Nel sistema capitalistico, il motivo che spinge la manodopera a lavorare così duramente e le modalità di negoziazione degli interessi di dipendenti e dirigenti sono questioni che il sociologo anglo-americano Michael Burawoy ha affrontato adottando un quadro di riferimento teorico di stampo marxista.

Tra coercizione e consenso

Secondo Burawoy, gli interessi della manodopera e del capitale sono in netta opposizione, ma la moderna gestione aziendale è attualmente orientata a far convergere il consenso dei lavoratori verso una maggiore produttività. Burawoy rifiuta la visione di Marx secondo la quale gli operai sono semplicemente sfruttati e costretti a lavorare al massimo delle loro possibilità. Con l’affermazione dei sindacati e delle organizzazioni dei lavoratori, il ricorso al potere da parte dei dirigenti – che un tempo prendeva la forma di soprusi ai danni dei dipendenti – si è notevolmente ridotto. All’interno di ogni organizzazione convivono sia forme di coercizione sia di consenso: ciò che è cambiato sono le proporzioni relative e le modalità di attuazione. Oggi, i dirigenti cercano di esercitare il controllo sui lavoratori mediante la creazione di rapporti sociali restrittivi e  strutture aziendali che favoriscono l’illusione della scelta, ma che in ultima analisi hanno la funzione di occultare e perpretrare i rapporti di potere impari.

I giochi di produzione

Burawoy lavorò in una fabbrica chiamata Allied Corporation, dove condusse una ricerca sulla sua teoria dei giochi di produzione che si svolgevano all’interno dell’ambiente di lavoro, come la contrattazione collettiva (la negoziazione del salario e delle condizioni di lavoro), la promozione della mobilità interna dei lavoratori e un sistema di retribuzione a cottimo, che prevedeva un aumento del salario in caso di superamento della quota di produzione prevista. Si tratta di un sistema che secondo Burawoy favorisce l’illusione che il lavoro sia un gioco: i lavoratori diventano giocatori che partecipano a una gara di making out, che prevede il superamento delle quote di produzione fisse. La soddisfazione sul lavoro è garantita dalla padronanza delle intricate e spesso subdole strategie informali che consentono al dipendente di primeggiare nel gioco in diverse condizioni di produzione. Burawoy afferma che questi giochi non sono da interpretare come tentativi di ridurre lo scontento sul lavoro o di opporsi alla dirigenza, poiché spesso i dirigenti di fascia più bassa aumentano le file dei partecipanti, contribuendo al consolidamento delle regole di gioco. La partecipazione ai giochi di produzione, al contrario, crea consenso tra i lavoratori sulle norme che ne costituiscono il fondamento e, dato forse più importante, sull’assetto dei rapporti sociali (proprietari-manager-dipendenti) alla base delle norme stesse. Inoltre sia i manager sia i lavoratori sono coinvolti nel gioco, vengono oscurati i numerosi interessi antagonistici che definiscono i rapporti sociali tra le due categorie, limitando i conflitti al minimo. Secondo Buroway, questi metodi di produzione e conseguimento della cooperazione e del contesto mostrano una migliore efficacia delle misure coercitive del primo capitalismo. L’opera di Buroawoy ha ispirato molti studi successivi, tra cui le ricerche dei pensatori sociali Paul Blyton e Stephen Ackroyd, incentrati sull’opposizione e la coercizione nell’ambiente di lavoro.

Gianni Broggi

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