Lo squalo è una creatura antichissima. Diverse specie erano presenti sulla terra prima dei dinosauri e la selezione naturale li ha trasformati – già 70 milioni di anni fa – nei più grandi ed evoluti predatori dell’ambiente marino. Molto prima dell’uomo, dunque, lo squalo aveva un posto rilevante nella catena alimentare. La sua figura, diversamente dai già citati dinosauri le cui testimonianze sono solo quasi-esclusivamente tracce fossili, risulta essere emblematica. Un essere tangibile nelle memorie dei nostri avi, ma che vive ancora oggi. La sua storia e l’immaginario che è stato creato attorno a questo animale viaggia a cavallo tra scienza, mito e arte.

Lo squalo e la paura: la selacofobia

Tra i vari animali che risultano essere terrificanti per gli esseri umani lo squalo risulta quasi sempre nella terna dei più temuti. I denti aguzzi di questi predatori, il loro rapido modo di nuotare, gli occhi inespressivi, contribuiscono alla creazione di fantasie che possono creare panico. Ciò basterebbe a giustificare un certo timore, ma c’è dell’altro.

Riproduzione di uno squalo martello nella MOSTRA TEMPORANEA DEL MUSEO DARWIN-DOHRN “SQUALI DEL MEDITERRANEO” a Napoli, inaugurata a giugno 2022.
Riproduzione di uno squalo martello nella MOSTRA TEMPORANEA DEL MUSEO DARWIN-DOHRN “SQUALI DEL MEDITERRANEO” a Napoli, inaugurata a giugno 2022.

Innanzitutto, chiariamo che il termine fobia viene dal greco “phobos”, ossia “paura”, ed è un’irrazionale e persistente paura e repulsione di certe situazioni, oggetti, attività, animali o persone, che può, nei casi più gravi, limitare l’autonomia del soggetto, ma che non rappresenta un reale pericolo per la persona. Sembrerebbe dunque impensabile una paura verso qualcosa di estremamente distante da noi (un animale che non abita il nostro habitat artificiale) eppure esiste la paura specifica degli squali: la Selacofobia, il terrore persistente nei confronti degli squali. Questa fobia assale molto spesso persone che, di conseguenza, trovano serie difficoltà nel fare il bagno in mare aperto o a riva, ma anche nel praticare sport acquatici.

Una lettura superficiale del fenomeno e una mancanza di opportune conoscenze, può trarre in inganno e farci chiedere: come si può avere paura di qualcosa di lontano da noi? oltre le caratteristiche fisiche dell’animale che innescano indubbiamente i nostri istinti naturali da potenziale preda (fuga, ansia etc.). esiste intorno alla figura dello squalo una costruzione sociale della paura che sfrutta la fisionomia e il comportamento dell’animale e viaggia nei racconti.

Lo squalo tra arte e scienza

Per le popolazioni antiche del mediterraneo, ma non solo, l’acqua, e ancor più il mare, non era sinonimo di sicurezza. Lo stesso Omero lo definiva del colore del vino, purpureo. Esattamente come la sostanza estratta dall’uva, l’acqua, e in particolare il mare, travolgeva i sensi e trascinava in un vortice di confusione e smarrimento, e in molti casi di morte. Ragion per cui, tutte le creature che vi dimoravano avevano un che di demoniaco: vivevano nell’ombra e nell’oscurità, un luogo “inumano”, cioè non accessibile all’uomo.

Museo Archeologico Nazionale (Naples), inv. nr. 120177, Mosaico di epoca romana
Museo Archeologico Nazionale (Naples), inv. nr. 120177, Mosaico di epoca romana

Anche nei secoli più avanti l’opinione verso le creature del mare non migliorò. Gli avventurieri e i mercanti che viaggiavano per mare riportavano racconti di bestie marine dalle indicibili fattezze, come i serpenti di mare e il kraken. Nei secoli queste testimonianze hanno viaggiato nelle memorie sia attraverso i racconti che le opere d’arte: litografie, quadri, ma anche vasellame e statuine hanno contribuito alla creazione di miti e leggende.

Nonostante spesso nelle rappresentazioni più iconiche il protagonista era una creatura fantastica, alle volte lo squalo veniva rappresentato fedelmente. In ogni caso, le caratteristiche dello squalo possono essere riscontrate in altre creature dell’immaginario dell’epoca. Forte del ritrovamento di enormi denti fossili, il navigante dell’800 tentava di spiegare l’inspiegabile creando figure incredibili. La traversata in mare, già di per sé pericolosa, diveniva con l’introduzione di queste creature, un racconto epico da un lato e una giustificazione della perdita (del carico, degli uomini o della nave stessa) dall’altro nei confronti dell’eventuale committente.

La comunicazione: telegiornali e film

Come accennato precedentemente, la paura dello squalo non è solo relativa alle caratteristiche fisiche e comportamentali dell’animale. Parte dell’idea che noi abbiamo di queste creature è stata veicolata dai mezzi di comunicazione di massa. Nel corso degli anni molti avvistamenti e attacchi di squali agli esseri umani sono stati presentati nei tg e sui giornali come vere notizie di cronaca nera. L’eccezionalità e l’efferatezza della morte – uno dei temi prediletti dalla narrazione giornalistica – ha contribuito alla costruzione dell’immaginario della paura dello squalo.

LO SQUALO FILM JAWS

E proprio con l’uscita di Jaws del 1975 Steven Spielberg la paura dell’ignoto proveniente dagli abissi venne accostata definitivamente alla silhouette dello squalo. Nel corso degli anni, tuttavia, la continua riproposta su schermo di film in cui uno squalo terrorizza i protagonisti ha perso il suo iniziale appeal. Complice la differenziazione dell’offerta cinematografica dell’orrore e del gusto del pubblico, lo squalo cinematografico come emblema del terrore marino è stato in parte esorcizzato. La paura del pescecane, per avere ancora un seguito, ha bisogno di estremizzazioni, follie e mistero.

Il megalodonte, il più grande squalo preistorico mai esistito, ritorna spesso come protagonista e questo è molto interessante dal punto di vista sociologico-culturale: non basta più la straordinaria – e terrificante – bellezza dello squalo in quanto tale, che viene oramai annoverato nel macrocontesto natura, ma c’è bisogno di qualcosa di straordinario e imprevedibile. Chi meglio di una creatura preistorica che cerca di muoversi in un mondo di umani? o un ibrido frutto di un esperimento? A questo proposito diverse case di produzione minori producono ancora oggi pellicole con canovacci simili, “z movies” dalle trame più improbabili.

Comunicazione della scienza

Se nell’immaginario lo squalo è stato sempre una figura pericolosa per l’uomo, la scienza dimostra che, nei fatti, è esattamente il contrario. Per esempio, lo “shark finning” la pratica dello spinnamento degli squali, è una delle cause della diminuzione del numero di specie negli oceani. Le pinne hanno un grande valore nei mercati asiatici, dove costituiscono l’ingrediente principale di una zuppa. A livello mondiale, il paese responsabile del maggior numero di esemplari di squali, razze e chimere pescati ogni anno è l’Indonesia, con un triste record di 110mila tonnellate. Al secondo posto c’è però la Spagna con 78mila tonnellate. All’interno dell’Unione europea, lo spinnamento sarebbe vietato dalla legge, ma negli anni le catture sono comunque aumentate. Gli scienziati tuttavia, si stanno impegnando alla sensibilizzazione sul tema ma anche alla corretta informazione su queste creature e il loro ruolo all’interno dell’ecosistema mondo.

Uno scorcio della mostra sugli squali istituita nella stazione zoologica Anton Dhorn di Napoli

Un esempio di formazione e sensibilizzazione sono i musei di storia naturale e le iniziative dei dipartimenti di biologia marina. In Italia poi, sono prolifiche mostre e iniziative per la valorizzazione del patrimonio marino. Un esempio è la stazione zoologica Anton Dhorn dove, oltre alle normali attività di ricerca e di sensibilizzazione, ospita una mostra temporanea proprio sugli squali. È importante informare e educare all’antropocene per superarlo: passare da una visione egologica a una ecologica è importante non solo per il benessere del pianeta ma può divenire un criterio applicabile ai contesti sociali umani. Essere consapevoli del nostro tempo, della nostra presenza e delle conseguenze che hanno le nostre azioni sul mondo e sulle altre creature può sicuramente dissipare antiche paure, ma soprattutto può generare un altro tipo di umanità, una più sostenibile.

Bibliografia

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