che rappresentano per lo più aspetti negativi, sgradevoli, irrispettosi e inferiori. Inoltre, sono anche permeati con una serie di generalizzazioni imprecise che descrivono uomini e donne nere sempre in situazioni di inferiorità sociale, emarginazione, illegalità, incompetenza, fame, criminalità, violenza, stato illegittimo di cittadinanza italiana e così via.

Inoltre, ci sono dati recenti che rivelano che 43,2 milioni di italiani (equivalenti al 71,6% della popolazione del Paese) sono utenti attivi dei social. Ciò significa che questa tecnologia digitale consente alle persone di costruire e diffondere ideologie razziste e discriminatorie che possono raggiungere un vasto pubblico. Insomma, purtroppo, questo scenario rafforza, naturalizza e perpetua una varietà di percezioni sbagliate e antiquate nei confronti delle persone nere in Italia. Quindi, è importante non solo denunciare questo scenario preoccupante, ma anche svolgere diverse azioni educative per evitare che le nuove generazione di ragazzi e ragazze non ripetano questo modello di comportamento e di ideologie razziste.

Luiz Valério P. Trindade 
vive a Roma e ha conseguito un dottorato di ricerca in sociologia presso l’Università di Southampton (Regno Unito). I suoi ultimi libri includono Discurso de Ódio Nas Redes Sociais (Jandaíra, 2022) e No Laughing Matter: Race Joking and Resistance in Brazilian Social Media (Vernon Press, 2020).
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