Max Weber è stato tra gli autori che più hanno influenzato la sociologia nel XX secolo nonché tra le personalità che hanno contribuito a istituzionalizzare, diffondere e definire il metodo della disciplina sociologica. Nato nel 1864 a Erfurt, in Germania, fu docente di economia politica, uomo di grande erudizione e di vastissima cultura personale, in particolare attento e interessato a ciò che riguarda la storia, la politica, l’economia e la sociologia. Durante gli anni della guerra partecipò a diverse questioni diplomatiche ma soprattutto fu presente a Versailles, quando furono patteggiate le condizioni della pace, come esperto in questioni economiche della delegazione tedesca. Un elemento importante della sua biografia fu l’esaurimento nervoso che lo costrinse a abbandonare ogni attività intellettuale tra il 1897 e 1901. Morì a Monaco di Baviera nel 1920.

Il concetto di Verstehen

Weber definiva la sociologia attraverso il concetto tedesco di “Verstehen”, come una scienza comprendente la quale quindi “si propone di intendere, in virtù di un processo interpretativo, l’agire sociale dotato di senso e spiegarlo causalmente nel suo corso e nei suoi effetti“. L’oggetto della sociologia weberiana, pertanto, è l’agire sociale dotato di senso, definito come quell’agire in cui si è consapevoli della presenza degli altri a cui gli attori attribuiscono un senso soggettivo, che il sociologo deve comprendere e successivamente spiegarne le cause in modo simile alle altre scienze. L’idea di Weber è che tuttavia per i fenomeni umani non è possibile rintracciare una spiegazione esaustiva. La realtà sociale rappresenta un tessuto a maglie infinitamente fitte e estese, “un’infinità priva di senso” e comprende una molteplicità di fattori e una multi-dimensionalità di cause tale che risulta impossibile stabilire in modo univoco quali fenomeni determinino altri. Il sociologo, per analizzare la società, può operare una selezione di nessi causali, influenze e condizioni, che riguardano un certo fenomeno dal proprio punto di vista e secondo i propri orientamenti senza però compromettere l’oggettività del suo costrutto, la quale è garantita dall’avalutatività del proprio lavoro, ovvero nel saper omettere giudizi di valore rispetto ai fenomeni che studia. Successivamente deve valutare gli elementi selezionati per verificare la loro capacità di essere sintesi della realtà esaminata.

Con questa impostazione di metodo nella sociologia weberiana avviene un importante ricongiungimento tra le cosiddette “scienze dello spirito”, caratterizzate da un metodo idiografico, e le “scienze naturali” di tipo nomotetico separate in precedenza sul piano metodologico e conoscitivo da Dilthey, per cui le prime potevano solo tentare di interpretare e comprendere il mondo ma non dare una spiegazione oggettiva e valida, che poteva offrire solo il campo delle scienze naturali.

Gli idealtipi e i diversi tipi di azione sociale

Lo strumento principale della sociologia sono per Weber gli idealtipi: dei costrutti ideali costruiti tramite l’estrapolazione di caratteristiche ricorrenti e comuni in molteplici casi singoli che servono allo scienziato sociale per comprendere la realtà e orientarsi in essa.
Nella sua opera “Economia e Società” del 1904, distingue nell’infinita delle azioni sociali 4 idealtipi di agire sociale:

– l’agire razionale rispetto allo scopo. Il tipo di agire nel quale il soggetto ha uno scopo chiaro e organizza razionalmente i propri mezzi per conseguirlo, in rapporto alle possibili conseguenze. È quell’agire alla base del capitalismo;

– l’agire razionale rispetto al valore. L’agire orientato dall’incondizionato valore in se dell’azione, talvolta senza tener conto delle conseguenze;

– l’agire affettivo. Il tipo di azione dettato dalle emozioni, dall’umore e dai sentimenti.

– l’agire tradizionale. Quelle azioni messe atto in base ad un’abitudine o una consuetudine.

Weber osserva come nella società moderna si assista ad un crescente predominio dell’agire razionale rispetto allo scopo, con conseguente decadenza delle azioni orientate ai valori, che definisce “razionalizzazione”.

Le origini del capitalismo

Nel suo modo di procedere, Weber specifica i vincoli di affinità e compatibilità che esistono tra i fenomeni propri di un ambito e quelli propri di altri ambiti, o viceversa gli effetti bloccanti dovuti all’inesistenza di tali vincoli. Si interessa in particolare a spiegare come mai il capitalismo sia nato e si sia cominciato a diffondere a partire da una determinata area sociale e culturale dell’Europa. Ne “L’etica protestante e lo spirito del capitalismo” rintraccia la genesi di questo fenomeno in una disposizione culturale propriamente occidentale che ha tra le concause proprio la religione protestante e nello specifico la corrente calvinista: per Weber la predestinazione delle anime ha portato l’individuo ad una condizione psicologia in cui si cerca ogni segno che possa venire a conferma del proprio destino nella dedizione al lavoro che assume pertanto un significato sacro per cui la professione e il guadagno continuo rappresentano la vocazione di ogni credente. Una volta avviato, il capitalismo nel suo sviluppo tende a perdere i propri fondamenti culturali e a diffondersi in modo meccanico, quasi per forza di inerzia.

Valerio Adolini

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