Le migrazioni sono un fenomeno sociale globale che attraversa la nostra società e la sta trasformando, mettendo in discussione diversi fondamenti impliciti del patto di convivenza.

Se è vero che fin da prima delle nazioni moderne il nostro stare assieme si basava su una solidarietà tra simili derivante dall’idea di una comune tipologia di appartenenza (geografica, etnica, linguistica e religiosa)[1] è altrettanto vero che, come ci ricorda Benedict Anderson nel suo testo Comunità immaginate, il senso di appartenenza a una comune identità e la coesione interna della comunità, devono fondarsi necessariamente sull’immaginazione delle persone che permette loro di percepirsi come membri di quel gruppo[2].

Prima dello stereotipo e del giudizio

A questo si accompagna il più delle volte la distinzione dagli estranei, che diventa più difficile e controversa quando costoro si insediano sul territorio nazionale in veste di immigrati. Questo primo passaggio risulta essere il prodomo dell’immaginario dell’immigrato. Ancor prima del giudizio e dello stereotipo è possibile riscontrare:

  • la consapevolezza da parte dei membri della comunità “ricevente” dell’irregolarità nel valicare i confini dei migranti che viene vista non solo come una violazione della legge dello stato ma come una violazione di proprietà esclusiva (sono entrati nel “nostro” territorio).
  • la volontà dei migranti di voler entrare in contatto con un gruppo consolidato viene anch’essa considerata una violazione, ma di tipo diverso. Le dinamiche di gruppo vengono messe in crisi, si attuano delle azioni a protezione della comunità che viene percepita come violata nell’intimo. Inoltre, l’idea di un cambiamento non voluto, non desiderato, teso all’integrazione di uno o più soggetti portatori di una realtà e di una cultura proprie che non si conoscono, assume una connotazione il più delle volte negativa e strumentale (se proprio li dobbiamo accogliere almeno facciano questo).

Chiariamo cosa sia lo straniero

Tuttavia è bene chiarire che lo straniero non deve essere inteso solo nel senso classico del termine, ossia il viandante, che “viene oggi e domani se ne va”, ma come l’individuo che “viene oggi e poi domani rimane”. A tal proposito Georg Simmel parla del viaggiatore potenziale, il quale, nonostante non abbia continuato a spostarsi, non ha ancora superato del tutto quel sentimento del distacco proprio di colui che arriva e riparte[3]. Lo straniero è altresì un elemento del gruppo stesso, non diverso dai poveri e dai numerosi “nemici interni” che vengono percepiti.

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Sono un elemento la cui posizione immanente e di membro comunque presente nella definizione di una società che include contemporaneamente lo stare “al di fuori” e “di fronte” a uno o più gruppi. Grazie a questa prospettiva si può capire come le migrazioni rappresentino un osservatorio privilegiato da cui scrutare molti risvolti della società contemporanea: dal funzionamento delle reti sociali all’attribuzione dei diritti di cittadinanza, vero terreno di battaglie dopo la questione razziale[4] (solo per citarne due).

Studiare le migrazioni obbliga a uno sforzo di riflessività

Studiare le migrazioni obbliga – studiosi e non – a uno sforzo di riflessività, a interrogarsi e a ragionare sulle lenti interpretative con cui osserviamo la realtà. Andare a indagare con le interviste le storie e i racconti di vita è una componente necessaria per capire a dovere questa tipologia di fenomeni. Come sosteneva il filosofo Wilhelm Schapp noi siamo irretiti nelle storie, siamo letteralmente biografie individuali che si intrecciano con altre biografie individuali che a loro volta ci consentono il co-irretimento in biografie collettive[5].

Cos'è l'autoalimentazione del flusso migratorio?
Cos’è l’autoalimentazione del flusso migratorio?

Detto in altri termini, ogni storia ha, nella sua dimensione fattuale di emersione, una risonanza collettiva poiché il suo orizzonte coinvolge più soggetti. Narrare un esperienza non solo consentirebbe di capire l’altro ma aiuterebbe, in via potenziale, la creazione di politiche attive per il dialogo tra culture e la convivenza oltre che una perpetua riflessione e ri-scoperta delle metodologie, le tecniche e le teorie che fanno parte della cassetta degli attrezzi del ricercatore.

Studiare i contatti fra le culture

Studiare le migrazioni è studiare i processi di contatti tra culture ma per farlo a dovere, con lungimiranza, bisogna scavare nel profondo dei fenomeni. Bisogna prendere in considerazione le modalità di interazione tout court[6] partendo dalle motivazioni del viaggio e le aspettative dopo quest’ultimo (ricerca delle proprie radici, di un lavoro, un cambio di vita, fuga dalla guerra, etc.) e dall’immaginario a esso legato. Tra immagini, pensieri, domande e sensazioni, la direzione verso la meta reale si incrocia con l’agognata meta dell’essere, attraverso le immagini di uno scenario in cui sogno e realtà si inseguono.

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L’identità va modificandosi dalla partenza all’arrivo, ma soprattutto nel viaggio: determinare la propria unicità in riferimento a una pluralità di contesti, sensazioni e pubblici. Questa è una possibile dimensione da cui partire per comprendere tanto i vecchi quanto i nuovi flussi migratori che avverranno negli anni a venire.


Riferimenti Bibliografici

[1] Kymlicka W. (1999) La cittadinanza multiculturale, Il Mulino, Bologna.
[2] Anderson B. (1996) Comunità immaginate, Manifestolibri, Roma.
[3] Cotesta V. (2012) Sociologia dello straniero, Carocci, Roma.
[4] Rodotà S. (2013) Il diritto di avere diritti, Laterza, Bari.
[5] Schapp W. (2017) Reti di storie. L’essere dell’uomo e della cosa, Mimesis, Milano.
[6] Ambrosini M. (2009) Migrazioni e società. Una rassegna di studi internazionali, FrancoAngeli, Milano.

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