Cosa porta alla creazione dei neet? quanto e come c’entra l’abbandono scolastico? quali sono le cause scatenanti? le conseguenze? con questa ricerca Emanuela Miccoli, Flavia Verona provano a rispondere a questi interrogativi.
Arrivare al neet: l’abbandono scolastico
Il riconoscimento della partecipazione scolastica come una risorsa preziosa di attivazione sociale e personale è ampiamente dimostrato da modelli teorici e da riscontri empirici1. Già nel Consiglio Europeo di Lisbona del 2000 si era posto l’accento sull’importanza del ruolo dell’istruzione e della formazione dei giovani come tra i potenziali rimedi alle criticità connesse alla sfera umana, al mondo del lavoro e alle sfide socio-economiche che l’Europa stava combattendo e che tuttora combatte.
Nel 2005 la Commissione Europea aveva, infatti, posto l’obiettivo di raggiungere la percentuale dell’85% di giovani dai 18 ai 24 anni con insegnamento secondario superiore. Parallelamente la dispersione scolastica si prospetta come una sconfitta sociale e personale cui fattori a monte risultano essere diversi da motivazioni prettamente scolastiche (variabili pedagogico-didattiche), come ad esempio l’orientamento insoddisfacente e fuorviante, la scarsità di stimoli, l’incapacità di valorizzare le potenzialità dello studente, stratificazioni diverse all’interno dei sistemi educativi2, per arrivare a quelle extrascolastiche (variabili socio-economiche) come il background e posizionamento economico e socio-culturale delle famiglie, investimenti pubblici, limitazioni ‘oggettive’ o deficit. Tra gli esiti più evidenti della dispersione scolastica vi è senz’altro quello dell’abbandono scolastico.
Culmine dei processi di dispersione, esso ha un ventaglio di interpretazioni semantiche diverse che partono dalla più diffusa concezione degli early leavers in termini di abbandono prematuro dell’istruzione, ai drop-out i quali non conseguono un finale titolo di studio, ai cosiddetti push-out nonché i ‘cacciati’ dal sistema scolastico, ai disaffiliated che non sentono alcun legame con la scuola e la sua sfera, agli stop-out che fermano il loro percorso per qualche tempo3. Si tratta di valenze semantiche anche possibilmente sovrapponibili tra loro.
Dispersione scolastica
Nell’oggetto di studio di nostra pertinenza si avanzeranno analisi e ipotesi circa la prima sfera individuata, nonché quella afferente l’abbandono prematuro del sistema scolastico. La dispersione scolastica si presenta, così, come indicatore del successo formativo, assumendo al tempo stesso il valore di ripensamento del ruolo e della funzione tanto della scuola, quanto delle istituzioni gravitanti attorno ad essa (dalla famiglia alla pubblica amministrazione), agendo in sinergia per adottare provvedimenti consoni alla complessità del fenomeno.
In Europa il 16% dei giovani abbandona prematuramente la scuola, un dato minimamente confortante rispetto al prefissato obiettivo della Commissione Europea di raggiungere il 10% entro il 20104. Se si considerano i paesi che dal 2015 al 2020 hanno adottato riforme affinché questo obiettivo potesse essere perseguito, si osserva che il dato è stato quasi raggiunto anche grazie a strumenti adottati anche in Italia5 in cui i risultati sono in miglioramento, ma comunque non incoraggianti.
Il Paese, infatti, pur avendo fatto passi in avanti a livello nazionale, in uno scenario internazionale pare occupare posizioni ancora sconfortanti. Abbandonando qualsiasi forma di istituzionalismo metodologico e considerando l’approccio comparativo come il più idoneo all’analisi nel campo dei sistemi educativi, la prospettiva che si adotterà è infatti quella del confronto del fenomeno dell’abbandono tra aree territoriali. L’obiettivo del presente studio è, infatti, quello di osservare l’andamento del fenomeno in Italia e se una sua determinata intensità nelle sue diverse aree territoriali corrisponda a una certa distribuzione di reddito medio familiare e a un certo investimento pubblico per la formazione, ipotizzando che la coincidenza di determinati parametri non sia casuale.
1 M. Colombo, Dispersione scolastica e politiche per il successo formativo: dalla ricerca sugli early school leaver alle proposte di innovazione, Erikson 2010.
2 Il fatto di dover compiere scelte premature fra diversi percorsi scolastici può demotivare coloro che non hanno ricevuto una guida appropriata. I percorsi scolastici troppo rigidi possono, inoltre, creare ostacoli al completamento dell’istruzione secondaria superiore. Per approfondire.
3 Cfr. http://www.aiel.it/page/old_paper/santoro_verde%20.pdf
Neet e non neet: analisi dati
Gli indicatori presi in considerazione per dare ancoraggio empirico alla presente indagine fanno fede all’ ISTAT (Istituto Nazionale di Statistica), in Italia dal 1926. Esso è un ente di ricerca pubblico che permette l’osservazione di fenomeni demografici e sociali sul suolo nazionale con il fine di produrre e comunicare le informazioni statistiche, le analisi e le previsioni per poter servire la collettività in diversi ambiti quali l’economia, il sociale e l’ambiente. I dati prodotti sono anche divulgati attraverso il sito web istat.it con le sue banche dati e i suoi comunicati stampa.
Nell’analisi di nostro interesse si è utilizzata la sua sezione di NoiItalia che fornisce uno sguardo complessivo dell’Italia grazie a dati organizzati in diverse aree tematiche, con una scansione regionale, per macro-aree ed europea. Le aree tematiche da cui è stato possibile estrarre degli indicatori adeguati alla presente analisi sono quelle dell’ “Istruzione e lavoro” (“Giovani che abbandonano prematuramente gli studi”, “Giovani che non lavorano e non studiano”) e “Popolazione e società” (“Reddito familiare netto medio – esclusi i fitti imputati”, “Spesa pubblica per consumi finali per l’istruzione e la formazione”).
Per uno sguardo generale sul posizionamento dell’Italia in Europa in base agli indicatori scelti, nello specifico quello legato all’abbandono scolastico e quello legato ai neet, si è utilizzato come fonte il sito dell’EUROSTAT (ufficio statistico dell’Unione Europea con il compito di pubblicare statistiche e indicatori di qualità a livello europeo per consentire confronti fra paesi e regioni) nello specifico la sezione “Population and social conditions – “Education and training” (“Young people neither in employment nor in education and training by sex, age, citizenship and NUTS 2 regions (NEET rates)” “Early leavers from education and training by sex and citizenship”).
L’analisi si orienta così su due livelli geografici: il primo analizza i diversi indicatori precedentemente presentati declinati nel generale contesto italiano e il secondo pone l’attenzione sulle quattro macro- regioni in cui si può dividere il paese (Nord-est, Nord-Ovest, Centro e Mezzogiorno)6. Grazie all’ausilio di alcuni grafici realizzati è poi possibile osservare visivamente le variabili prese in esame in un confronto tanto spaziale – considerando le diverse macroaree individuate – quanto temporale – osservando il loro andamento nel corso degli anni.
4 Cfr. M. Gentile Successo formativo e abbandono scolastico. Indicatori, livelli europei di riferimento, e strategie di intervento, Rassegna CNOS, n.1 -2007.
5 https://eurydice.indire.it/indicatori-strutturali-per-il-monitoraggio-dei-sistemi-di-istruzione-e-formazione-in-europa-2020-dati-e-riforme-dal-2015-ad-oggi/
Il fenomeno dell’abbandono prematuro e dei neet in Italia
I dati circa l’abbandono scolastico precoce in Italia dal 2004 al 2020 tra i ragazzi dai 18 ai 24 anni, mostrano segni positivi da un lato e negativi dall’altro: nel primo caso perché nel corso degli anni il tasso di abbandono sembra essere sceso, (agli antipodi degli anni di riferimento dell’arco di tempo preso in esame, nel 2004 vi era una percentuale di 23,1% rispetto a quella del 13,1% del 2020) [Figura 1]. Tuttavia, nell’ultimo quinquennio il fenomeno sembra essersi stabilizzato con percentuali piuttosto vicine tra loro. Nel secondo caso invece, si tratta comunque di una percentuale che esiste ancora, spia di scompensi che deprimono il sistema scolastico e la formazione tout court dell’individuo.
Se, come detto, si considera infatti che il Consiglio Europeo aveva stabilito che entro il 2010 il tasso medio europeo di abbandono scolastico precoce non avrebbe dovuto superare il 10%, si osserva che l’Italia ha una posizione ancora al di sopra dell’obiettivo europeo. In un contesto europeo, infatti, i dati Eurostat dimostrano che solo Malta, Spagna e Portogallo producono tassi di abbandono superiori a quello italiano7 (come si avrà modo di osservare più da vicino in seguito). D’altra parte, come si accennava, vi è comunque stato un miglioramento, anche se piuttosto lento a guardare dalla differenza di percentuale in discesa di anno in anno, sintomo, probabilmente, anche delle altrettanto lente policies attuate in ambito di istruzione.
6 Nelle conclusioni si affronta anche un terzo livello d’analisi che si concentra sull’Europa, così da comprendere la collocazione dell’Italia al suo interno.
7 M. Gentile, Successo formativo e abbandono scolastico. Indicatori, livelli europei di riferimento, e strategie di intervento, Rassegna CNOS, n.1 -2007.
GIOVANI CHE ABBANDONANO PREMATURAMENTE GLI STUDI – ITALIA
Avvicinando la lente di ingrandimento alla questione italiana nelle sue macroaree territoriali del Nord Est, Nord Ovest, Centro e Sud i dati risultano interessanti e con evidenti distacchi tra loro: sebbene in tutti i casi (anche se non omogeneamente) si assista tendenzialmente a una decrescita del tasso di abbandono prematuro degli studi nel corso del tempo di riferimento, il Meridione spicca come il più affetto da tale condizione [Figura 2]. Percentuali più basse risultano invece per le restanti tre macroaree: più nel particolare in senso decrescente il Nord Ovest ha percentuali a cui seguono inizialmente il Nord Est e poi il Centro, che dal 2011 circa vedono un andamento inverso in quanto il Centro dal 2020 circa non vede una discesa come le altre zone, ma una leggera risalita e successiva stabilizzazione. Osservando ancora i dati alle estremità della fase temporale di riferimento (2004-2020), infatti,
- Il Mezzogiorno vede un 27,6 contro un 16,3%;
- Il Centro vede un 17,3% contro un 11,5% (in questo caso, come nel successivo, con una direzione abbastanza eterogenea);
- Il Nord Est conosce un 19% rispetto a 9,9;
- Il Nord Ovest conosce un 22,1% rispetto a un 11,8%;
Anche in un’analisi a livello meso emerge come in tutti i casi vi sia una decrescita che poi conosce, però, una certa stabilizzazione del fenomeno nell’ultimo lustro, così avallando l’idea che il fenomeno è sicuramente più contenuto, ma solo arginato e non sulla via della soppressione.
GIOVANI CHE ABBANDONANO PREMATURAMENTE GLI STUDI – MACORAREE ITALIA
Il risultato diverso tra le aree si può leggere come la cristallizzazione della diseguaglianza nel Paese tra Nord e Sud la quale si riflette anche in ambito educativo. Dati di diversi studi e ricerche convergono sul fatto che una simile condizione dipenda da questioni sociali, economiche, culturali e territoriali: spesso un più basso background familiare (che si struttura a partire dal livello lavorativo, economico e d’istruzione della famiglia) e di infrastrutture adibite a funzioni educative determinano infatti un maggiore tasso di dispersione scolastica e, in ultima analisi, di abbandono scolastico e viceversa. Una condizione che grava più al Sud rispetto al Centro e al Nord in cui questi indicatori sono, al contrario, più alti con conseguente riduzione di abbandono.
Per quanto più pronunciato nelle regioni del Sud, osservando i dati il fenomeno della dispersione scolastica e degli abbandoni prematuri interessa anche il Nord. Nel Rapporto annuale delle forze di lavoro 2012, l’ISTAT precisa che il fenomeno, pur essendo manifestazione di disagio sociale e crisi economica, è profondamente diffuso anche in quelle zone del Paese in cui, essendo relativamente facile trovare una collocazione lavorativa, i giovani sono spesso spinti ad abbandonare precocemente gli studi. Ma questi stessi giovani che trovano una professione precocemente sono poi gli stessi più facilmente espulsi dal mondo del lavoro e che trovano maggiori difficoltà a reimmettervisi8. I dati Istat osservati, infatti, dimostrano percentuali importanti anche per regioni del calibro della provincia autonoma di Bolzano, delle regioni Lombardia e Piemonte (anche se sempre susseguenti a Sicilia, Puglia e Campania).
Differenze territoriali
Nonostante il dato resti preoccupante in quanto non solo permanente nelle diverse macro aree, ma anche risultante come spia di una profonda differenza territoriale, la diminuzione (non omogenea e costante) in tutti i casi è al tempo stesso sintomo di un maggiore impulso alla prevenzione o comunque alla riduzione del fenomeno degli early leavers. Gli interventi attuati in Italia sono infatti a tal proposito diversi e potrebbero confermare la decrescita del fenomeno. Ad esempio, sulla scorta degli accordi di Lisbona del 2000 tra le misure intraprese dall’Italia per contrastare la dispersione scolastica vi è un sistema di monitoraggio della frequenza degli alunni nei sistemi nazionali e regionali, nonché l’ ‘anagrafe dello studente’.
Istituita con D.L. 15 Aprile 2005 n. 769 art.3, essa opera il trattamento dei dati su percorsi scolastici degli studenti già a partire dal primo anno della scuola primaria. L’obiettivo è quello di creare un sistema di supporto alle istituzioni scolastiche per mezzo di un monitoraggio continuo degli studenti così da intervenire laddove risulti necessario. In questa direzione le informazioni raccolte sono di tipo socio-anagrafico e informazioni circa l’andamento scolastico (dall’indirizzo di studio intrapreso alla tipologia di qualifica intrapresa, agli scrutini – intermedi e finali – a casi di assenteismo).
Ancora, nell’arco di tempo 2007-2013 sono stati investiti circa 270 milioni di euro per le ‘4 Regioni Obiettivo Convergenza’ riconosciute dall’UE9, nell’ambito del PON Competenze per lo sviluppo con obiettivo specifico F (promuovere il successo scolastico, pari opportunità e inclusione sociale). Con la Circolare 11666\2012, dunque, il Miur ha dato attuazione all’Azione 3 prevista nel Piano di Azione e Coesione, finalizzata alla prevenzione e al contrasto dell’abbandono scolastico e del fallimento formativo precoce in specifiche aree10 di – non a caso – Sicilia, Puglia, Campania e Calabria. Ciò testimonia tanto l’impulso alla diminuzione dell’abbandono quanto una maggiore esigenza di questo stesso impulso nelle aree a Sud del Paese (soprattutto in veste finanziaria, come si vedrà nel paragrafo di seguito).
8 M. Cozzolino, Motivazione allo studio e dispersione scolastica – Come realizzare interventi efficaci nella scuola, Franco Angeli, 2014.
9 In quanto aventi PIL con al di sotto del 75% della media europea.
10 Individuate proprio per mezzo dell’Anagrafe dello studente oltre che ad alcuni risultati INVALSI.
Il fenomeno dei neet
Citato come concetto per la prima volta nelle discussioni politiche europee dell’iniziativa faro “Youth on the move”11 di Europa 2020, il fenomeno dei neet, fa riferimento a tutti gli individui di età compresa tra i 15-29 anni che non studiano e non lavorano (legalmente) da almeno 4 settimane continue. La riduzione di questo fenomeno impatta su tutte le aree con percentuali diverse, diventando un obiettivo politico di molte policies12. Inoltre, molte ricerche riportano come la condizione di “neet” possa agire negativamente, non solo sul paese di residenza e l’economia nazionale, ma anche sulle condizioni psicologiche e sociali dei soggetti che ne sono affetti.
Si sono individuati alcuni fattori socio-economici prevalenti che possono facilitare i giovani a diventare e rimanere nella condizione in questione. Tra questi spicca l’educazione, poiché un basso livello di istruzione triplica il rischio di cadere in questa condizione, il genere (le donne hanno il 60% in più di diventare neet), la disabilità (il rischio aumenta del 40%) e un’eventuale esperienza di migrazione alle spalle (con l’aumento del 70% di possibilità)13. I dati riportati in “La condizione Giovanile in Italia – Rapporto Giovani 2014” mostrano come la grande maggioranza dei giovani campionati nel 2014 afferma che le opportunità lavorative sono scarse (il 55%) o limitate (33%), nonostante molti (ben l’80%) abbiano risposto di essere disponibili a praticare anche lavori manuali nonostante la loro preparazione/educazione con una discreta paga. I giovani, indifferentemente dal loro sesso, affermano che l’Italia offre scarse possibilità di lavoro.
Il fattore “classe sociale”
La classe sociale gioca un ruolo importante sulla fiducia di questi giovani nella ricerca del lavoro: il 90% di coloro che appartengono a una fascia bassa afferma di avere scarse/limitate opportunità lavorative, mentre i giovani di fascia alta risultato leggermente più fiduciosi: il 20% le ritiene “adeguate”. Sempre nel Rapporto Giovani 2014 la maggior parte dei neet intervistati era celibe/nubile ed era in prevalenza femminile14, spesso con la motivazione di dover accudire i propri figli e impossibilitata a gestire la dualità di donne in carriera e “donne-signore del focolare”. Nelle stesse analisi si è rivelato il dato importante inerente alla “felicità”/soddisfazione personale e i neet sono emersi come infelici e sfiduciati nelle più diverse istituzioni. [Figura 3] e [Tabella 1]
11 Sito Internet https://www.eurodesk.it/youth-move.
12 Ad esempio, nell’aprile 2013 è stata adottata la proposta della Commissione Europea al Consiglio dell’Unione Europea di attuare una Garanzia per i giovani in tutti gli Stati membri, tra cui spiccava l’obiettivo di ridurre drasticamente il numero dei neet. Altra iniziativa con simili finalità della Commissione Europea è “Investire nei giovani d’Europa” del 7 dicembre 2016.
13 Massimiliano Mascherini, Salvatore Lidia,Anja Meierkord, Jean-Marie Jungblut, “NEETs – Young people not in employment, education or training: Characteristics, costs and policy responses, European Foundation for the Improvement of Living and Working Conditions in Europe, 21 Ottobre 2012; Eurofund Publications.
14 Sarebbe interessante interrogarsi sulla questione della disuguaglianza di genere in ambito lavorativo.
A ben guardare la percentuale di neet presente nel territorio italiano [Figura 4], partendo dal valore percentuale del 19,6%, ha avuto un andamento crescente fino al 2014 in cui ha toccato la punta del 26,2%, per poi subire una leggera decrescita che nel 2020 ha presentato il valore del 23,3% (si deve sottolineare, però, che l’anno 2020 e i futuri dati dell’anno 2021, dovranno essere valutati anche prendendo in considerazione l’avvento del virus Covid-19 con annesse sue conseguenze).
GIOVANI CHE NON LAVORANO E NON STUDIANO – ITALIA
Guardando nello specifico le quattro macro-aree regionali italiane, il dato che salta subito agli occhi è la differenza percentuale tra il Mezzogiorno e le altre macro-regioni, soprattutto con il Nord-est che si rivela il territorio con la percentuale di neet più bassa in assoluto in tutto l’andamento temporale. Le due macro-aree comprendenti il Nord, in nessun arco temporale, hanno sorpassato i valori percentuali del 20%, differenza importante con le altre due macro-regioni restanti; inoltre, col passare del tempo, esse si sono molto avvicinate come valori soprattutto a partire dal 2011 in cui la differenza tra le due macro-aree è stata semplicemente di 0,7 punti percentuali. Osservando nello specifico i dati alle estremità della fase temporale di riferimento (2004-2020), gli estremi che si presentano sono [figura 5]:
- Il Mezzogiorno che si propone con un 29,4% e che arriva ad un 32,6%;
- Il Centro con il suo 14,9% iniziale e il suo 19,9% finale;
- Il Nord-Ovest che propone un 12,6% contro un 18,3%;
- Il Nord-Est che vede un 10,3% e che termina con un 14,9%.
Agli antipodi di questo dato, ossia ai due estremi valoriali, e come ulteriore prova delle informazioni precedentemente presentate, la provincia autonoma di Bolzano emerge come il territorio italiano con la minore percentuale di neet con il suo 12,4% nel 2020, mentre come suo opposto la Sardegna con il 37,5%.
Un’ipotesi che si può avanzare a riguardo di questo dato è che, essendo presenti sul territorio nordico molte più infrastrutture e poli economici importanti, quali ad esempio i due triangoli economici Milano-Torino-Genova e il più recente Venezia-Padova-Treviso, le opportunità di lavoro, anche giovanile, non manchino. Il tutto potrebbe essere l’innesco di una spirale di motivazione personale che porti i giovani a non arrendersi nella ricerca del lavoro e nel continuare gli studi, incentivo a migliori posti di lavoro futuri.
Mettendo a confronto i dati delle variabili “Giovani che abbandonano prematuramente gli studi” e “Giovani che non lavorano e non studiano”, si possono sottolineare delle somiglianze, ma soprattutto delle differenze [Figura 6]. Dando uno sguardo iniziale si nota subito l’andamento inverso delle due variabili: i “Giovani che abbandonano precocemente gli studi”, nonostante presenti una percentuale iniziale più alta rispetto all’altra variabile (23,1%), ha un andamento decrescente e costante negli anni. Di contro, i “Giovani che non lavorano e non studiano” hanno una direzione in ascesa, si nota come i picchi più alti si presentino nel biennio 2013-2014 (con i rispettivi valori 26 e 26,2%), non più toccati negli anni successivi.
Continuando il confronto tra le due variabili [Figura 8], ma sondando le situazioni macro-regionali individuate, la prima analogia che si evidenzia è come la macro-area del Mezzogiorno sia il territorio con la percentuale più alta in tutto l’andamento temporale in entrambe le variabili, la differenza è che la percentuale dei giovani che abbandonano gli studi sia in costante decrescita, mentre i neet sono aumentati nel corso del tempo per poi assestarsi su una percentuale del 32-33%.
Una palese differenza delle variabili è proprio il loro andamento: in tutte le macro-regioni vi è stata un’importante diminuzione dell’abbandono scolastico (solo il Centro presenta delle variazioni più marcate, soprattutto un piccolo innalzamento tra il 2008 e il 2011), con un incremento generale nel 202015. Al contrario, nella maggior parte degli anni i “Giovani che non lavorano e non studiano” si presentano come una percentuale, seppur di poco, in salita fino al 2014 per poi quasi stabilizzarsi (leggermente al di sotto dei valori precedenti) negli anni a seguire. Anche in questo caso il Centro si presenta come la macro-area con il cambiamento più marcato, i dati riportano una percentuale iniziale del 14,9% nel 2004 e il picco più alto macroregionale del 22,5% nel 2014.
Considerando come le curve tendano ad andare in un movimento opposto e parallelo, per avanzare ipotesi a riguardo occorrerebbe valutare ciò che perturba l’andamento dell’una e dell’altra: dalla poca disponibilità lavorativa in toto, al fatto che per persone meno istruite ce ne sia in minor quantità, alla personale motivazione degli individui a intraprendere l’uno o l’altro percorso.
15 Anche in questo caso si sottolinea come probabilmente la pandemia abbia giocato un ruolo importante in questo ambito.
Reddito familiare e spesa pubblica per l’istruzione: una situazione circostanziale per l’abbandono scolastico
Un quadro d’osservazione di variabili inerenti il fenomeno degli early leavers e dei neet nelle diverse aree italiane non è sufficiente se non si considerano anche le questioni ad esse circostanziali. Avendo infatti definito il fenomeno come complesso e multisfaccettato per le sfere economico-sociali a cui si appella e che esso stesso richiama, è interessante osservare come queste si muovono nelle aree identificate16. In prima istanza è necessario dare uno sguardo alla condizione economica delle famiglie in Italia così da ipotizzare che i diversi andamenti delle variabili prese in considerazione rispondano anche a una certa situazione finanziaria17. In seconda battuta è conveniente osservare come si distribuisce la spesa pubblica per l’istruzione nella Penisola così da confermare la minore o maggiore esigenza in determinate aree.
16 In questo caso nel database a disposizione sono mancanti i dati del biennio 2019-2020.
17 Occorre precisare che nel processo di sviluppo delle politiche per l’istruzione si è andato estendendo il diritto alla totalità della popolazione credendo che questo potesse essere uno strumento sufficiente per promuovere la conoscenza e garantire pari opportunità tra i cittadini. Tale ragionamento si è dimostrato, tuttavia, in parte fallace: l’istruzione gratuita e garantita non ha fornito le medesime chance di successo a tutti, ma queste risultano invece essere fortemente influenzate dall’ambiente in cui il bambino nasce, e cresce. Conoscere infatti la condizione economica delle famiglie di provenienza in Italia può essere utile. Per ulteriori approfondimenti Cfr. http://www.aiel.it/page/old_paper/santoro_verde%20.pdf .
18 Crisi finanziaria legata al mercato immobiliare statunitense che, però, ha prodotto anche un forte calo nella produzione industriale e un grande aumento della disoccupazione in molti paesi, tra cui l’Italia.
Come riporta la figura 8, l’andamento italiano inerente al “reddito familiare netto medio (esclusi i fitti imputati)” ha un leggero innalzamento di valore. La decrescita presente negli anni 2012-2013-2014 si deve legare al sopraggiungere degli effetti della crisi del 200818, che ha colpito l’Italia “in ritardo”.
REDDITO FAMILIARE NETTO MEDIO – ITALIA
Ponendo lo sguardo all’analisi di questo indicatore declinato nelle diverse macro-aree [Figura 9], si evince come a livello cronologico il biennio 2017-2018 si rivela quello in cui tutte le macro-aree presentano i valori più alti, mentre il biennio 2004-2005 è quello con i valori più bassi. Il 2017 si rileva un anno particolarmente importante per la macro-area del Centro che presenta un ingente innalzamento del reddito familiare medio, mentre, anche in questo caso il Mezzogiorno si rivela la macro-regione più “svantaggiata” o con redditi familiari medi più bassi (e anche di molto se comparata a una delle due macro-regioni del Nord). Inoltre il Nord in generale si presenta con un andamento temporale abbastanza lineare e costante, le differenze di reddito nei diversi anni non si distaccano mai esageratamente (figura 8). Anche in questo caso si mette in rilievo la provincia autonoma di Bolzano quale territorio in cui i redditi familiari netti sono molto più elevati, quasi il doppio della regione con il reddito più basso che è il Molise.
REDDITO FAMILIARE NETTO MEDIO – MACROAREE ITALIA
Guardando in maniera complessiva le variabili “Giovani che non lavorano e non studiano” , “Giovani che abbandonano prematuramente gli studi” e “Reddito familiare netto medio” [Figura 10] si nota come, nonostante l’andamento leggermente crescente della prima, la seconda, invece si dimostra in leggera ascesa negli anni (con la differenza della macro-regione centrale che si dimostra ancora una volta il territorio con più variazioni valoriali nell’arco di tempo preso in esame). Senz’altro si può avanzare l’ipotesi che il Mezzogiorno si presenta come la macro-regione con il reddito familiare netto medio più basso anche per la presenza di una percentuale di neet più elevata rispetto a tutte le altre aree nazionali con una percentuale alta, dunque, di individui che non lavorano rispetto al Nord (che non a caso hanno un tasso di neet più basso).
È un come un circolo vizioso: spesso le ragioni sottostanti l’abbandono risalgono al background culturale delle famiglie il quale, a sua volta, corrisponde a un dato reddito. Pertanto per favorire la crescita economica e ridurre la povertà, diviene essenziale riqualificare il sistema di istruzione ed investire nella formazione del capitale umano.
Questo perché esiste un rapporto inversamente proporzionale tra istruzione e povertà: «Maggiore è il livello di istruzione della popolazione, minore è il numero di coloro che versano in condizioni di povertà, poiché l’istruzione favorisce lo sviluppo di conoscenze e competenze che mantengono alto il livello di innovazione e sostengono la competitività. L’effetto diretto dell’istruzione sulla riduzione della povertà è dato dall’aumento dei redditi, quello indiretto invece è dato dalla riduzione della cosiddetta “povertà umana”: avendo la possibilità di soddisfare adeguatamente i bisogni di prima necessità (cibo, acqua, servizi igienici, servizi sanitari, alloggi, ecc.), diventa più facile aumentare gli standard di vita e la cura della persona non solo a livello materiale, ma anche intellettuale, socio-relazionale, ecc.»19. Ciò spiegherebbe anche un tasso alto tra coloro i quali non solo non seguono un percorso formativo, ma non hanno nemmeno un impiego.
19 Capperucci D., La valutazione delle competenze in età adulta. Il contributo dell’«experiential learning» e dell’approccio riflessivo, ETS, Pisa, 2007.
Considerando, così l’importanza degli investimenti in istruzione, se si sposta lo sguardo all’indicatore relativo alla spesa pubblica per l’istruzione e formazione in Italia si osserva come, dopo un andamento pressoché costante, nel 2009 e si assiste a una leggera crescita per poi ritornare in discesa [Figura 11] (senz’altro per effetto della crisi finanziaria del 2008). Anche dopo questa si nota come essa rimanga poi piuttosto continua, a conferma del fatto che, come la sanità, l’istruzione da un lato è spesso soggetta a tagli che ne impediscono un’impennata, dall’altro che il settore occupa comunque una posizione tale da consentirne sempre e comunque una base di sostegno finanziario. Istruzione e Sanità sono infatti il principale campo di spesa pubblica.
SPESA PUBBLICA PER CONSUMI FINALI PER ISTRUZIONE E FORMAZIONE – ITALIA
Anche a seguito della crisi finanziaria del 2008, infatti, anche se in percentuale minore, tra i campi entro cui la spesa pubblica è maggiormente impiegata vi sono quelli relativi alla sanità e all’istruzione [Figura 12].
20 Grafici da A. Affuso, V. Bravi, La spesa pubblica in Italia prima e dopo la crisi, Dipartimento di economia università degli studi di Parma, 2014.
Comparando i due grafici si osserva come la composizione della spesa pubblica in Italia nei periodi immediatamente prima e dopo la crisi finanziaria vedono proporzioni uguali, con una leggera diminuzione per la percentuale dedicata all’istruzione nonostante raffrontata a un aumento complessivo, sintomo di continui tagli per settori controllabili nel breve periodo. Occorre anche considerare che nel corso del tempo la spesa in formazione risponde anche alle diverse leggi e riforme attuate nel settore, che ne hanno condizionato i sistemi di erogazione e ripartizione.
Oltretutto essa può dipendere da più fattori: ad esempio determinati indirizzi di studio richiedono maggiori risorse per cui se gli studenti non sono distribuiti in tutte le regioni in modo proporzionalmente identico tra i diversi indirizzi, la differenza di spesa potrebbe essere spiegata da una maggiore domanda di quelle tipologie di scuola che comportano un maggior impiego di risorse, appunto; ancora, anche un certo personale docente può essere più o meno costoso: ad esempio un docente con maggiore anzianità comporta una spesa maggiore così come un insegnante a tempo determinato – ancor di più se nominato annualmente – pertanto le regioni con un tasso più elevato di docenti in queste categorie hanno sulle spalle una spesa pubblica maggiore.
La spesa pubblica destinata all’istruzione può così dipendere da fattori diversi e un suo indicatore non può generalizzare su un’ eventuale efficacia o meno nell’allocazione delle risorse, tuttavia può dare una stima di questi fenomeni se osservato in raffronto ai rispettivi indicatori, ipotizzando una coincidenza tra l’andamento dei dati.
Se si guarda, infatti, alla distribuzione della spesa ai fini dell’istruzione e della formazione nelle diverse zone d’Italia si nota come ricalchi esattamente il divario esistente tra Nord e Sud (il Centro continua ad occupare una posizione mediana) in quanto i dati riportano una spesa nettamente maggiore per il sud rispetto alle altre aree e soprattutto rispetto al Nord22. Le stesse parallelamente sono caratterizzate rispettivamente da più e meno abbandono scolastico. In tal senso si potrebbe ipotizzare che, considerato l’abbandono in proporzioni diverse tra il Mezzogiorno e il resto d’Italia con una maggiore propensione per il primo a causa di condizioni sociali, economiche e territoriali più degradate, sia necessaria una spesa pubblica superiore per quest’area rispetto alle altre (la percentuale di spesa pubblica del Sud si attesta attorno al 6% mentre nelle altre aree d’Italia raggiunge la metà di questa se non meno, come nel caso del Nord Ovest) [Figura 13].
SPESA PUBBLICA PER CONSUMI FINALI PER ISTRUZIONE E FORMAZIONE – MACROAREE ITALIA
Facendo fede al PON illustrato nel paragrafo precedente, infatti, si osserva come fosse indirizzato alle regioni che effettivamente non raggiungono il 75% della media del PIL europeo. Inoltre, rifacendoci alle diverse ragioni sottostanti una certa spesa pubblica per l’istruzione, si può considerare anche un certo turnover degli insegnanti, fenomeno che richiede una spesa più ingente: esso non solo è più marcato nel Meridione (che in tal senso richiede una spesa maggiore) ma risulta anche tra le cause sottostanti l’abbandono scolastico, per cui si può dedurre ancora una volta in posizionamento del Sud.
Ciò significa che nel campo dell’education più soldi non si trasformano necessariamente in maggiore qualità (nonostante la spesa superiore al Sud, è qui che la condizione di early-leavers e neet è più intensa), ma è chiaro anche che meno soldi non si trasformino in più qualità, a meno che non ci siano delle modifiche strutturali nei sistemi di incentivi e finanziamenti connessi22.
Neet e abbandono scolastico: conclusioni
Le evidenze che il presente lavoro ha portato in luce non danno segnali auspicabili per la condizione scolastica italiana sebbene essa nel corso del tempo abbia conosciuto un certo miglioramento: l’abbandono è permanente (anche se in percentuale minore attualmente rispetto al passato) così come permanente è la sua associazione a una mancanza di impiego. Condizioni, queste, che si fanno portavoce di un continuo gap tra le diverse aree geografiche d’Italia, il quale è divenuto ormai una caratteristica strutturale del Paese. Non solo, il dato si fa ancora più demoralizzante se visto in una prospettiva internazionale ed europea nel particolare. Servendoci dei dati Estat sugli early leavers e sui neet, si può osservare come nel 2020, ultimo anno a cui essi risalgono, essi continuino a non deporre a favore del nostro Paese che spicca tra i primi per questi indicatori [Figura 14]. Per gli early leavers, sebbene per molti Stati i dati non siano stati rilevati, tra quelli in cui è stato possibile ricavarli si osserva come l’Italia detenga quasi il primato per questo indicatore (seconda alla Spagna che da tempo occupa una posizione altrettanto centrale).
Per i dati a nostra disposizione la situazione parrebbe polarizzata: i paesi del Nord Europa, con un sistema di welfare universalistico, insieme a buona parte dei paesi dell’ex Unione Sovietica risentono poco dell’incidenza del fenomeno mentre i paesi del Sud Europa, caratterizzati da un welfare mediterraneo, sebbene abbiano diminuito nel corso del tempo la portata del fenomeno non l’hanno ancora del tutto circoscritto23 Ma la spiegazione potrebbe anche risalire a una diversa stratificazione verticale o di tracking dei sistemi educativi: in alcuni casi, infatti, una scelta troppo precoce dell’indirizzo di studio può deprimere il proseguimento degli studi. Lo stesso potrebbe dirsi per la minore o maggiore urbanizzazione, rispettivamente con casi di maggiore pendolarismo per il primo da aree rurali o montane che incentiva all’abbandono scolastico (ciò potrebbe spiegare anche il dato del Nord Est italiano).
21 Se il dato risulta interessante a livello spaziale, esso lo è altrettanto a livello temporale: la curva dimostra, infatti, come in direzione sincronica la spesa non conosca grandi variazioni ma resti piuttosto costante, proiettando la condizione nazionale anche lungo le direttrici macroregionali.
22 M. Bordignon, A. Fontana, Federalismo e istruzione. La scuola italiana nell’ambito del processo di decentramento istituzionale, Fondazione Giovanni Agnelli, 2010
23 http://www.fedoa.unina.it/11637/1/De%20Falco%20Ciro%20Clemente%2029.pdf .
Neet e fuga di cervelli
L’Italia guadagna il terzo posto nella competizione dei paesi con più alta percentuale di giovani che non studiano e non lavorano, battuta soltanto dalla Turchia e dal Montenegro (i dati fanno riferimento a una rilevazione del 2020 su un campione di giovani nel range 15-24 anni) [Figura 15]. Questo terzo posto risulta una posizione mantenuta nel tempo poiché già nel 2007 l’Italia era terza con il 19%, preceduta solo dalla Bulgaria e dalla Grecia25. I paesi che non presentano una percentuale (Galles, Scozia, Regno Unito e Irlanda del Nord) non hanno fornito dati ai fini del database (anche per motivazioni politiche). Anche in questo caso la macro-regione del nord si presenta come testa di serie con la Norvegia (4,9%). Anche l’Europa continentale presenta ottimi valori con i Paesi Bassi (4,5%) e la Svizzera (6,4%).
Interessante sarebbe ricercare quanto impattano i cosiddetti “cervelli in fuga” di molti paesi nell’economia dei paesi ospitanti e, nell’eventualità, questo dato possa in qualche modo impattare questa variabile. Durante la crisi 2009-2011 i paesi che hanno riportato i migliori modelli economici, con conseguenti minori percentuali di neet sul territorio, si sono rivelati appartenere all’Europa Continentale (soprattutto la Germania) e all’Europa del Nord (nello specifico la Scandinavia), in una posizione intermedia i paesi Anglosassoni e, invece, con le peggiori performance, le regioni dell’ “Europa del Sud” e dei nuovi stati membri in Europa. l’ILO (International Labour Organization)26, tramite sue ricerche (2012), aveva suggerito di adottare due tipi di policies differenti per combattere, nello specifico, la disoccupazione giovanile (di cui i neet fanno parte), per ridurre il rischio di creare una “lost generation” in molti paesi europei.
Focus di questi consigli di policies facevano riferimento all’adottare politiche di lavoro attive e progetti di aiuto nel passaggio giovanile dalla scuola al lavoro. Nel biennio di crisi si è evidenziato come la Germania abbia affrontato la drammatica situazione senza troppi risvolti negativi applicando una policy flessibile: con aggiustamenti dell’orario di lavoro, un miglioramento del rapporto tra imprese e privati e progetti volti all’occupazione giovanile27.
25 Rapporto Giovani 2014.
26 Sito internet di riferimento: https://www.ilo.org/global/lang–en/index.htm
Al di là di quella che può essere considerata la condizione europea nel suo complesso, è importante intercettare la condizione italiana che, come è chiaro, non si prospetta essere ottimale. Ciò, però, non deve portare a una lettura apocalittica del futuro per i giovani, bensì essere letto come un campanello di allarme (che suona da diverso tempo) per le Istituzioni. Carneiro ed Heckman (2003), dimostrano come l’intervento di sensibilizzazione in età precoce riesca ad arginare l’abbandono scolastico e a plasmare positivamente i giovani (diminuendo il rischio sociale di contrarre una lost generation) con conseguenti maggiori benefici a livello individuale e sociale (es. inserimento e continuità nel mondo del lavoro) [Figura 16]. In questo senso si attenuerebbe anche la questione relativa al background familiare come ragione a monte del processo di dispersione, in quanto gli studiosi ritengono che rimediare successivamente agli svantaggi dei primi anni di vita è costoso e spesso inefficace, anche perché c’è il rischio di favorire i bambini nati in ambienti già favorevoli28.
27 Per maggiori informazioni riguardo al rapporto crisi 2009-2011, policy e neet si consiglia la lettura dell’articolo di Giovanni SF Bruno, Enrico Marelli e Marcello Signorelli, “The rise of NEET and Youth Unemployment in EU Regions after the Crisis”, Comparative Economic Studies, 2014, 56, pp.592-615. Altra lettura consigliata sul rapporto neet, crisi e policy è l’articolo di Stéphane Carcillo, Rodrigo Fernandez, Sebastian Konigs, Andreea Minea, “Neet youth in the aftermath of the crisis challenges and policies”, in OECD Social, Employment and migration working papers n.164.
Con obiettivi non dissimili la Strategia Europa 202029 sottolinea la necessità di prevedere misure di intervento volte a prevenire gli abbandoni scolastici già a partire dall’istruzione prescolastica e materna, essenziale per le ulteriori tappe di apprendimento, specialmente in termini di risultati e di socializzazione, consapevoli del fatto che solo intervenendo all’origine del problema, la dispersione scolastica, e i suoi esiti ultimi come l’abbandono, possono essere prevenuti o comunque arginati. A tal proposito, la Strategia prevede l’obbligo per il 95% dei bambini di età compresa tra i 4 ai 6 anni, di frequentare corsi di educazione di prima infanzia, introducendo percorsi di sensibilizzazione che migliorino le relazioni del triangolo scuola – genitori – figli: una speranza in più affinché quel campanello smetta di suonare.
Emanuela Miccoli, Flavia Verona
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