Quasi 5500 miliardi di pezzi di plastica galleggiano nei mari di tutto il mondo. Circa 300mila tonnellate, cinquanta grammi per ogni essere umano presente sulla Terra. Numeri in continua, esponenziale crescita: si stima che nel 2050 il peso delle plastiche in mare supererà quello dei pesci. Queste sono le dimensioni del problema “rifiuti di plastica” nell’oceano. Negli ultimi anni il tema ha conquistato un interesse crescente e in molti – dal Papa all’Onu, dalle stelle di Hollywood alla Commissione Europea – hanno sollecitato attenzione e soluzioni. Per la prima volta, nell’agosto 2016, un gruppo di ricercatori ha percorso il mitico passaggio a Nord Ovest, dalla Groenlandia al Canada Occidentale, per raccogliere dati sulla presenza di plastiche e microplastiche in quel tratto estremo del mare Artico, luogo preziosissimo per la fauna marina. Franco Borgogno, autore del testo “Un mare di plastica” ha partecipato per l’European Research Institute alla spedizione organizzata dal 5 Gyres Institute, ong specializzata nello studio e nella divulgazione sul tema “plastic pollution“. Attraverso il racconto del viaggio e dell’esperienza di ricerca, l’autore aiuta a prendere coscienza del più grave e diffuso inquinamento moderno, illustrando i comportamenti da evitare nella vita di ogni giorno, per non compromettere il mare e il futuro del pianeta.
Il polmone blu del pianeta
Pesca illegale ed eccessiva, petrolio, veleni di ogni tipo riversati ogni giorno nel mare e un mostro, apparentemente inarrestabile e indistruttibile, che si insinua addirittura nella catena alimentare dell’uomo: la plastica. Per affrontarlo, Marevivo ha lanciato a Venezia, a bordo della nave scuola Amerigo Vespucci, la campagna di informazione, sensibilizzazione e conoscenza “Mare Mostro”, realizzata in collaborazione con la Marina Italiana e il CoNISMa (Consorzio Nazionale Interuniversitario per le Scienze del Mare). Ogni anno nel mondo vengono prodotte 280 milioni di tonnellate di plastica e si stima che nel 2050 diventeranno 400. Su questo scenario, si innesta uno studio della Fondazione “Ellen MacArthur”, che prevede che per quell’anno ci saranno più plastiche che pesci in mare. Secondo alcune ricerche, oltre il 10% di plastica prodotta viene gettato in mare, andando ad alimentare il “Mostro”. Dallo sminuzzamento delle plastiche più piccole di un’unghia e confuse per plancton dai pesci, ai grandi vortici oceanici di rifiuti, che formano isole più grandi dell’intero Mediterraneo: sono tra i temi che verranno affrontati da esperti e ricercatori, durante il viaggio della nave.
Un rischio per la salute umana
Poi vanno prese in considerazione le ripercussioni sulla salute umana: le microplastiche, partendo dal plancton, entrano nella catena alimentare e finiscono all’uomo ultimo consumatore; quanto ne potrà sopportare il nostro corpo? Inoltre per modellare la plastica vengono usati additivi chimici, come gli ftalati: “se li conosci li eviti“, recita uno slogan all’interno della mostra, in quanto si tratta di sostanze tra le più tossiche che agiscono sul sistema endocrino e sul metabolismo. “Non ci è consentito di restare in panchina a guardare cosa sta capitando al nostro mare“, spiega Rosalba Giugni, presidente e fondatrice di Marevivo. “Non dimentichiamo che il mare rappresenta il 71% del Pianeta, produce più dell’80% dell’ossigeno che respiriamo e assorbe un terzo dell’anidride carbonica, quando è in buona salute. Questa benefica funzione viene esercitata non esclusivamente per le sue acque salate, ma perché il mare è un organismo vitale, composto da vegetali e animali in un equilibrio dinamico raggiunto in milioni di anni“. A causa delle plastiche è a rischio anche il Mediterraneo, mare semichiuso, che impiega 80 anni per il ricambio delle sue acque, solo superficiali. Nel suo bacino sfociano importanti fiumi, che nel loro percorso raccolgono e trasportano un’enorme quantità di rifiuti plastici.
Una pattumiera marina
In mare, sulle spiagge, lungo le coste. Siamo circondati dalla plastica. In particolare, come emerge dall’indagine Beach Litter 2017 di Legambiente condotta in 62 punti del litorale, risultano 670 rifiuti ogni 100 metri lineari di costa. Al primo posto della classifica dei rifiuti troviamo la plastica, seguono vetro e ceramica, metallo, carta e cartone. E ancora: sacchetti di plastica, shopper e buste. È possibile parlare di mare-pattumiera: c’è da dire che in questo caso non sono tanto in discussione le attività industriali e la stessa pesca, che pure contribuisce al disastro con la cattiva abitudine di gettare in acqua le cassette di polistirolo, ma quanto gli stili di vita. Il 54% dei rifiuti, infatti, sono di origine domestica e gli avanzi di plastica arrivano a mare, o sulle spiagge, perché non facciamo in modo corretto una banale raccolta differenziata. Gli inquinatori siamo noi, agenti consapevoli di una sporcizia che paghiamo tre volte: deturpando bellezze naturali dove magari trascorriamo le vacanze, gonfiando i costi necessari per le bonifiche e perfino mangiando a tavola pesci talvolta avvelenati.
Impossibile da decomporre
Il vero problema della plastica – ciò che rende questo materiale, se non smaltito in modo corretto, un vero nemico dell’uomo – è il suo tempo di decomposizione, biblico: una scatola di cartone scompare in un mese, e un rotolo di carta igienica in sessanta giorni. Ma per un pannolino usa e getta servono 200 anni, per una bottiglia o per uno shopper non ne bastano una quindicina, e per la totale eliminazione di posate di plastica o accendini deve trascorrere un secolo. Sono numeri che da soli dovrebbero indurre a essere più responsabili, riducendo comunque i consumi domestici della plastica ed eliminandola negli appositi contenitori attraverso la raccolta differenziata. Proprio il tempo di decomposizione rende la plastica costosissima da cancellare, più di una bonifica legata a una perdita in mare di petrolio.
Emanuela Ferrara