Contatto diretto, annunci, invio di curricula, canali istituzionali? Nella ricerca di un impiego sono tante le strade da percorrere e l’incontro tra domanda e offerta è sempre frutto di una ricerca multicanale.

Le reti informali di conoscenze

La caccia al tesoro ha quasi sempre carattere informale: nel 2017 si è rivolto ad amici, parenti e conoscenti l’87,3% di chi cercava lavoro (dati ISTAT), quota in aumento rispetto ai livelli precrisi (81,2% nel 2007). Percentuali più basse descrivono altre azioni di ricerca tramite canali ufficiali (70,3% invio curriculum vitae, 29,8% consultazione internet e solo nel 24,2% dei casi ricorso ai Centri per l’impiego). Quando si è raggiunto l’obiettivo? Rivolgersi ai Centri per l’impiego è stato utile nel 2,4% dei casi, essersi proposti direttamente ai datori di lavoro nel 17,4%. Amici e parenti sono stati il tramite più efficace con una quota di successo del 40,7%. Ovviamente si tratta di cifre da leggere insieme ad altri dati per meglio cogliere la complessità dell’argomento, al fine di verificare il grado di soddisfazione per l’impiego individuato e per cogliere le differenze geografiche tra nord e sud o quelle tra livelli di istruzione. Consideriamo un aspetto che emerge in maniera particolare dai dati riportati: il ruolo delle reti informali di conoscenze nella ricerca di un lavoro.

La forza dei legami deboli

In un articolo pubblicato nel 1973 dall’American Journal of Sociology, Mark Granovetter, sociologo a quel tempo docente alla Johns Hopkins University di Baltimora, nell’ambito di uno studio sui legami deboli descrive le dinamiche tipiche sviluppate nella ricerca di un’occupazione. Granovetter suddivide in categorie i legami instaurati nelle relazioni tra individui, ordinandole secondo la frequenza con cui avvengono i contatti:

spesso (almeno due volte alla settimana);
– occasionalmente (più di una volta l’anno ma meno di due volte a settimana);
– raramente (una volta l’anno o meno).

In una ricerca svolta coinvolgendo i lavoratori di un sobborgo di Boston, dimostra empiricamente l’utilità dei legami deboli nelle ricerche di lavoro. Ai partecipanti chiede di indicare la frequenza dei contatti personali con i conoscenti dai quali avevano ottenuto le informazioni determinanti per il reperimento dell’occupazione. I contatti più frequenti (spesso) erano stati utili nel 16,7% dei casi, quelli rari nel 27,8% e ben il 55,6% era la quota di successo raggiunta attraverso gli occasionali. Nella ricerca Granovetter traccia il percorso seguito dall’informazione per raggiungere gli interessati. Verifica che la notizia riportata dai referenti agli interessati nel 39,1% dei casi proviene direttamente dal datore di lavoro, nel 45,3% da un intermediario, nel 12,5% da due intermediari e nel 3,1% da più di due.

Legami deboli: fonti di opportunità

I legami deboli ci consentono di raggiungere molti più contatti indiretti (e quindi informazioni) di quelli che saremmo in grado di stabilire riferendoci solo a relazioni forti. Sono importanti anche per la trasmissione di un bagaglio di idee, influenze e informazioni generali distante da quello condiviso con i nostri interlocutori abituali. Ci consentono di ampliare lo sguardo sul mondo ben oltre quello della nostra cerchia tipica, con la quale tenderemo a condividere informazioni e visioni della realtà già in nostro possesso. Ragionando a priori, essere vicini alla persona in cerca di occupazione dovrebbe comportare maggiore predisposizione nell’aiuto e quindi una più alta motivazione nel riferire informazioni. In realtà, gli individui legati da una relazione più forte non sono nelle condizioni di poterlo fare. Al contrario, chi non fa parte della cerchia più stretta possiede informazioni sconosciute ai contatti abituali. Le notizie che transitano attraverso i legami deboli non raggiungono necessariamente un maggior numero di persone ma ne vengono più facilmente a conoscenza gli individui potenzialmente interessati.

Senso di comunità

Gli intermediari in grado di reclutare nuove professionalità potrebbero anche non essere motivati da legami interpersonali ma da compensi di diverso tipo: bonus aziendali, altri vantaggi personali o semplicemente il desiderio di lavorare con persone gradite. I referenti acquistano una migliore reputazione: dimostrano di essere persone affidabili e utili al reperimento di risorse. Mostrandosi convinti e felici del proprio lavoro, per loro è anche più facile avvicinare un nuovo lavoratore all’azienda. Granovetter riscontra un ricorso maggiore ai legami deboli da parte di persone che mantengono nel tempo una continuità occupazionale. Gli amici prossimi sono più d’aiuto nei confronti di individui con problemi gravi in cerca di un’occupazione immediata. Inoltre, i legami forti interessano di più i giovani, poiché ancora maggiormente legati alla sfera famiglia-amici e meno a quella lavorativa. I legami deboli giocano un ruolo importante nella coesione sociale e creano un senso di comunità, fornendo vantaggiose risorse e opportunità nella ricerca lavorativa e nella mobilità. Nel compiere la ricerca l’individuo spazia tra diverse cerchie di conoscenze e strutture di legami, creando un ponte tra di esse.

Il ruolo dei social

Tutto ciò assume oggi un’ulteriore concretizzazione attraverso i social network, in particolar modo Linkedin. I lavoratori italiani iscritti a Linkedin sono già 11 milioni, quarta community più grande d’Europa. Nel 2017 più del 47% delle aziende europee ha utilizzato almeno un social network (dato Eurostat), con l’Italia, di poco sotto la media, al 44%. Ancora il processo non è del tutto compiuto e frequentemente il ricorso a queste piattaforme è considerato dalle aziende solo un veicolo pubblicitario e non un canale di reclutamento. Sta quindi al singolo utente darsi da fare nella coltivazione di un maggior numero possibile di legami deboli, fisici e virtuali, per tradurli successivamente in opportunità.

Filippo Accordino

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