“La storia di ogni società esistita fino a questo momento, è storia di lotte di classi”.
Così Karl Marx apre le danze al suo Manifesto del partito comunista (1848), che già dai suoi esordi si addice a un tipo di spiegazione causale della storia e delle società che si pongono in evoluzione in maniera conflittuale e, confliggendo apertamente o meno al loro interno, creano delle spaccature (claevages) che dividono le parti in gioco e le pongono in reciproco antagonismo. La teoria dei claevages si deve a Stein Rokkan ed è un tipo di teoria che tende a rivedere la storia in modo non molto dissimile a come fa Marx, così la adopereremo ad hoc per dare ragione del dominio borghese ottocentesco.
Il pensiero di Marx
Innanzitutto, va tenuto presente che il pensiero di Marx va calato nel contesto specifico dell’affermazione della borghesia come soggetto storico dopo la Rivoluzione francese del 1789 in primis, per consolidarsi con la presa al potere di Napoleone successivamente, con l’istituzione dei suoi codici civile (1808) e di commercio (1804); dopodiché nella formazione del giovane Marx confluiscono la lezione di Hegel, cui entra a far parte dei “giovani hegeliani” che faranno di lui un esponente della sinistra hegeliana, e le influenze dei socialisti Proudhon, Saint-Simon e Babeuf.

Marx interpreta (e incita alla lotta verso) la borghesia nei termini di paragone di una classe che, una volta salita al potere (tramite il diritto di voto per censo pensiamo a titolo d’esempio), ha sostanzialmente inneggiato alla libertà e all’autodeterminazione individuale provocando al contempo l’oppressione e la schiavitù collettiva di una classe – quella operaia – che è giunta a “stirarsi” in basso nella stratificazione sociale. Questa diseguaglianza strutturale ha costituto la base per gli interessi di Marx per la storia, nonché per la filosofia della storia di Hegel e la dialettica di quest’ultimo, sostanzialmente capovolta “dalla testa ai piedi”, per mutuare l’espressione di Abbagnano. Il pensiero di Marx si configura così come una revisione dei presupposti hegeliani sulla storia. Questo suo revisionismo si stampa così sul Manifesto del ’48 come una tenace presa di posizione contro ogni divisione della società in, e sfruttamento da parte di, dominanti e dominati.
Da questa concezione della storia deriva, detto in termini estremamente sintetici, il materialismo storico che si configura come una teoria della storia come “storia di lotta di classe” che guarda alla base economica, materiale. Corollario di questa impostazione è una spiegazione della storia e dei fenomeni sociali ad essa connessi (politici, sociali, giuridici, religiosi ecc.) che è da ricondurre allo schieramento delle forze in gioco nei rapporti di produzione della ricchezza: le classi dominanti – durante la sua vita, la borghesia (mentre in precedenza, ossia durante l’ancién regime, prevalevano i nobili e il clero) – e le classi subalterne – il proletariato. Queste divergenze, che per Marx sono strutturali, ossia radicate nella struttura sociale ed invalicabili se non con una rivoluzione, danno adito a una conflittualità endemica che, propagandosi in asse semi-parallela con lo sviluppo delle forze di produzione, darà origine al conflitto finale, ossia la rivoluzione vera e propria. Per questo Marx è ricordato per essere stato un teorico del conflitto (oltre che un rivoluzionario profetico).
La teoria dei cleavages
Per questo e altri motivi, il pensiero di Karl Marx serve per capire la teoria del cleavages di uno scienziato della politica, Stein Rokkan, che si pone in questa direzione. Per riallacciarci a Marx la teoria dei cleavages esprime in politica quello che si manifesta nella società nel suo strato strutturale. Secondo Rokkan, che ha collaborato per le sue ricerche con Seymour Martin Lipset, a seguito delle Rivoluzioni nazionali (francese in primis) e industriale del XIX secolo si sono verificate delle spaccature (cleavages, appunto), potremmo dire delle “divisioni di veduta” tra i nuovi soggetti storici emersi a rappresentare le nuove esigenze derivate dal nuovo ordine economico-sociale. Ciò ha gettato le premesse per una conflittualità endemica, ora aperta ora latente, tra le parti in causa: rispettivamente si parla di cleavages tra: centro vs periferia; Stato vs Chiesa; citta vs campagna; imprenditori vs operai. Quest’ultimo clevage è quello che interessa più propriamente a noi.

La borghesia come soggetto storico
Dalla concessione all’affermazione della libertà d’impresa, fino al suo consolidamento nella giurisprudenza per opera napoleonica, come abbiamo visto, e al suo diramarsi nelle amministrazioni degli stati conquistati (a nulla è servita la Restaurazione politica dei sovrani e della sistematizzazione territoriale in linea con lo status quo ante; forse, a fronte di questa e altre evidenze ci domandiamo: allora aveva ragione Marx?) è stata una condizione che ha posto le basi per la potenza – prima economica, poi politica – della classe borghese; dopotutto, seguendo la scia interpretativa di Marx, ogni qualvolta una classe acquista potere economico, ne richiederà con forza in chiave politica.

L’esperienza marxista dimostra che anche in quel caso è stato così: il potere politico non è stato conquistato gradualmente dalla classe borghese, quanto piuttosto essi, i borghesi, sono giunti al potere con una rivoluzione che ha dato vita un nuovo sistema economico-sociale dando alla luce anche una nuova classe, avuta origine dalla Rivoluzione industriale e dal fenomeno sempre crescente dell’inurbamento dalle campagne alle città. A questo va aggiunto che il costituzionalismo moderno era incrinato dal principio di volontà popolare che a seguito delle costituzioni octroyées, cioè “concesse” dai sovrani, aveva leso in qualche modo le certezze della borghesia di conservare il “voto per censo” che vedeva questa classe detenere il potere politico in competizione con le forze allora conservatrici della destra. Fu questo momento di transizione politica che sconvolse le sorti dei parlamenti, incasellando la borghesia nella nuova classe conservatrice del secolo XIX, progressivamente spinta a destra dalla nascita e dal fermento dei movimenti operai.
L’esperienza della sociologia storica
Questa sottodisciplina della sociologia che si occupa di indagare il mutamento delle società umane in prospettiva diacronica è in grado di arricchire il dibattito sulla lezione di Marx e sui contributi offerti da Lipset e Rokkan in chiave politica. D’altronde la scienza politica, unita alla sociologia e al metodo storico-comparativo introdotto in sociologia da sociologi veri e propri come Max Weber (non che Marx non avesse questo status, ma egli viene ricordato più che altro per la carica rivoluzionaria, nonché profetica, della sua teoria, quindi più da filosofo che altro), ha ormai un consolidato rapporto come istituzione accademica nel panorama delle scienze sociali. Per questo l’esperienza di questo ramo della sociologia è imprescindibile per costruire una qualsivoglia teoria del mutamento sociale che meriti di essere posta sul podio della scientificità e della meticolosità metodologica.