Sino agli anni Sessanta del secolo scorso, la prospettiva teorica con la quale si guardava al rapporto tra individui e la montagna – ma anche più genericamente all’ambiente – seguiva la corrente del determinismo ambientale (Amendola, 2008), secondo cui le caratteristiche fisiche e costruite di un’area avevano un impatto sostanziale sulla psicologia dei suoi abitanti e ne influenzavano l’agire sociale; in conseguenza, architetti e progettisti si chiedevano come potessero controllare il sociale con il proprio intervento con interventi volti a enfatizzare le proprie capacità di ingegneria sociale e a omogeneizzare bisogni fisici e psicologici dell’uomo (Bazzoli, 2018).
La standardizzazione dei differenti bisogni umani e la loro omologazione presuppone la messa a disposizione di una serie di indicazioni sul corretto uso del luogo ricreato. Si noti come tale tipizzazione dell’utente comporti, in conseguenza, anche una tipizzazione dell’ambiente dove sorgono le strutture per tali utenti: si predetermina in qualche modo il rapporto tra l’abitante – o il passante – di – o in – un luogo e il luogo stesso (Baird, Jencks, 1993).
Estetica e sostenibilità della montagna
Se nelle aree montane, durante il secolo scorso, si poneva particolare attenzione alla funzionalità e alla resistenza, il progettare odierno include altri fattori quali l’estetica e la sostenibilità ambientale, per rispondere tanto alle esigenze climatiche quanto a quelle dei soggetti locali e cittadini.
La condizione stessa di sottoutilizzo o disuso nella quale si trovano molti edifici delle terre alte mette in luce tale mutamento di bisogni dei singoli individui, evidenziando una trasformazione del tessuto sociale intrecciato tra città e montagna. Non solo, il fenomeno sottolinea la necessità di adattare gli spazi alle tendenze e orientamenti odierni di approccio alla montagna.
Se gli abitanti (di prime o seconde case) e i turisti hanno la capacità di accettare, rifiutare o trasformare lo spazio costruito, i cambiamenti sul territorio che essi abitano e frequentano possono essere accolti o respinti, determinando il successo o il fallimento del progetto stesso. Si intuisce come non tutti i soggetti nutrano una medesima visione dello spazio presente e progettato, e come, proprio da tale differenza, possano spesso nascere dei conflitti territoriali.
Co-costruire il paesaggio
Inoltre, se è vero che, negli ultimi decenni, gli individui, i gruppi e le categorie sociali hanno “acquistato un’inedita centralità, divenendo il focus di un’attenzione progettuale che guarda con crescente attenzione alle esigenze delle persone per le quali costruisce” (Bazzoli, 2018), allora la realizzazione di abitazioni di lusso, infrastrutture ricche in servizi e impianti sciistici – nonché la loro numerosità – devono rappresentare l’esistenza di una domanda da parte di una classe sociale con status medio-elevato, presente e diffusa sul territorio montano, pronta a usufruire di tali servizi.
Come sottolineato da Buijs, social demand for landscape is growing and there is a shift from a functional image of nature and landscapes to a more hedonist image (Buijs et al., 2006). Se ogni individuo non agisce secondo la realtà oggettiva, ma secondo la propria idea, proprio tale percezione del paesaggio è ciò che spinge i soggetti ad agire coerentemente con la rappresentazione che si sono creati (Rimbert, 1973).
Dunque, sono i soggetti stessi che, attraverso le proprie rappresentazioni, costruiscono e de-costruiscono il paesaggio quanto basta per renderlo coerente con le proprie percezioni. In questo modo, quando la montagna diventa luogo di piacere – edonistico – azioni, progetti e comportamenti degli individui sono subordinati a quest’idea.
Tuttavia, risulta necessario chiedersi se tali interventi stiano andando o meno nella giusta direzione.
Mutazioni della densità sociale nelle terre alte
Soprattutto nel presente e, quasi sicuramente, nel futuro più prossimo, è importante descrivere i luoghi in termini di densità sociale, distanze, affollamento o rischi per la salute pubblica. È la pandemia stessa a creare una nuova lente per guardare allo spazio pubblico (Honey-Rosés et al., 2020). Inoltre, l’emergenza sanitaria e le nuove necessità da essa derivate – contatto con la natura, aria pulita, tranquillità, silenzio – hanno sottolineato le già esistenti problematiche legate al consumo di suolo, all’inquinamento atmosferico e acustico, ma anche alla privatizzazione degli spazi.
Le politiche economiche neoliberiste hanno prodotto un’impennata nella privatizzazione dello spazio pubblico, spesso apparentemente per uso ‘pubblico’, ma come luoghi di consumo. Dunque, anche la realizzazione di impianti funiviari, stabilendo un determinato uso del territorio, privatizza in qualche modo questo spazio naturale ‘pubblico’ rendendolo spazio collettivo solo in orari e giorni stabiliti. Acquistando popolarità e attraendo turisti da tutto il mondo, questo spazio rappresenta un centro d’incontro e di consumo, ed è quindi assimilabile a un iper-luogo.
Massificare la frequentazione della montagna
Tuttavia, anche se vissuto con valenza positiva, tale spazio accoglie l’individuo solo come fruitore e cliente. Ciò si nota particolarmente al momento della chiusura, quando le stazioni sciistiche si svuotano e gli impianti si fermano: il territorio sul quale sorgono – privato delle proprie caratteristiche precedenti – si mostra come contenitore anonimo, un non-luogo, senza identità, senso e storia, eppur estremamente attrattivo a livello turistico. A tal proposito, lo storico dell’alpinismo Alessandro Gogna scriveva
Grandi non-luoghi posseggono ormai la medesima attrattività turistica di alcuni monumenti storici. […] Si va alle Tre Cime di Lavaredo con la stessa religiosa devozione con cui i cattolici vanno a San Pietro, i musulmani alla Mecca, i giocatori d’azzardo a Las Vegas, i bambini a Disneyland o Gardaland, le famiglie all’Auchan il sabato pomeriggio. Questo tipo di gita, oggi, è sempre più diffuso. (Gogna, 2016)
L’aumento della numerosità dei praticanti e delle offerte – immobiliari, di attrezzature, di attività – in montagna si è osservato negli ultimi anni, stagione dopo stagione.
A massificare la frequentazione della montagna hanno contribuito le nuove tecnologie: dallo sfoggio di foto con panorami e vette alla diffusione di video sui social, dalla facilità con cui si possono reperire informazioni e relazioni sulle condizioni nevose di un sentiero o di una pista alle numerose recensioni sulle esperienze vissute ad alta quota. Se è pur vero che questa apertura di massa riduce in qualche modo il fascino e il piacere della contemplazione e dell’avventura, essa potrebbe anche diventare – se ben governata – una solida base sulla quale costruire e comunicare un nuovo tipo di offerta turistica, orientata verso un equilibrio tra ecosistema, abitanti e turisti (Lavarra, 2020).
L’arrivo della pandemia, poi, non sembra aver rallentato questo fenomeno; al contrario, proprio il settore montano ha subìto le perdite inferiori (-0,4% nel 2020 rispetto al 2019). Occorrono qui due precisazioni. La prima, riguarda la definizione di ‘turismo di massa’: esso non è legato ai grandi numeri (Valentini, 2021), ma è un concetto culturale che rappresenta un modo di approcciarsi al territorio, di riconoscerlo e di apprezzarlo. La seconda, sottolinea una certa difficoltà nello stabilire se siano gli individui a condizionare l’offerta o, se, al contrario, sia proprio quest’ultima a determinare una certa affluenza di persone verso luoghi specifici ed impostati.
L’allontanamento dalla dimensione urbana
Certamente, molti individui ricercano sulle montagne le stesse comodità della vita urbana; ma è anche vero che, soprattutto dopo l’arrivo della pandemia, si è andata sviluppando una tendenza verso la ricerca del piccolo, basata sulla volontà di allontanarsi dai luoghi affollati, di respirare aria pulita e ascoltare i suoni della natura senza i rumori della città. Se a rispondere al primo tipo di domanda è l’offerta turistica tradizionale con una proposta variegata e costruita, a rispondere al secondo tipo è quello che viene definito ‘turismo dolce’, finalizzato alla valorizzazione dell’esistente (Valentini, 2021).
A fronte di un cambiamento climatico che rende sempre più difficile sciare, numerosi sono gli esempi di località montane che hanno modificato il proprio modello di sviluppo turistico guardando al futuro. Tra queste, si ricorda la località piemontese di Ostana, nel cuneese, che ha reso seducente il territorio con una narrazione accattivante, vedendo crescere progressivamente il numero di abitanti, di servizi e di attrattività. Un altro esempio è Recoaro Mille, in provincia di Vicenza, che dal 2016 ha chiuso tutti gli impianti sciistici per proporre offerte di divertimento alternative, anche di stampo culturale ed educativo. Anche il comprensorio sciistico del Monte Dobratsch, in Austria, ha deciso di cambiare rotta, trasformandosi in parco naturale, smantellando, nel 2002, tutti gli impianti sciistici del territorio.
La montagna e l’economia locale
Tali riconversioni non hanno compromesso l’economia locale come ci si poteva attendere, ma, al contrario, hanno creato nuovi posti di lavoro favorito il sorgere di punti vendita, generando un discreto indotto. Venendo a mancare la necessità di garantire un innevamento artificiale, si riduce in conseguenza il dispendio idro-energetico prima molto elevato. Non solo, uno degli aspetti più importanti di questo cambiamento è costituito dal fatto che la neve non costituisca più un elemento condizionante all’offerta turistica. Il sistema economico montano legato allo sci, infatti, è indiscutibilmente molto fragile: inizialmente assimilato come attività integrativa, dagli anni Sessanta rappresenta quella che Lacasella chiama “monocoltura” e identifica come causa alla compromissione dell’indipendenza economica di un territorio montano (2021).
Lo stesso Lacasella sottolinea come, continuando ad adottare una politica di turismo tradizionalista e non al passo con i tempi, i flussi di turisti possano migrare in quelle valli “che hanno saputo pianificare l’offerta senza prostituirsi” (2021).
Parole che sembrano rispecchiare quanto già avviene in valli come la Val Maira, nelle Alpi piemontesi occidentali. Definita come ‘caso straordinario di intuizione turistica’, questa valle occitana presentava prima tutte le caratteristiche ‘negative’ che portano allo spopolamento delle aree montane – freddo, mancanza di servizi, agricoltura di sussistenza, isolamento, pendii irti, collegamenti difficili – contando pochissimi abitanti e un afflusso turistico pari allo zero.
Negli ultimi due decenni, grazie al lavoro di alcuni residenti esterni che hanno deciso di tornare, ristrutturare gli edifici e ripopolare i negozi, è nato il progetto Consorzio Turistico Valle Maira, che ha sviluppato un modello turistico basato sulla pace e la tranquillità, con un paesaggio caratterizzato dall’assenza di impianti sciistici e tradizionali case in pietra e legno, basato sulla conservazione di ampie distese di neve adatte per ciaspolare e praticare scialpinismo. Tale modello ha riscontrato grande successo, in particolare tra i turisti stranieri – svizzeri, austriaci e tedeschi, inglesi e olandesi – ma, anche, tra i vicini valdostani che arrivano dalle località più rinomate della Regione.
La montagna e la decrescita di Latouche
Sai da dove viene gran parte delle Guide Alpine che frequenta la Val Maira, soprattutto d’inverno? Da Chamonix e Courmayeur: loro, che hanno a portata di mano il Re delle Alpi, il Monte Bianco, spesso portano i loro clienti qui da noi, per fargli respirare le atmosfere della montagna autentica. (Dalla Palma, 2020)
Tale negazione di uno ‘sviluppo turistico a ogni costo’ richiama il concetto di decrescita di cui parla Latouche, inteso non come regressione, ma come volontà di cambiamento (1993). Inoltre, la definizione stessa di ‘progresso’ non presenta confini netti; ma, al contrario, è spesso rappresentazione di una politica inadatta al territorio. Il poeta veneto Andrea Zanzotto esemplifica tale condizione con il concetto di “progresso scorsoio”: un progresso che, come il nodo, si strozza nel realizzarsi. In tal senso, evidente risulta la necessità di sviluppare una tipologia di offerta idonea alle attuali esigenze ambientali (2020).
Tuttavia, se, come sosteneva Alex Langer, molti “vogliono tornare alla natura, ma non a piedi”, i due tipi di domande sopra citati possono talvolta fondersi: così, prendendo a esempio la Val d’Ayas, si nota una vecchia colonia che un tempo accoglieva gratuitamente i bambini diventare un confortevole residence di lusso, un hotel spartano a conduzione famigliare essere riconvertito in eleganti chalets eco-friendly, una vecchia cabinovia diventare un impianto funiviario all’avanguardia con variegati servizi a disposizione del cliente e lunghe piste da sci, un palazzo del ghiaccio non più utilizzato trasformarsi in un luogo di benessere e relax.
La natura come ricchezza
Il turismo tradizionale e quello dolce viaggiano paralleli a questa nuova forma di avvicinamento alla montagna e alla natura, destinata a una classe specifica di individui. A filtrare tali domande sono, infatti, le condizioni socio-economiche dei soggetti, le quali costituiscono elemento distintivo, sancendo la possibilità o meno di accedere alle località e alle infrastrutture più prestigiose.
Nel novembre del 2021, Giacomino scriveva, sul giornale La Stampa, di una trasformazione delle Alpi in un “safari bianco per ricchi”, dopo la presentazione di una proposta di legge regionale che prevedeva la possibilità di trasportare gli sportivi più facoltosi in quota in eliski per permettergli di sciare sui versanti più incontaminati, nonché sparare alle prede e godere di panorami mozzafiato. Giacomino parlava di una vera e propria “guerra” vinta dai “ricchissimi”. In tale visione, per quanto tragica, è facile ritrovare un fondo di verità: se la natura si può comprare, è inevitabile che essa diventi proprietà di pochi. E, si noti, la valutazione del grado di prestigio ed esclusività di un luogo montano passa, anche, per l’accessibilità limitata a tale spazio.
All’inizio del secolo scorso, vivere la montagna, e, soprattutto, scalarne le vette più alte, erano attività elitarie, in quanto destinate ai pochi in grado di valutare le incognite oggettive del terreno e di contare esclusivamente sulle proprie forze, definendo i propri limiti. E proprio i processi di emulazione su scala più ampia si sono tradotti nel loro contrario.
Si è assistito cioè a un processo di socializzazione del coefficiente di rischio che è cresciuto di pari passo con il numero di frequentatori delle vette. Oggi spetta, infatti, alla collettività allestire una rete di sicurezza che consenta di mantenere il rischio entro margini socialmente accettabili. Le capacità individuali contano sempre meno. Ed è inevitabile che sia così, perché quanto più cresce il numero dei frequentatori occasionali – per motivi di business – tanto più il livello tecnico medio è destinato ad abbassarsi. (Fattor, 2021)
La montagna non è più di tutti?
Oggi a essere divenuti esclusivi sono tutti quegli spazi montani in cui ciò che contano sono le condizioni economiche e non più le capacità individuali. Così, la montagna non è più ‘di tutti’, ma rimane, certamente, ‘per tutti’. Coloro i quali si aggiudicano l’accesso alla natura grazie alle proprie possibilità economiche spesso sottovalutano il rischio o non dispongono di una buona percezione di esso, sentendosi “le spalle coperte dal telefonino” e credendosi portatori di “un’esperienza che non hanno e che credono di avere” e di una “preparazione che non hanno e che credono di avere” (ibidem).
“La natura sta diventando un’autentica ricchezza”; anche se scritte più di cinquant’anni fa, le parole di Dino Buzzati sul Corriere della Sera non solo risultano ancora attuali, ma risultano adatte a descrivere un processo che, iniziato già nel secolo scorso, sembra aver subìto un’accelerata particolare nel corso degli ultimi due anni.
Pur essendo evidente che, con l’arrivo della pandemia, si sia diffuso un interessamento e una rivalutazione delle terre alte da parte di nuovi individui, la condizione socio-economica degli stessi rappresenta un elemento significativo a cui porre attenzione per la valutazione di possibili scenari e mutamenti tanto del territorio urbano, quanto di quello montano. Se, come scrisse Cognetti in merito alla proposta di riaprire gli impianti sciistici dopo il primo lockdown, è questo il momento “per scoprire se un’altra montagna è possibile […], con un turismo che si trasformi almeno in parte in un ripopolamento” (2020), allora, un’offerta di servizi, immobili e divertimento, rivolta principalmente alle classi più elevate della popolazione urbana, pone le basi per un cambiamento non solo economico ed ambientale, ma anche socio-culturale.
Giulia Candida
Bibliografia
- Baird G., Jencks C., 1993, Il significato in architettura, Dedalo, Bari.
- Bazzoli N., 2018, Il sociologo e l’architetto. Un quadro teorico-metodologico per un’esperienza di ricerca, in Bazzoli N. (a cura di), Abitare l’architettura della partecipazione, Aracne, Roma, pp. 23-44.
- Buijs A. et al., 2006, From Hiking Through Farmland to Farming in a Leisure Landscape: Changing Social Perceptions of the European Landscape, in Landscape Ecology, 21(3), 375-389.
- Cognetti P., novembre 2020, Non fate del male alla montagna, in La Repubblica.
- Dalla Palma M, 2020, Il modello Val Maira: riscoprire la montagna. Lentamente, in Economia Sostenibile, Valori, rivista online.
- Fattor M., luglio 2021, La massa in vetta. Il rischio in agguato (editoriale) in MountainWilderness International.
- Giacomino G., novembre 2021, La guerra dell’eliski nei parchi in alta quota, in La Stampa.
- Gogna A., 2016, Luoghi e nonluoghi, in GognaBlog, rivista online.
- Honey-Rosés J. et al., luglio 2020, The impact of COVID-19 on public space: an early review of the emerging questions – design, perceptions and inequities, in Cities & Health, pp. 1-17.
- Lacasella P., (a cura di), ottobre 2020, Il versante nascosto, pubblicazione online.
- Lavarra A., 2020, Assalto alla Marmolada. L’impatto del turismo di massa su un ambiente fragile, in MountainWilderness International.
- Rimbert S., 1973, Les paysages urbains, Libraire Armand Colin, Parigi.
- Valentini F., 2021, Vacanze, come evadere con la pandemia: esiste un modo più sano di fruire il territorio, in MountainWilderness International.
- Zanzotto A., 2009, In questo progresso scorsoio. Conversazione con Marzio Breda, Garzanti, Milano.