Nell’attuale società occidentale esiste una netta distinzione tra il lavoro retribuito e il lavoro domestico e familiare (solitamente non retribuito), di cui fanno parte quelle attività come pulire, lavare, cucinare, curare i figli, educarli quando sono svolte da genitori o altre figure familiari su base affettiva e gratuita. Nel moderno sistema economico, uomini e donne non occupano le stesse posizioni all’interno del lavoro retribuito. A partire dagli anni Settanta e almeno per i successivi trent’anni, una serie di studi specifici sulla vita delle aziende – in quanto istituzioni riproduttrici delle differenze di genere – ha permesso di stabilire che il mercato del lavoro è una struttura cruciale delle disuguaglianze tra uomini e donne. Una delle migliori ricerche in questo settore fu quella condotta da Miriam Glucksmann in Women on the Line (1982), in cui viene ricostruita la vita di fabbrica in cui vige una rigida divisione di genere.
C’è ancora discriminazione?
Solitamente le donne svolgono solamente lavori di routine mal pagati, mentre gli uomini percepiscono un salario più alto. Eliminate le disuguaglianze su un piano formale, esiste tutt’ora un dibattito su quegli ostacoli invisibili che impediscono alle donne di raggiungere le posizioni di maggiore prestigio nelle aziende. Da un’inchiesta condotta nel 1995 negli Stati Uniti, risultava che i principali dirigenti delle maggiori aziende americane fossero nel 97% dei casi bianchi e tra il 95-97% dei casi uomini. Di tutte le aziende prese in esame nell’inchiesta, solo due avevano delle donne come amministratori delegati. Tali dati sono sinonimo di una situazione nella quale diverse barriere impediscono l’accesso delle donne a posizioni professionali apicali. Tali barriere derivano soprattutto dalle varie forme di discriminazione, messe in atto dagli uomini che sono al potere.
Il potere nella famiglia
Oltre vent’anni fa Thompson e Walker (1989) evidenziarono che in qualsiasi modo venga rilevata la divisione domestica del lavoro, risulta sempre squilibrata a svantaggio delle donne. La maggior parte dei ricercatori hanno spiegato questo fenomeno in relazione al potere che la donna riveste nell’ambito familiare; meno potere hanno le mogli all’interno del matrimonio, ed è più probabile che i loro mariti si occupino poco di attività domestiche, familiari e di cura. In secondo luogo, si è osservata una scarsa connessione fra il numero di ore che le donne dedicano al lavoro retribuito e la quantità di lavoro familiare svolto dai mariti. Inoltre, quasi tutti gli studi rivelano che entrambi i coniugi riconoscono una situazione di ineguaglianza, ma che non la ritengono ingiusta. Contrariamente a quanto si crede, invece di sentirsi penalizzate da questa situazione, le mogli sembrano essere soddisfatte o rassegnate.
L’economia della gratitudine
Ci sono diverse ipotesi che possono spiegare l’approccio tollerante delle donne. La prima indica come causa le differenze di genere nei bisogni e nei valori: le donne spesso condividono il principio che gli uomini possano impegnarsi meno nei compiti familiari e più in quelli retribuiti. L’altra spiegazione rileva come le donne siano scontente della discrepanza fra quello che ricevono da loro lavoro e i criteri di valutazione che usano; le donne ad esempio, si attribuiscono una retribuzione minore rispetto agli uomini, senza alcun motivo apparente. L’ultima ipotesi è quella della giustificazione, che vede le donne addirittura riconoscere l’inferiorità del proprio lavoro e delle relative retribuzioni. I criteri di confronto, infatti, sono essenziali per determinare quello che una persona pensa di meritare. Gli uomini e le donne hanno una diversa concezione del merito e una diversa concezione di ciò che hanno. È più probabile che donne e uomini confrontino il loro lavoro o la loro retribuzione con persone delle stesso sesso e non le une con gli altri. Facendo ciò, le disparità vengono a dissolversi. Inoltre norme profondamente radicate che vedono perpetuare la distinzione tra madre/casalinga e padre/capofamiglia possono produrre un forte senso di disagio quando ci si discosta troppo da esse. L’adesione alle norme tradizionali fa emergere quella che Hochschild e Machung definiscono l’“economia della gratitudine”. La maggior parte delle mogli prova gratitudine nei confronti dei mariti per qualsiasi aiuto nelle faccende domestiche o nella cura dei figli, più di quanto i mariti non provano nei confronti delle partner. La giustificazione viene usata qui per legittimare la distribuzione iniqua del lavoro, poiché si finisce per giustificare i procedimenti che l’hanno prodotta.
Lo Stato e il mondo del lavoro
Secondo Ferree (1990) ciò che è davvero importante è il significato che assumono i redditi femminili: sebbene nel corso degli anni vi sia stata una forte crescita della forza lavoro femminile, la maggioranza delle lavoratrici guadagna solo una piccola frazione delle entrate del marito. Le donne che invece riescono ad avere redditi pari o superiori ai mariti, ricevono più aiuti e si sentono in diritto di chiedere maggiore assistenza. Negli anni Ottanta si era imposta l’ipotesi che lo Stato fosse un’istituzione patriarcale, uno strumento del potere maschile. Esistono varie ragioni per ipotizzarlo. Lo Stato al suo interno ha un regime di genere ben distinto dove vige un forte divisione nella sfera lavorativa: lo Stato è il centro delle relazioni di potere di genere e non si limita a regolare quelle già esistenti, ma contribuisce a creare altre relazioni nuove e a formare le identità di genere.
L’Organizzazione internazionale del lavoro, la Società delle Nazioni, la Banca mondiale, il Fondo monetario internazionale e altre, che collegano tra loro stati territoriali senza tuttavia avere una loro base territoriale. Essendo organizzazioni intergovernative, dovrebbero condurre ufficialmente una politica equa e diplomatica; ma ciò non accade. Nella gran parte dei casi i loro regimi sono orientati in base al genere, producono effetti di genere come aumentare l’antagonismo già esistente tra donne e uomini.
Elena Salvini