Internet è il mezzo che più di ogni altro ha letteralmente rivoluzionato le nostre vite, le nostre relazioni, il nostro modo di comunicare. La Rete ha creato un nuovo mondo “always networked“, costantemente interconnesso e interdipendente per citare Thompson. Lo ha ridimensionato fino a farlo diventare un villaggio globale o addirittura glocale, come lo chiamerebbero McLuhan, Robertson e Bauman.
Poca unione, molta divisione
Una vera e propria rivoluzione culturale e mediatica che ha neutralizzato spazi e distanze e mitigato i confini tra produttori di contenuti e semplici consumatori. Tuttavia Internet rappresenta un vero e proprio paradosso mediatico, palesando una sorta di anomalia che capovolge il suo significato più intimo: i suoi intenti unificanti alla fine si sono fatti portatori di profonde e, potenzialmente incolmabili, divisioni. Infatti ciò che avrebbe dovuto portare il mondo a una grandezza più umana, rendendo ogni individuo una sorta di uomo vitruviano 3.0, alla fine non ha fatto altro che creare comunità effimere, molto volatili, parcellizzando esistenze reali fagocitate da quelle virtuali.
Nativi e immigrati digitali
Il progetto militare Arpanet, declinato nel mondo civile, ha finora accelerato in modo esponenziale il progresso tecnologico, reso “il tempo reale” l’unica dimensione temporale valida e compresso migliaia di chilometri alla distanza tra lo schermo di un pc e il volto dell’utente. Tuttavia ha anche esacerbato divisioni relazionali, sociali e generazionali: in primo luogo ha caratterizzato il cosiddetto “digital divide” tra popoli on line e off line, in cui il discrimine è applicato al deficit infrastrutturale e alla scarsa copertura del segnale. Quindi ha costruito una robusta barriera tra nativi digitali e immigrati digitali, come direbbe Mark Prensky: i primi alfabetizzati ai codici digitali, si chiudono in una sorta di solipsismo “internettiano”, comunicano a una diversa velocità e con altri linguaggi rispetto ai secondi, figli dell’epoca analogica che devono calarsi in un ruolo, ma soprattutto in uno nuovo ambiente complesso e sostanzialmente sconosciuto, a causa di un diverso imprinting mediatico.
Genitori e figli
Infine, forse la divisione più importante nell’economia dell’analisi del fenomeno, è quella tra genitori e figli, in cui i primi sono sprovvisti dei basilari strumenti di controllo e tutela mentre i secondi, abili e digitalmente autoctoni, sono esposti a tutte le potenziali insidie provenienti dal web e soprattutto, qualora si presentino, non comunicano a nessuno le criticità e le problematiche, più o meno gravi, che ne derivano. Appare comunque ingeneroso e intellettualmente scorretto, pur tenendo in considerazione tutti questi elementi, demonizzare il mezzo o la piattaforma che, in quanto declinazione digitale di un ambito sociale in cui coesistono il bene e il male, diffonde il dialogo tra questi ultimi che si palesa nella nostra quotidianità. Altrettanto sbagliato sarebbe glorificare la spinta democratizzante insita nella Rete che legittima tutti a essere i poli di una comunicazione sempre in movimento.
Mondi diversi
Tuttavia è necessario attivare un controllo a un livello istituzionale e legislativo, ma soprattutto incrementare la metacomunicazione: ossia la comunicazione della comunicazione stessa, non in modo miseramente autoreferenziale, ma secondo modalità efficacemente dialogiche tra attori diversi, tra parti sociali, tra culture, tra nativi e immigrati, tra residenti e visitatori digitali. Tale dialogo catalizzerà lo scambio affinché mondi diversi possano conoscersi reciprocamente, capire le loro dinamiche più intrinseche e condividere linguaggi sia a un livello semantico sia a un livello simbolico, per neutralizzare ogni sterile divisione e attualizzare una democrazia mediatico-comunicativa vera e propria in un ambito come quello digitale in cui ciò che oggi è nuovo domani sarà obsoleto.
Marino D’Amore
